Tra le soft skill richieste dal mondo del lavoro si è affermata nel corso degli ultimi anni l’intelligenza emotiva. L’autoconsapevolezza che caratterizza chi è particolarmente dotato di questa competenza personale e sociale non è più, tuttavia, prerogativa dei singoli ma riguarda anche le organizzazioni. Anche ai gruppi, in altre parole, è richiesto il possesso di abilità emotive, relazionali e di autoanalisi dell’immagine trasmessa all’esterno, per consolidare il senso di fiducia di cui il mercato ha bisogno. Il destino delle aziende, allora, è nelle mani del leader e delle sue scelte che condizionano la coesione, il senso di appartenenza e la stabilità affettiva, dimensioni dinamiche del funzionamento dei gruppi in cui ha un ruolo determinante l’attenzione al fattore umano.
Premesse
Le ragioni che motivano il mio lavoro di ricerca interno all’intelligenza emotiva nelle organizzazioni derivano essenzialmente
- dagli studi della psicologia moderna che, con Salovey, Meyer, Gardner e Goleman, hanno posto l’accento sull’importanza della vita emotiva, spesso inconscia, nella presa di decisioni delle persone;
- dalla scoperta, accanto ad un “fattore g” d’intelligenza individuale, di un “fattore c”, detto fattore d’intelligenza collettiva che teorizza l’esistenza di una mente del gruppo e che, di conseguenza, si riferisce alle organizzazioni come a organismi viventi;
- dalle trasformazioni economiche in atto per effetto dell’avvento delle nuove tecnologie che, implicitamente, riportano il fattore umano al centro delle negoziazioni e delle transazioni, comprese quelle di natura commerciale.
Il primo punto mi offre la possibilità di confermare che cosa si intenda con intelligenza emotiva e di spiegare che essa può essere definita come la capacità degli individui di riconoscere, comprendere, esprimere e controllare le emozioni (autoconsapevolezza), nonché di gestirsi in modo responsabile ed efficace, di riconoscersi come membro di una collettività (consapevolezza sociale) e di empatizzare con gli altri, intrattenendovi gratificanti e proficue.
La consapevolezza del leader
Autoconsapevolezza e consapevolezza sociale che, secondo le più recenti e accreditate teorie sulle caratteristiche fondanti le organizzazioni di successo, sono proprio le skill fondamentali dei leader migliori. Frederic Laloux, il sociologo francese autore del best seller Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza umana, teorizzando l’evoluzione delle organizzazioni umane come un riflesso dell’evoluzione dell’interiorità umana (e con questo passo al secondo punto), in proposito afferma che non c’è nessuna evoluzione per l’azienda, oltre il grado di consapevolezza del suo leader. Il suo modello di organizzazione ideale, definito “teal”, forma organizzativa che supporta e permette il pieno sviluppo del potenziale umano, si fonda
- sull’autogestione,
- sull’auto-organizzazione,
- sulla valorizzazione di ogni persona nella sua interezza,
attraverso la proposizione di uno scopo aziendale evolutivo condiviso che allinei tra di loro i valori degli individui con la vision del leader.
All’interno di tali auspicabili ed ideali organizzazioni,
- la leadership è distribuita e
- le carriere emergono organicamente dall’interesse delle persone, dalle loro vocazioni e dalle tante opportunità di apprendimento e di crescita che continuano a crearsi in un posto di lavoro caratterizzato da una maggiore libertà da parte di chi lo vive.
Intuizione spirituale che ispira una grande svolta all’interno di delle teals: creare uno spazio che sostiene l’individuo nel suo cammino verso l’autorealizzazione e la pienezza. In proposito, il sociologo francese scrive che Cose straordinarie iniziano ad accadere quando abbiamo il coraggio di portare al lavoro tutto ciò che siamo.
Fiducia e motivazione
L’innovazione di Laloux è perfettamente coerente con quanto, d’altro canto, afferma Daniel Goleman, psicologo e divulgatore, il quale spiega che non sempre è possibile assumere in azienda persone che poi dovranno essere motivate con i corsi di formazione ma che, piuttosto, l’indagine preventiva intorno ai valori individuali dei candidati agli incarichi di lavoro possa aiutare il leader a selezionare i profili di personalità più coerenti con i valori dell’organizzazione e più motivati a sposarli perché li condividono.
E che, alla luce delle recenti trasformazioni economiche, la prima fonte di ricchezza per un’organizzazione oggi è saper creare un clima di fiducia, sia verso l’interno, in quanto ambiente di lavoro, che verso l’esterno, coinvolgendo mercato e fornitori nel sentiment che nasce all’interno, proprio per effetto della motivazione, e che si diffonde tutt’intorno. Sentimet che viene, dunque,
- innescato dal leader,
- sostenuto dalla qualità delle relazioni tra tutti i membri, leader compreso, che compongono a danno vita all’organizzazione e
- amplificato dalle emozioni che essa suscita dentro e fuori.
L’intelligenza emotiva
Goleman, autore del best seller Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, in proposito spiega che l’intelligenza emotiva, una delle nuove competenze richieste, secondo il World Economic Forum, per affermarsi nel mondo del lavoro, incide per circa il 67% delle competenze complessivamente richieste, contro un 33% appannaggio delle competenze tecniche e del tradizionale QI. E che, nel caso del leader, la percentuale d’incidenza cresca fino all’85%.
