Come ho già avuto modo di spiegare in altri articoli sull’argomento, la più grande sfida dell’uomo è la comprensione di sé, la scoperta della sua identità più vera e profonda. La seconda grande sfida con la quale si confrontano da sempre gli esseri umani è la comprensione degli altri. Se, tuttavia, è già complicato sapere chi siamo, conoscere le persone che ci stanno accanto, addirittura la persona con cui condividiamo una intera vita, può essere impresa ardua. Comprendere chi siano realmente le persone di cui ci circondiamo, i nostri genitori, i fratelli, i figli, i colleghi e gli amici, capire in che modo pensino, come vivano intimamente, come ci vedano e, in definitiva, se facciamo bene a fidarci di loro, tutto questo è avvolto da un alone di mistero. Crediamo di sapere tutto di loro, di poter prevedere i loro comportamenti e perfino i loro pensieri. Ma è davvero così?
La complessità sociale
Secondo una parte delle neuroscienze, questa domanda, che ha portato alla nascita di villaggi prima e società poi, governati da regole e leggi, è alla base del salto evolutivo che ha compiuto il nostro cervello e che ha determinato la sviluppo della neocorteccia nell’uomo, il cervello recente.
Non sarebbero state, dunque, le condizioni ambientali l’innesco per l’evoluzione fisiologica del nostro cervello ma la complessità sociale.
Dimensione che, d’altro canto, ha garantito la conservazione della specie. L’abilità che permette all’uomo di organizzarsi in gruppi e, quindi, di affrontare con l’aiuto degli altri le difficoltà, lo ha messo in condizione di salvarsi dalle aggressioni di fiere con cui, evidentemente, non poteva competere in forza ma certamente in altre capacità. Nasce così il pensiero che segna una tappa evolutiva fondamentale nella storia millenaria dell’uomo su questa terra.
Connettersi con gli altri
Non solo. Vivendo in collettività e grazie alle abilità sociali e alla capacità che possiede il cervello di connettersi con gli altri, l’uomo impara molte cose sugli altri e, loro tramite, su se stesso. È così che si scopre empatico, perché, conoscendosi e conoscendo meglio gli altri membri della specie umana fino ad accostarli a sé, riesce ad immaginare e prevederne i pensieri, i desideri e le emozioni.
L’interazione diventa, allora, strumentale all’autoconsapevolezza, poiché l’intelligenza interpersonale e, soprattutto, la consapevolezza di essere membri di un collettivo (che della stessa intelligenza sociale è una dimensione fondamentale) rafforzano la conoscenza di sé, che a sua volta, in forma ciclica, rinnova la consapevolezza dello scambio continuo con l’ambiente circostante e con gli altri.
L’uomo diventa, allora, misura di tutte le cose, potendo conoscere gli altri e il mondo tramite se stesso e se stesso tramite gli altri e il mondo, in uno scambio circolare e continuo tra circostanze che si autoalimentano. Cioè, ognuna vive dell’altra: conoscere se stessi comporta, in fondo, sorprendenti scoperte sugli altri. Significa che noi apprendiamo cose di noi stessi e del funzionamento del mondo quando conosciamo le altre persone, accettiamo i loro feedback, vediamo la realtà attraverso i loro occhi e ne osserviamo i comportamenti.
Viaggiare cognitivamente leggeri
Dagli antichi precetti dei saggi del mondo classico, le neuroscienze e la psicologia hanno compiuto molti passi in avanti, soprattutto negli ultimi decenni, cosicché lo studio sistematico delle emozioni umane, finalizzato alla comprensione del loro funzionamento, ha condotto a evidenze che hanno rivoluzionato il romanticismo, in alcuni casi, e le convinzioni preconcette, in altri, che caratterizzavano gli scenari preesistenti.
Oggi, infatti, abbiamo la conferma che le abilità sociali sono il kit di sopravvivenza per affrontare l’incertezza, l’insicurezza, le insidie e la mancanza di protezione del nostro tempo. E che le emozioni, centrali nelle abilità sociali, sono una bussola necessaria per viaggiare cognitivamente leggeri all’interno degli epocali e profondi cambiamenti che si producono nella nostra società, per prendere decisioni, dalle più banali a quelle più importanti, per orientarci nella vita, se la felicità, meta che condividiamo con gli altri perché associata anche alla qualità delle nostre relazioni, è la nostra destinazione finale. O, almeno, la nostra aspirazione.
Tendiamo alla felicità
In realtà, dovremmo essere facilitati in questa ricerca, dal momento che le nostre emozioni sono, per loro natura, eudaimonistiche, cioè tendono alla felicità. Perché hanno la funzione di informarci di quello di cui abbiamo bisogno per raggiungerla, ovvero della distanza che ci separa da essa.
