Secondo il World Economic Forum, organismo che collabora con le più importanti multinazionali, tra le dieci competenze chiave per entrare nel mondo del lavoro ci sono la creatività, l’intelligenza emotiva e il pensiero critico. Ecco un passaggio del mio discorso agli Arti Terapeuti, tenuto a Cefalù a “Isola Creativa 2019”, nel corso del XVII Congresso Annuale di Artedo, in cui spiego il collegamento tra queste tre competenze chiave, alla luce di evidenti manipolazioni delle informazioni che ingannano gli spettatori più sguarniti. Motivo in più per coltivare la creatività come mezzo per sviluppare la capacità di valutare criticamente ciò che viene trasmesso dalla mediasfera.
La creatività
La creatività è un attivatore spontaneo di quasi tutte le altre competenze che il WEF rileva, compresa l’intelligenza emotiva. Personalmente, ho descritto nel mio lavoro, il Metodo Autobiografico Creativo, un modo nuovo di impiegare le risorse creative in tale direzione.
Definisco il mio metodo un’intuizione metodologica che solo successivamente ho compreso essere supportata da basi psicologiche e scientifiche. Sul momento, nato da spinte artiterapiche, sembrava convalidato dal riscontro pratico, sul piano fattuale, pratico, come accade per qualcosa che, in principio, non si sa bene dove potrà arrivare ma si vede che funziona.
E, infatti, nel tempo scopro che i più recenti studi sull’epigenetica oggi sono sul punto di confermare che il dialogo con se stessi, il dialogo interiore, è in grado addirittura di modificare il DNA, struttura considerata fissa fino a qualche anno fa, e risolvere deficit emozionali ereditati.
L’intelligenza emotiva
Comunicare bene con se stessi, con la propria storia personale aiuta, quindi, a rimaneggiare il DNA a livello dei disordini emotivi. E il costruttivo ed efficace dialogo interiore è un indicatore di elevati livelli di intelligenza emotiva. I bambini possono nascere con delle disfunzioni emotive, codificate geneticamente, generalmente provenienti dalla madre. Riflettere sulla propria storia personale, aiuta a correggere questo tipo di disordine.
Ed è straordinario pensare di poter correggere quello che oggi è un limite per la maggioranza delle persone che non vogliono fare percorsi di consapevolezza emotiva. Del resto, le emozioni spaventano perché abitano nel corpo, dimensione quasi inaccessibile per i più, nonostante sia proprio a quel livello che si determina il benessere o il malessere.
Il pensiero critico
Lo sviluppo del pensiero critico è strettamente collegato alle due competenze precedenti. Pensare ha la stessa etimologia del verbo pesare. Significa, in senso figurato, soppesare opportunamente la portata dei pensieri e assegnare a ciascuno un posto nella mente da dove sia possibile recuperarlo ogni volta che serva fare collegamenti per trarre conclusioni proprie. In greco, infatti, il pensiero è “logos” e il verbo pensare è “leghein”: legare pensieri tra loro.
Giusto, allora, che si debba essere creativi per collegare conoscenze, pensieri, informazioni e concetti al fine di sviluppare idee personali e opinioni indipendenti dal condizionamento della mediocrità dilagante e dalla mediasfera che appiattisce la capacità di giudizio critico sulle cose del mondo e che detta addirittura i tempi delle risonanze emotive, spesso incutendo paura per ridurre all’immobilismo e per diffondere il disfattismo.
Ma serve anche un buon controllo sulle emozioni (e, quindi, una consapevolezza emotiva) che aiuti la persona a distrarsi dai turbamenti dell’anima per riuscire nel processo di collegamento. Chi, infatti, soccombe agli stati d’animo negativi filtra ogni informazione attraverso quel cono d’ombra, con il risultato di non riuscire a vedere altro che la negatività.
Competenze collegate
Serve, tuttavia, benessere per pensare bene. Serve intelligenza emotiva.
Pensare criticamente, allora, non implica il dissentire aprioristico ma la capacità di
- discernimento,
- collegamento,
- sintesi,
- analisi e
- valutazione
che spingono la persona e i suoi talenti creativi oltre la barriera mentale della parzialità ottusa. In tal modo, una persona creativa ed emotivamente intelligente può porsi davanti alla propria verità e alla realtà in modo soggettivo e autonomo, restando fedele al principio dell’evidenza, a cui approda grazie
- all’osservazione,
- all’esperienza,
- al ragionamento e
- al sentire personale.