Significa che ai leader è ormai richiesto di dare un’anima alle organizzazioni che guidano. Perché le organizzazioni sono fatte da uomini. Goleman, peraltro, rileva, attraverso l’analisi dei dati di numerose ricerche, la stretta correlazione tra l’intelligenza emotiva dei team e le performance che sono in grado di ottenere. E come anche le organizzazioni, al pari delle persone, siano tenute a perseguire l’autoconsapevolezza.
Riconoscere le emozioni che circolano nel team e gestirle diventa, così, una prerogativa imprescindibile per il leader ispirato di un’organizzazione emotivamente intelligente che desideri innescare il prezioso Effetto Medici, così chiamato dall’imprenditore svedese-americano Frans Johansson allorquando uno studio pubblicato ad Harvard nel 2004 ha evidenziato quanto lo sviluppo della creatività incida sul successo delle organizzazioni caratterizzate da una buon clima di accoglienza e di relazione.
Nasce così l’idea di una chiara dicotomia tra un’auspicabile leadership risonante (o leadership consapevole, caratterizzata da elevati livelli di intelligenza emotiva) ed il suo opposto che Otto Scharmer chiama “punto cieco della leadership”.
Il punto cieco della leadership
Scharmer, professore al MIT di Boston, spiega che leadership e management, troppo di frequente studiati a livello di prodotto e di processo, hanno bisogno di nuove chiavi di lettura, a partire dal piano della motivazione profonda. La sua Teoria U, chiamata Teoria del punto cieco della leadership, analizza la realtà organizzativa in modo accurato, sovvertendo i paradigmi abitualmente adottati dalle aziende, i cui processi si muovono lungo l’asse del tempo, partendo dal passato per realizzare un futuro che, inevitabilmente, finisce con il replicare e riprodurre il passato stesso.
Il processo di analisi e ricerca ha, viceversa, bisogno di profondità, come scendere nella pancia della U, con mente, cuore e volontà aperti, per rompere i vecchi schemi, affrancandosi dalle abitudini e dalle incrostazioni del passato, dalle idee preconcette e dai pregiudizi. In basso, al centro, l’impresa incontra il suo punto cieco, laddove si trova la vera coscienza di sé, da cui trae la forza per risalire, attratta da un futuro differente da tutto ciò che si è lasciato nel passato e finalmente libera da esso. Laddove si gioca, dunque, la partita tra la vita e la morte dell’organizzazione che accomuna il destino del leader al viaggio dell’eroe: risalire con una nuova consapevolezza o soccombere, risucchiato dalle ombre del passato.
Organizzazioni come organismi viventi
Il bisogno di autoconsapevolezza nelle organizzazioni è, peraltro, spiegato molto bene dal modello teorico della finestre di Johari che, di fatto, affronta il terzo punto in premessa.
Si tratta uno schema interpretativo e d’azione messo a punto nel 1955 dagli psicologi americani Joseph Luft e Harry Ingham per osservare e agire in contesti di comunicazione interpersonale, di dinamica di gruppo o tra gruppi e spiegano molto bene il concetto dell’autoconsapevolezza e dei rischi connaturati all’assenza di consapevolezza. E vale tanto per le organizzazioni, dal momento che abbiamo comprese che per esse, in quanto organismi viventi, vale il medesimo principio applicabile alle persone.
Secondo questo strumento, le interazioni interpersonali tra gli individui e quelle tra i sistemi, ad esempio, negli scambi tra le aziende e l’ambiente economico (mercato, clienti, fornitori, fruitori, followers, banche, pubbliche amministrazioni ecc.), avvengono all’interno di uno schema composto da quattro quadranti che ne definiscono le dinamiche, le qualità e le caratteristiche. E ne determinano successi e fallimenti.
Le finestre di Johari
Luft e Ingham spiegano che ogni comunicante, termine generico con cui possiamo indicare una persona o un gruppo di persone, è dotato di
- di una finestra pubblica, chiamata arena, in cui confluisce ciò che egli sa di sé e che sanno anche gli altri,
- di una finestra privata, chiamata facciata, in cui confluisce ciò che egli sa di sé e che gli altri ignorano,
- di una finestra nascosta, chiamata punto cieco, in cui confluisce ciò che gli altri sanno del comunicante ma che quest’ultimo ignora di sé e
- di una finestra segreta, chiamata ignoto, in cui confluisce ciò che ignorano del comunicante sia egli stesso che gli altri,
e che il livello di autoconsapevolezza dipende dalla quantità di informazioni presenti nella prima, ovvero nella finestra pubblica.
Poiché, infatti, per trasmettere fiducia, il vero motore dell’economia (specie in regime di offerta ampia e diversificata), e mantenere il proprio posizionamento nel mercato, l’organizzazione ha bisogno di infondere emozioni positive, sia all’interno che all’esterno, il suo successo dipende dall’autoconsapevolezza, cioè dalla trasparenza, traducibile in quantità di informazioni contenute nella finestra pubblica, laddove si incontrano le sensazioni che l’organizzazione stessa ritiene di evocare ed il feedback del mondo fuori in coerenza con esse.
E per trasmettere emozioni positive all’esterno serve che le emozioni positive si diffondano principalmente all’interno e che si traducano in ascolto, qualità delle relazioni, empatia, benessere e condivisione di cui solo un leader fortemente consapevole può farsi garante.
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