Se la holding educativa, basata sul duopolio di scuola e famiglia, va in crisi, urgono rimedi, come costruire al più presto una nuova cultura pedagogica condivisa ed efficace: un patto educativo tra scuola e famiglia di vera cooperazione, con lo scopo di aiutare i ragazzi a crescere. Due, forse tre o anche più generazioni di giovani stanno letteralmente “saltando”. Non soltanto perché manca loro il lavoro, ma soprattutto perché non riescono più ad accedere a rapporti nutrienti in famiglia, non usufruiscono più di scuole autorevoli e realmente formative, nessuno offre loro una cultura profonda, nessuno, né in famiglia né a scuola, insegna loro il sacrificio e lo sforzo.
Il furto del futuro
Da troppo tempo si parla del disagio dei giovani, di disadattamento crescente tra le nuove generazioni, della caduta dei valori in tanti ragazzi e ragazze, di droga e di alcol, di nuove patologie psicologiche e di devianza senza porsi tuttavia in un’ottica di riflessione, progettazione e verifica degli interventi. La noia e il nichilismo appaiono ormai malattie endemiche, spingendo bambini e ragazzi a eludere qualsiasi impegno per evitare la fatica.
Tutto è vissuto con demotivazione e apprensione. Sembra non esserci più traccia
- del futuro,
- del desiderio,
- della voglia di realizzarsi e
- perfino di amare, di costruire relazioni durature e nutrienti.
Tutto questo sostanzialmente accade per due fenomeni interagenti:
- la caduta della genitorialità, con il conseguente dilagare nelle famiglie del permissivismo;
- il mancato rinforzo del talento e del merito nei giovani da parte di adulti e istituzioni.
La condizione paradossale della generazione del terzo millennio consiste nell’annullamento della dimensione del futuro:
- dapprima con l’illusione dell’onnipotenza, poiché educati all’insegna del “tutto e subito”;
- poi mortificando il merito e i talenti attraverso una scuola sempre più crisi.
La meritocrazia
Raramente il merito viene premiato.
- Al lavoro (quello vero) si accede quasi esclusivamente per conoscenza;
- la carriera e le promozioni avvengono per lo più per anzianità.
- Il talento si è ridotto sempre più a un inutile optional.
- Insegnare l’autonomia per raggiungere un sufficiente grado di indipendenza e autostima appare oggi un problema gravoso e si è convinti di chissà quali competenze educative e pedagogiche occorra possedere per rendere figli e alunni forti, autonomi e sicuri.
Eppure basterebbero poche accortezze, un po’ di volontà e soprattutto la convinzione che già all’età di 12-13 anni i figli sono certamente ancora fragili e bisognosi di guida, ma già in grado di eseguire e portare a termine compiti complessi. Purtroppo molti genitori, spesso, per fare presto e alleviare ogni incombenza ai propri figli, si sostituiscono completamente a loro, risparmiando ogni tentativo di misurarsi con la realtà, ogni esplorazione.
Per non creare dei perfetti “bamboccioni” si dovrà dunque stare accanto ai figli, fin da quando sono piccoli, al fine di insegnare loro, con pazienza,
- a fare le cose e, soprattutto,
- a sviluppare il gusto di farle,
- il senso di responsabilità e il sacrificio, ingredienti indispensabili per affrontare la vita adulta.
Tra scuola e famiglia
Mentre i genitori devono essere in grado di tollerare le iniziali sbavature delle attività pratiche richieste ai figli, la scuola ha il compito di implementare l’autonomia o di favorirla qualora fosse scarsa, creando spazi e tempi qualificati di riflessione comune con i genitori degli alunni. Vanno, cioè, introdotti momenti istituzionali dedicati alla collaborazione, evitando sterili contrasti e schieramenti.
Tra famiglie e docenti si possono, infatti, sviluppare pregiudiziali contrapposizioni:
- da una parte molti genitori ritengono che i loro figli non siano sufficientemente capiti e tutelati dagli insegnanti,
- dall’altra i docenti reputano completamente inadeguati i genitori dei propri alunni.
Esistono due tipologie problematiche di genitori:
- i disimpegnati e permissivi, tendenti sempre a colludere, difendere e giustificare i figli, fino a negare o banalizzare anche il più evidente segno di difficoltà e inadeguatezza;
- gli invischianti e simbiotici, sempre pronti a sovrapporsi ai figli, a pressare gli insegnanti, a manipolare, a chiedere interventi magici e risolutivi.
I primi si vedono raramente a scuola e con loro la collaborazione è spesso difficile se non impossibile. I secondi vi si recano sovente, mettendo a dura prova gli insegnanti, i quali fanno appello a tutta la loro pazienza per far rispettare confini e ruoli, placare le ansie e tentare di far capire che per educare i figli è necessario collaborare in maniera efficace e costruttiva.
Un confronto fondamentale
Ma il confronto scuola-famiglia è e resta fondamentale. Quando, ad esempio, gli insegnanti si trovano alle prese con alunni con difficoltà,
- aggressivi,
- bulli,
- ansiosi,
- assenti,
- disattenti,
- demotivati e
- con basso profitto,
l’unica soluzione possibile è il dialogo con le famiglie per cambiare strategie educative congiunte. Idem per i genitori che potrebbero notare comportamenti allarmanti, in casa o con i coetanei, di cui la scuola merita di essere informata.
Informarsi reciprocamente, infatti, per
- raccogliere ulteriori informazioni sull’alunno,
- collaborare sinergicamente alla realizzazione di un piano comune d’intervento e
- adottare atteggiamenti pedagogici non conflittuali e convergenti
ripristina l’alleanza educativa che serve al successo pedagogico e previene i sentimenti di frustrazione che inaspriscono il clima.
In teoria siamo tutti d’accordo e sembra scontato. Ma la pratica è altra cosa.
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