La raffigurazione personale con materiali plastici è un lavoro che si fa a occhi chiusi e che incrocia diverse dimensioni. E’ uno dei momenti di apertura del mio laboratorio di formazione di base nel Metodo Autobiografico Creativo. Il primo momento è fatto di attivazione corporea. Poi chiedo ai partecipanti di tradurre in immagine la percezione del corpo ad occhi bendati con il das. A volte i partecipanti chiedono perché non venga usata l’argilla. Il motivo è che il das lascia intravedere il processo di creazione dell’immagine, mentre l’argilla si compatta molto facilmente. Se il lavoro di Sara (in foto) fosse stato fatto con argilla, non vedremmo quelle crepe nel corpo che, in tanti, casi, parlano al suo creatore di vere e proprie ferite dell’anima.
Il Metodo Autobiografico Creativo
In fondo, stare ad occhi chiusi e creare se stessi è un dialogo interiore, un incontro con l’Ombra, uno degli aspetti più interessanti dell’Intelligenza Emotiva.
Quando apriamo gli occhi, ci troviamo davanti allo svelamento: l’atto simbolico di svelare se stessi a se stessi. A prima vista, vediamo qualcosa che potremmo considerare solo in maniera superficiale. Ma se osserviamo attentamente quello che accade nel processo creativo, emergono tanti particolari che si presentano sul piano fisico ma che, a ben vedere, hanno un carattere simbolico. Cioè, sono espressione di stati d’animo in forma artistica. Il gruppo si dispone attorno al lavoro osservato.
Qualcuno dice: “Mi colpiscono le gambe flesse. Forse c’è un peso?” Poi, qualcuno rincara: “A me dà la sensazione che ci sia pesantezza in questo lavoro. È così?” E ancora: “Noto la verticalità e la base. A me trasmette la sensazione di un bisogno di controllo. Riconosci questi elementi come tuoi?”
Al protagonista arrivano le stesse domande che aprono allo svelamento in forma di domanda.
Il dialogo interiore
Ognuno, dentro di sé, si chiede: “Che cosa arriva di me? E se fosse vero che esprimo questa dimensione sconosciuta?” Ecco perché il processo creativo si presenta sotto forma di domande.
In questo lavoro tutto può essere. La verità assoluta non esiste, se non nei limiti in cui l’autore svela i punti di contatto tra ciò che viene osservato dal gruppo e la storia autobiografica. Se accade questo, vuol dire che il gruppo osserva oggettivamente, senza proiezioni. È un esercizio di sensibilità che allena la sovrasensiblità intorno all’unicità delle persone. L’esperienza apre così all’empatia ma parte dal dialogo interiore, che è un modo di negoziare con la propria Ombra.
Lo svelamento
Ed ecco quello che l’autrice (si tratta di lavoro svolto da una donna, benché non sia evidente) ha confermato intorno alle osservazioni dei compagni di viaggio:
- le gambe sono più robuste rispetto agli arti superiori e la testa (il che vuol dire che può essere vero quanto rilevato sul presunto peso da sopportare).
- Tra l’altro gli arti superiori e la testa sono proporzionati: quindi, questo peso può dipendere dal fatto che quest’enorme gabbia toracica in realtà sia una corazza. Può essere che ci sia un bisogno di protezione, un fardello che comporta fatica sostenere e che fa flettere le gambe.
- Rispetto alla verticalità della figura e alla presenza della base, l’autrice concorda sul fatto che tutto questo eccesso di razionalità dipende da un bisogno di controllare tutto ciò che accade intorno e di non perdere il contatto con il terreno in cui affondiamo le radici (ma che ci impedisce anche di prendere il volo).
Siamo razionali! Non è un problema e non richiede alcun rimedio. Basta saperlo per non restare sorpresi davanti alle difficoltà che ci possono creare le nostre grandi o piccole rigidità che, di norma, sono collegate alla nostra radicata razionalità. La consapevolezza, in altre parole, è già un rimedio. Ma ci si arriva osservando come le emozioni vivano, al di fuori di noi, investite del processo creativo che assegna loro dimensione artistica.
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