Proprio in quella distanza c’è lo scoglio più difficile da superare, il nostro peggior nemico: noi stessi. E, meglio ancora, la falsa immagine che costruiamo e dietro la quale nascondiamo la nostra unicità. Abbiamo, infatti, così tante certezze su noi stessi e sappiamo così bene ciò che dovremmo fare da ignorare completamente il lato invisibile della nostra anima.
Perché, ad ogni passo, andiamo costruendo la nostra identità sociale per perseguire progetti di autorealizzazione, basati su conoscenze spesso disorganiche alla nostra vera natura, fatta dell’immagine profonda di uno sconosciuto che ci abita di cui non ci informano le norme scientifiche a cui siamo abituati a dar credito.
Lo sconosciuto che ci abita
Per certi versi, con Raffaele Morelli (Puoi fidarti di te, Mondadori, 2009), è come vivere in una costante illusione, come se uno specchio deformante ci facesse vivere una vita che non ci appartiene, modellata su una delle tante maschere che indossiamo con noi stessi e con gli altri. Il “voglio essere me stesso”, se non viene dalle radici, è solo un’illusione. Mondi invisibili, infatti, vivono dentro di noi, mondi sommersi che non sembrano affatto interessati alle conoscenze che utilizziamo per fare di conto, per dare appuntamento alle persone, per leggere un libro, per dare un’educazione ai figli, per scegliere chi votare e che si esprimono attraverso codici emotivi.
Se, allora, siamo fatti di un’essenza che vive agli antipodi dell’idea che abbiamo costruito di noi stessi, che cosa ha a che vedere questo invisibile che ci abita con ciò che crediamo di essere o con ciò che desidereremmo essere?
Il timoniere silenzioso
Questa domanda (che è anche la domanda di Edipo) è la spinta che invoglia ad indagare le leggi della natura umana che la ragione con conosce e non vede ma che pure sono all’origine del nostro essere nel mondo. Scelte, passioni, interessi, amori, la stessa vita e i suoi intrecci sono il frutto della decisione cosciente dell’uomo o del disegno sotterraneo di un timoniere silenzioso? Perché tutto ciò che crediamo di essere quasi mai corrisponde all’essere invisibile che ci fa sognare e che è alla base della nostra unicità.
Ma la nostra unicità preferisce nascondersi, non è mai a portata di mano: piuttosto, si sottrae ai riflettori del regno del visibile e dell’apparenza. E ama lasciarsi cercare dagli speleologi del sapere nel gioco dello svelamento che tutti chiamano verità.
Impeccabile… Come sempre… Esaustivo. In definitiva, in un tempo di “cupa confusione”, i tuoi scritti rasserenato. E lo fanno perché orientano il focus sui “Disvelamenti”, quindi sulle centratura interiori, quindi sulle emozioni da regolare, quindi sulle competenze emotive. Molto bello. Molto utile. Stimolante. Confortante. La Babele si attenua quando scrivi.
Grazie, Leon.
Il tuo apprezzamento per me vale doppio.
A presto.
Conoscere gli altri attraverso se stessi, conoscere se stessi attraverso gli altri, sembra un gioco di parole ma è l’inizio e la fine di un pallongismo hegheliano, il tutto è il niente, il niente è il tutto. Veicolare attraverso L’ empatia emozioni e sensazioni che ci fanno comprendere, accogliere, assistere, curare l’altro, nei suoi bisogni. Mostrare forse una sorta di simpatia, di pietas che ti ritorna come un effetto boomerang . Molto interessante la ricerca dell’ io negli altri.: immaginate, percepire e perché no concupire lo sconosciuto che è in noi…
Emilia cara, tu sei sempre capace di riflessioni profonde e puntuali. Complimenti e grazie.
Caro Stefano i tuoi scritti sono sempre grande fonte di riflessione , ispirazione per devo dire , serenità , merce davvero tara oggigiorno in questo mondo sempre più degradate verso un nichilismo cosmico , a cui andrebbe dedicata una serie , non un solo libro ! Grazie davvero di cuore , per farci pensare e riflettere , e , perché no , cercare di goderci di più questo purtroppo breve cammino chiamato VITA .
Davvero degli argomenti tanto complessi, trattati con grande proprietà e maestria.
Grazie mille, caro Valerio. Apprezzo molto le tue parole, data la tua altissima preparazione. A presto.
Grazie a te, Angelo. E complimenti infiniti per i tuoi successi che impreziosiscono il tuo interesse verso i miei contenuti.