D’altro canto, accrescere l’intelligenza emotiva con la consapevolezza di sé determina non solo il riconoscimento di felicità, paura e rabbia, ma anche quello delle implicazioni delle emozioni nella comunicazione, nella negoziazione, nei rapporti, nel dare e ricevere fiducia. È per questo che si tratta di competenze così straordinariamente importanti e così strettamente connesse tra loro.
L’episodio
Il 16 ottobre, Striscia la Notizia manda in onda un servizio di Max Laudadio (a cui si riferisce la foto di copertina), in cui viene condotta un’inchiesta su un sedicente noleggiatore di auto che, invece di consegnare le auto, si era intascato i soldi. Un affare per tanta gente, le persone pagavano poco.
Max Laudadio chiede al signore come mai non stia facendo ancora il suo dovere di consegnare le auto. Ma a fine intervista l’uomo viene avvicinato da due carabinieri i quali lo prendono, lo strattonano, lo ammanettano davanti alle telecamere e lo portano dentro. Ripreso in viso, l’uomo, incredulo, appare terrorizzato e pietrificato dalla paura.
Personalmente, sono sempre incuriosito dal modo in cui la gente viene manipolata da un certo modo di fare comunicazione. Che fa leva proprio sull’incapacità di pensare criticamente che è una delle cause della mancanza di alfabetizzazione emotiva. Se non sappiamo dire quello che proviamo, non distinguiamo le nostre emozioni da quelle (come la paura) che induce la mediasfera.
La manipolazione dei media
Così, finiamo per provare ciò che ci viene imposto di provare. Si chiama manipolazione. E serve a tenere immobile e sotto controllo il popolo, ancorandolo alle sue paure. Le emozioni, in altre parole, servono al pensiero. Ma in pochi ormai sanno pensare e distinguere notizie reali da notizie false o manipolate. Per questo crediamo a tutto quello che ci fanno vedere.
In Italia, infatti, la giustizia prevede tre gradi di giudizio prima di una condanna. Se si viene condannati, ci si presenta al più vicino penitenziario. Le manette ai polsi non le mettono quasi a nessuno, specie se uno è stato denunciato per truffa e non ha ancora affrontato il primo grado del processo.
Allora, è probabile che questo signore fosse già ricercato per altro. Ma non ce lo dicono. Perché? Perché in un momento in cui in Parlamento si decide di inasprire le pene per reati analoghi (come per gli evasori fiscali, senza con ciò voler commentare se sia giusto meno), il messaggio è chiaro: “se non fai il bravo veniamo a prenderti e ti portiamo via”.
- E questa non è manipolazione dell’informazione?
- Chi ha i mezzi per accorgersene?
Effetto paura
La mediasfera non è più solo l’amplificatore di un messaggio razionale, cognitivo, che ci suggerisce anche quello che dobbiamo pensare. Oggi, e questo è ciò che è peggio, sono la Tv e internet che ci dicono quello che dobbiamo sentire e provare.
Ma che vogliamo aspettarci dalla società deintellettualizzata che vive con il pilota automatico? Le persone, in questo clima, non hanno idea di chi siano… Ma, come scriveva il Beato Antonio Rosmini, chi non è padrone di se stesso è facilmente occupabile.
Un altro episodio, avvenuto nell’autunno 2019, riguarda i presunti licenziamenti dei dipendenti di Carrefour via WhatsApp. Falso. Si è trattato di un modo spettacolare di dare la notizia. I dipendenti di Carrefour hanno ricevuto un messaggio di scuse da parte del datore di lavoro in cui dice: “non ho potuto evitare il licenziamento, non ce l’ho fatta a salvare l’azienda”. Non è un licenziamento inviato in chat. È un’altra cosa.
Ma cosa vi dicono caricandovi così? Vi dicono che siccome va tutto a rotoli, potete aspettarvi il peggio dietro l’angolo. E se avete paura, siete controllabili. La verità è che così siamo tutti controllabili. In un clima del genere, appare addirittura chiaro perché i nostri ragazzi che non si impegnano a crescere, non sono autonomi e vogliono il reddito di cittadinanza. Perché l’analfabetismo emotivo fa crollare la cultura
- dell’impegno,
- del valore,
- del rispetto.
Vogliamo cambiare le cose o tenerci quello che crea questo genere di cultura?
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