Dei tanti aspetti della crisi in cui siamo coinvolti, il più silenzioso – ma anche il più subdolo, quello che alla lunga determinerà gli effetti più devastanti – è, probabilmente, quello legato all’istruzione. La crisi mondiale dell’istruzione che comporta ormai un enorme pericolo per la democrazia. Questo perché un po’ in tutti gli Stati, soprattutto in occidente, ha perso popolarità lo studio delle materie umanistiche che sempre più spesso viene abbandonato a vantaggio delle cosiddette “scienze dure”. E, quindi, a vantaggio delle materie scientifiche, come se il profitto a cui oggi le Nazioni puntano (e, in definitiva, anche le persone) dipenda unicamente dalla capacità di conto e dalla preparazione tecnica ad affrontare le sfide dell’economia che cambia.
Democrazia e cultura umanistica
Le Nazioni, come afferma Martha Nussbaum nel suo libro “Non per profitto: perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”, sono sempre più attratte dall’idea del guadagno e, per questo, stanno via via accantonando i saperi che rimangono indispensabili per mantenere viva la democrazia.
Purtroppo, però, incalcolabili sono le conseguenze sulla vita delle persone e delle società della rinuncia all’educazione socratica. In Italia, alcuni decenni fa, abbiamo assistito a un (in verità) timido movimento che chiedeva la chiusura dei licei classici perché considerati inutili. Per fortuna (ammetto di non essere più informato di così), è stato solo il mal di pancia di pochi facinorosi che, ai primordi del web e dei social, intendevano replicare l’esperienza indiana. Forse perché poco si sapeva a quel tempo di quel che è realmente accaduto da quelle parti.
In India, Paese dalle precarie condizioni economiche, di fatto, le famiglie borghesi nella seconda metà del secolo scorso hanno imposto l’accantonamento della cultura pedagogica delle scuole di Tagore in favore degli studi scientifici, gli unici, secondo le stesse famiglie, in grado di garantire un futuro prospero ai loro rampolli. Sono state formate così le docili macchine dal colletto bianco (soprattutto ingegneri) che, incapaci di pensare, hanno accettato, senza ribellarsi, ogni dittatura (bene o male) camuffata da democrazia e altre contraddizioni, di natura politica, militare e sociale, che hanno portato alla messicanizzazione del Paese.
Le docili macchine
Le “docili macchine tecnologiche senza sentire” di cui parlo sanno, infatti, tante cose ma non posseggono pensiero critico, capacità di giudizio, di discernimento, di valutazione, di scelta. Tantomeno sanno mettere in campo la cultura del sé, dell’empatia e dell’altro, affinché perfino le competenze tecniche per cui si sono battuti i lori genitori possano essere valorizzate, emergere ed eccellere.
Tutto ciò che, invece, mantiene vivo l’interesse intorno al dibattito non dovrebbe essere mai messo da parte in democrazia, a vantaggio di strumenti freddi e tecnici. Così,
- abbandonare lo studio delle tradizioni,
- non comprendere l’importanza della sofferenza delle generazioni passate e di quelle di altri popoli,
- ignorare il valore del confronto e del dialogo
appende a un filo i destini delle democrazie.
In Italia
Anche in Italia, benché nessuno lo ammetterà mai, gli studi umanistici vengono visti come dei superflui fronzoli dalle diverse riforme della scuola che si sono succedute. Intendiamoci: non è così negli atti ufficiali ma lo è nella pratica. Benché nessuno lo ammetterà mai. Ma le competenze auspicate dall’OMS nel 1993 per il mondo della scuola sono solo un’ombra scomoda, un intralcio alla cultura
- tecnologica,
- scientifica e
- informatica
verso cui tutti vorrebbero andare. Lo si capisce dai percorsi di aggiornamento degli insegnanti: i ragazzi non sanno pensare, non apprendono ma nessuno si mette in discussione. Gli insegnanti sanno già tutto (così dicono) di
e, per questo, tutti chiedono did, dad, metodologie innovative in grado di risolvere i problemi in classe e strumenti vari pret-à-porter. Pur di chiamarsi fuori (non tutti, per fortuna, poiché in tanti andrebbero salvati) dalla responsabilità di essere parte, più o meno consapevole, di questo fallimento. Il tutto mentre i dati OCSE 2019 confermano il declino degli apprendimenti nella scuola italiana e le indagini internazionali confermano la mancanza di cultura emotiva da parte della classe docente.
Basta, a mio avviso, mettere insieme tutti gli indizi per individuare dove sia lo snodo.
La cultura umanistica
Quello che serve sono
- gli studi umanistici,
- la pratica della creatività,
- una didattica personalizzata,
- il ragionamento socratico,
- l’educazione emotiva e sociale.
Più di tutto il resto e insieme a tutto il resto (che pure è indispensabile).
Oggi, dopo che l’esempio educativo delle scuole di matrice socratica avviate da Tagore è stato seguito in Europa, in Giappone e negli Stati Uniti, di fatto è stato completamente accantonato proprio in India. E le sue idee vengono addirittura derise. L’India, pur rappresentando una delle più fiorenti economie mondiali e una delle democrazie più importanti del globo, tuttavia non ha mai risolto l’enorme disparità tra i ricchissimi nobili e le masse ridotte alla fame.
Il culto del rivestimento
Così, come riferisce la Nussbaum, mentre il Giappone, la Cina e i paesi di matrice islamica stanno riscoprendo gli studi umanistici e delle tradizioni, l’occidente sembra voler seguire l’esempio dell’India, dedicando i suoi sforzi educativi al “rivestimento”, cioè a ciò che Tagore considerava accessorio, agli aspetti materiali ed esteriori della vita che si lasciano indietro
- il culto dell’anima e
- la cultura della relazione, la cultura dell’altro.
Ecco: ci stiamo formando alla noncuranza, all’indifferenza e a trascurare il piccolo dettaglio che anche gli altri sono portatori di un’anima. Che, invece, ci sembrano come un mero strumento per poter approdare a qualcosa di utile, di vantaggioso per il nostro ego. “Sto con te se mi sei utile!” E quando smetto di pensarti come qualcosa di utile per il raggiungimento di un altro fine, beh… allora quella relazione si perde, perché non è più funzionale alla realizzazione del “mio” progetto.
Ma come potremmo occuparci degli altri se ci dimentichiamo perfino di noi stessi?
La scuola, però, può ancora ricordarcelo.
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