Il Social Dreaming, uno strumento di ricerca-intervento che in Italia ha suscitato grande interesse per via del considerevole numero di applicazioni in contesti sociali anche molto diversificati, nasce agli inizi degli anni ’80 dello scorso secolo come tecnica di lavoro di gruppo ad opera di Gordon Lawrence e si basa sulla valorizzazione del contributo che i sogni possono offrire alla comprensione non del mondo interno dei sognatori ma della realtà sociale ed istituzionale in cui vivono. Tale tecnica non vuole sfidare il grande valore dell’approccio ai sogni della psicoanalisi classica ma mette in rilievo la loro dimensione sociale. L’ipotesi centrale da cui trae ispirazione è che i sogni contengano informazioni importanti sulla realtà sociale in cui le persone vivono nel momento in cui sognano[1]. Il Social Dreaming si focalizza, infatti, sulla qualità del pensiero dei membri della medesima organizzazione e sulle condizioni che permettono al pensiero di raggiungere un’autentica conoscenza della realtà per poter efficacemente interagire con essa. Per questo, secondo il suo fondatore, tale strumento è un modo per trasformare il pensiero attingendo, attraverso i sogni, alla dimensione inconscia/infinita della mente ed alla conoscenza implicata in tale dimensione.
Il Social Dreaming
Il Social Dreaming prende impulso dalla teoria bioniana delle dinamiche e delle tensioni che si dipanano fra processi consci e inconsci, attivati negli individui dalle configurazioni di gruppo, e dal pensiero sistemico, in quando idea innovativa di lavoro nelle organizzazioni sul modello del Tavistock Institute.
Le ricerche antropologiche sul sogno studiano, del resto, il rapporto fra attività onirica e cultura e non si focalizzano su aspetti relativi al singolo sognatore. Al centro del social dreamng ci sono solo i sogni delle persone che spiegano quello che avviene nella vita del gruppo. L’elemento ispiratore per Gordon Lawrence viene dalla lettura del testo Il Terzo Reich dei sogni (1968) di Charlotte Beradt, una giornalista della Germania di Hitler che invitava gli amici medici ad includere nel loro protocollo clinico la registrazione dei sogni dei pazienti per controllare il pensiero della popolazione tedesca.
I sogni registrati dalla Beradt non erano il prodotto di conflitti personali interiori irrisolti ma rappresentazioni della realtà politica contemporanea, rappresentazioni di «un’esistenza paradossale dell’uomo sotto un regime totalitario del ventesimo secolo». Il social dreaming è, di conseguenza, un modo di guardare al sognare con occhi nuovi e di sviluppare la comprensione di una dimensione della vita che abbiamo perduto di vista, da quando la nostra civilizzazione è divenuta sempre più connotata da un atteggiamento di trionfo[2].
Il concetto di “relazionalità”
Lawrence con il SD sviluppa un approccio al gruppo centrato sul concetto di “relazionalità” (Relatedness), termine con il quale indica i modi in cui l’esperienza ed il comportamento di un individuo riflettono e sono ordinati da costrutti consci ed inconsci del gruppo o dell’organizzazione che sono presenti nella sua mente[3]. Successivamente, insieme a Patricia Daniel, concepisce l’idea di un gruppo di persone che sognano socialmente. La psiche umana ha, infatti, la capacità di rispondere all’impatto emotivo con la realtà. E poiché tutto l’ambiente organizzato può essere visto come frutto del pensiero dei singoli e dei gruppi che essi formano, essendo il modo in cui percepiscono ed esplorano la realtà frutto del pensiero, l’espressione sociale del sogno fornisce indicazioni sulla condizione attuale e sulla prospettiva attraverso associazioni e punti di contatto tra i sogni dei partecipanti alla matrice.
Il social dreaming ha la funzione di focalizzare l’attenzione del gruppo sul pensiero che divide, sul pensiero che unisce, sul pensiero che stabilisce connessioni e sul nuovo pensiero che si fa spazio, aiutando i membri di cogliere le relazioni fra le parti, generando così identità nuove e nuove forme di conoscenza.
In quella forma primaria e inconscia di pensare che è il sognare, la natura biologica e la seconda natura dell’uomo, culturale e sociale, entrano in risonanza, stimolate dalle emozioni che l’impatto con l’ambiente attiva. Se più persone condividono sogni ed associazioni, la verità acquista più dimensioni, dando vita a una varietà di significati che aumenta le probabilità che un pensiero creativo inatteso emerga dal gioco libero delle differenze. Questo processo prende il nome di «co-scienza»[4].
