Che i nostri figli saranno chiamati a svolgere lavori che oggi ancora non esistono è un dato ormai assodato. L’onda lunga della crisi e l’avvento delle moderne tecnologie stanno cambiando tutti i parametri del mondo del lavoro. Davanti alle incertezze sul futuro (vedi argomento pensioni, calo demografico, evasione fiscale), servono nuovi strumenti. Soprattutto, servono nuove idee per star dietro a questa evoluzione. Certo, il mercato premierà sempre le competenze tecniche che gli esperti di qualunque settore, vecchio o nuovo, dovranno detenere e dimostrare. Ma, accanto ad esse, vi sono oggi altri tipi di “skill” (le cosiddette soft skill) che possono fare e fanno davvero la differenza nel momento in cui ci si avvicina al mondo del lavoro.
Le nuove competenze
Non si tratta solo di competenze che saranno richieste ai giovani dal 2020, in base a quanto riporta un’indagine condotta dal World Economic Forum. Le dieci competenze fondamentali nel nuovo mercato del lavoro sono trasversali, prescindono dalla competenze tecniche e dalle conoscenze (che, ribadisco, devono esserci) e riguardano anche le aziende attualmente attive. Sono, dunque, comprese quelle con grandi fatturati che potrebbero, nel volgere di poco tempo, perdere importanti fette di mercato a vantaggio di aziende più
- giovani,
- dinamiche,
- snelle,
- flessibili,
- moderne e
- innovative.
E poiché la dead-line è vicina, non adeguare le skill del management e dei collaboratori a queste nuove regole può rappresentare un grave rischio per le aziende di stampo tradizionale.
Ecco, allora la Top Ten delle nuove competenze, il cui ordine ho rivisitato alla luce della mia esperienza diretta di formatore. Tali skill sono, peraltro, sostenute dalle linee guida della Didattica per Competenze, emanata dall’Unione Europea. Con la Direttiva del 22 Maggio 2018, infatti, si profila il compito molto chiaro, demandato agli insegnanti, di fornire già a scuola
- conoscenze,
- far emergere abilità e
- permettere l’acquisizione di attitudini,
verso se stessi, gli altri e gli apprendimenti, che dovranno accomunare i cittadini europei di domani e agevolare il loro inserimento nel mondo del lavoro.
Un quadro di intenti molto preciso, insomma, che finalizza lo studio all’autonomia professionale delle nuove generazioni.
La creatività
La creatività appare come la competenza fondamentale, in quanto massima espressione dell’intelligenza della persona. Grazie ad essa, infatti, un individuo riesce a produrre soluzioni per la quotidianità con l’allenamento a rimescolare
- nozioni acquisite con
- inclinazioni e
- talenti individuali
per creare un sapere innovativo. Sorprende, tuttavia, che il World Economic Forum inserisca questa competenza solo al terzo posto di questa speciale classifica. È, però, mia idea che questa capacità sia la chiave che apre le porte a tutte le altre competenze. Basta, infatti, osservare quello che accade da qualche anno nell’economia nazionale (e mondiale) per rilevare lo scarso livello di autonomia delle persone al lavoro (e anche di quelle che ne vanno in cerca).
Poiché, infatti, in troppi attendono soluzioni dall’alto, ovvero, che qualcuno si prenda cura di loro in maniera assistenziale, sostengo fermamente che la creatività, appresa già negli anni della scuola e allenata da adulti, sia la leva per sbloccare
- spirito d’iniziativa,
- indipendenza e
- senso di responsabilità.
Solo soluzioni creative e innovative possono, infatti, far la differenza in un sistema economico in crisi.
Le soft skill del WEF
La creatività, infatti, è determinante nella
- ricerca di soluzioni a problemi complessi,
- collaborazione tra pari,
- guida dei collaboratori e
- presa di decisioni.
D’altro canto, essa è propedeutica per le altre competenze che, con le precedenti, completano il quadro delle dieci soft skill necessarie per aver successo nella sfera professionale:
- sviluppo dell’intelligenza emotiva che, a sua volta, determina
- pensiero critico,
- orientamento al compito,
- flessibilità cognitiva e
- capacità di negoziazione.
Dal momento che, nel corso del tempo e inseguendo carriere fortemente fondate su competenze tecniche, relazioni oggettuali e sulla razionalità, la creatività rischia di atrofizzarsi, esattamente come accade per i muscoli che non vengono stimolati e allenati, i manager incoraggiano oggi l’inserimento di persone molto giovani nei team, proprio perché più estrose e creative. Le aziende hanno bisogno di idee e solo le persone creative sono da stimolo per la visione nuova.
L’intelligenza emotiva
Nella mia speciale classifica, l’intelligenza emotiva, annoverata al sesto posto dal WEF, viene subito dopo la creatività (atteso che le dieci competenze devono coesistere contemporaneamente). È proprio grazie al processo creativo che emergono le emozioni personali che orientano l’agire e gli atteggiamenti verso le cose del mondo. Attraverso le attività creative, sia quelle spontanee che quelle appositamente concepite e condotte da facilitatori che sappiano instradare le persone verso l’incontro con la propria sfera intima, infatti, prendere contatto con se stessi è più facile e leggero.
Questa consapevolezza, che si esprime con la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo responsabile le proprie emozioni, plasma l’intelligenza intrapersonale che, subito dopo, diventa il mezzo per approdare alla consapevolezza sociale e alla gestione ottimale delle relazioni con gli altri (intelligenza interpersonale). È in quest’ultima fase che incontriamo, ad esempio, l’empatia, a cui puntano le aziende che cercano di mettersi al posto dei propri clienti per comprenderne bisogni e desideri, profilandone
- inclinazioni,
- passioni,
- gusti e
- abitudini,
e di offrire loro la migliore esperienza possibile, sia in termini di relazione che di prodotto.
Un approccio umanistico al futuro
Ma niente di tutto questo è possibile senza una consapevolezza, che deve essere del leader prima ancora che di tutta l’organizzazione, che generi il vocabolario (emotivo) su cui calibrare
- la comunicazione,
- il marketing,
- le relazioni, sia interne che esterne.
La creatività diventa, allora, funzionale alla crescita personale e all’intelligenza emotiva perché fa prendere contezza del modo in cui funzionano gli individui, rispetto a se stessi prima ancora che con gli altri.
Pleonastico, dunque, affermare che la scelta delle strategie e degli atteggiamenti da tenere, indipendentemente che si sia capi o sottoposti, richieda elevati livelli d’intelligenza emotiva, competenza che può essere allenata e affinata grazie alla creatività. Specie adesso che queste due competenze sono richieste dal mondo del lavoro.
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