Comprendere la vita onirica
Dopo le prime esperienze di successo con il Social Dreaming, Gordon Lawrence ed altri ricercatori del Tavistock Institute of Human Relations sviluppano in modo graduale l’idea che per capire meglio le istituzioni sia necessario prendere in considerazione anche la vita onirica delle persone che ne fanno parte. Gordon Lawrence e Patricia Daniel impiegano, così, la tecnica in varie situazioni: consulenza aziendale, corsi d’aggiornamento, congressi.
Oggi il social dreaming ha diverse applicazioni, a partire dal lavoro di consulenza organizzativa, allo scopo di riflettere sulle condizioni dell’organizzazione committente, per identificare i problemi e le questioni più urgenti che il gruppo affronta in ambienti competitivi. Si presenta, dunque, come il ripensamento della natura stessa del sognare, attraverso l’invenzione di un metodo per catturare i sogni in un setting diverso da quello psicoanalitico che ha dominato la scena dall’inizio del ventesimo secolo.
Uno dei primi e più naturali ambiti applicativi del social dreaming è il mondo del lavoro. Gli ambienti organizzati sono, infatti, il luogo in cui gli individui trascorrono gran parte del loro tempo e investono gran parte delle proprie risorse vitali, benché essi non siano sempre favorevoli alla vita. L’ipotesi di lavoro è, allora, che l’intensità emozionale generata dalle pressioni interne all’organizzazione si esprimerà simbolicamente nei sogni dei membri.
La funzione sociale del sogno
Il Social Dreaming diventa così un potente strumento per favorire un cambio di prospettiva rispetto al pensiero ricorrente intorno all’organizzazione d’appartenenza. Partendo dal presupposto che i sogni riflettano in parte la realtà interna dell’individuo e che possano contenere elementi simbolici e significativi, tale pratica, all’interno di un contesto organizzativo, può, infatti, facilitare la comprensione degli aspetti inconsci, dei desideri, dei conflitti e dei bisogni che possono influenzare il clima organizzativo e le dinamiche di gruppo. Ed essere, di conseguenza, un utile strumento per promuovere la consapevolezza, la comprensione e il cambiamento all’interno di un gruppo, perché consente ai partecipanti di esplorare nuove possibilità, generare insight e sviluppare soluzioni innovative per affrontare le sfide organizzative in modo più efficace e inclusivo.
ll Social Dreaming svolge, in definitiva, un ruolo significativo nel facilitare un cambio di punti di vista rispetto al pensiero ricorrente intorno all’organizzazione d’appartenenza. Questo approccio innovativo offre un’opportunità unica per esplorare i processi inconsci, i desideri nascosti, i conflitti e le dinamiche sottili che possono influenzare il clima organizzativo e le relazioni interne. In questo senso, rappresenta un’opportunità unica per esplorare l’inconscio collettivo, stimolare la creatività, favorire la comprensione reciproca e promuovere il cambiamento all’interno dell’organizzazione.
Attraverso la condivisione dei sogni e la riflessione collettiva sui loro significati, anche nella variante creativa, i partecipanti possono, infatti, sviluppare una prospettiva più ampia, generare insight profondi e contribuire alla costruzione di una cultura organizzativa più consapevole, partecipata e resiliente.
[1] «Nei gruppi strutturati che condividono uno scopo, accanto al livello razionale, pratico, esiste un livello immaginario in cui l’organizzazione è costantemente sognata. Il loro contenuto manifesto, al di là del significato latente, aiuta a comprendere la cultura del gruppo, le ansie e le preoccupazioni.» In Gordon W. Lawrence, Introduzione al social dreaming. Trasformare il pensiero, Edizioni Borla, Roma, 2008.
[2] In Gordon W. Lawrence, Ibidem.
[3] «Nei gruppi strutturati che condividono uno scopo, accanto al livello razionale, pratico, esiste un livello immaginario in cui l’organizzazione è costantemente sognata. Il loro contenuto manifesto, al di là del significato latente, aiuta a comprendere la cultura del gruppo, le ansie e le preoccupazioni.» In Gordon W. Lawrence, Ibidem.
[4] In Gordon W. Lawrence, Ibidem.
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