Mi ha colpito molto la frase di Andrea Colamedici e Maura Gancitano in Lezioni di meraviglia. Viaggio tra filosofia e immaginazione, perché spiega esattamente il senso che ha (o che dovrebbe avere) la ricerca dell’identità, quale indagine tra le più affascinanti della storia millenaria dell’uomo su questa terra. Ricerca a cui, tuttavia, i più, fermi nelle loro certezze e verità, si sottraggono. Conosci te stesso è, infatti, il principio che ha ispirato il maggior numeri di filosofi e pensatori dalla notte dei tempi fino all’era moderna. Un’esortazione che è sfida e ricerca, una delle prove più impegnative a cui l’uomo si sia mai sottoposto. Buona parte delle risposte che egli ha potuto dare nel corso della storia, con la filosofia, la letteratura, la religione, la storia dell’arte e, più di recente, con la psicologia, si infrange contro il muro del principio di non contraddizione che tanto gli è caro.
La vita è luce e ombra
La maggior parte delle persone, infatti, non sa accettare che la storia che ci raccontiamo su Dio è in fondo la storia di un Dio che è insieme luce e ombra. La simultanea presenza degli opposti e la loro convivenza, il fatto che il bene possa esistere soltanto perché contemporaneamente esiste il male e che vita e morte non siano separate è per noi paradossale e perfino inimmaginabile[1].
Quando, anticamente, l’uomo coltivava con maggiore cura la propria parte sconosciuta, egli sapeva di essere esposto ad ogni possibile rischio. Nel corso del tempo, i processi di normalizzazione hanno costruito una barriera percettiva che ci fa sentire quasi sempre al sicuro. Certo, sappiamo di correre mediamente dei rischi ma non siamo più terrorizzati per il solo fatto di essere al mondo.
La tirannia della ragione
Così, i meccanismi di consumo compulsivo, di sfruttamento finalizzato al profitto e d’accumulo di ricchezze, prodotti dalla globalizzazione, hanno lo scopo di generare la sensazione di controllo e intoccabilità: non serve più, in altre parole, imparare a dominare il terrore, com’era un tempo, né riconoscere l’insensato viaggio nell’ignoto che compiamo quotidianamente senza scopo e direzione apparenti, potendo convincerci in massa della stabilità e dell’immutabilità del circostante[2].
La stessa natura, tuttavia, ci dimostra ogni giorno – e oggi ancora con maggiore forza – quanto sia sbagliato aver impostato la nostra civiltà sui principi di identità e di non contraddizione[3]. La tirannia della ragione ci induce, infatti, a ignorare l’intrinseca complessità della condizione umana che si esprime con l’inconsapevole convivenza degli opposti. Perché la ragione, a cui ci siamo votati, non è capace di contenere la contraddizione. La ragione ci obbliga, infatti, alla coerenza di pensiero e azioni, a far quadrare i conti per non correre il rischio del vuoto[4].
Quando la ragione occulta il mondo
Ma, se la ragione viene perseguita compulsivamente, da strumento di conoscenza del mondo si trasforma nel suo opposto, ovvero in strumento di suo occultamento. Bisogna, invece, padroneggiarla, in modo tale da capire quando sia il caso di ritornare al pensiero grezzo per non perdersi i migliori contenuti[5]. Questo vale soprattutto per noi che, condannati alla coerenza, facciamo coincidere il concetto di contraddizione con quello di errore. Siamo, in altre parole, abituati a pensare in maniera funzionale alla conservazione di un ordine, interno ed esterno, per via della paura dell’ignoto che abita dentro di noi e che, dall’interno, guida e indirizza le nostre azioni e le nostre scelte.
Mentre, cioè, passiamo la vita ad inseguire un falso Io, fatto delle nostre finte certezze e finte verità, in ognuno di noi c’è un’Immagine profonda e sconosciuta che forgia il nostro destino[6].
Per il bisogno di sentirsi al sicuro, per essere certi che guardando due volte nella stessa direzione si troverà sempre lo stesso mondo, abbiamo, tuttavia, costruito gabbie mentali all’interno delle quali abbiamo confinato la ragione stessa, attribuendo ai diversi sensi delle cose, spesso contrapposti, un’accezione di limite e difetto invece che di ricchezza e abbondanza: la sicurezza di ciò che è sempre identico a se stesso assume, in definitiva, la funzione di mettere a tacere il pericolo che l’uomo moderno percepisce davanti al dubbio.
Il dubbio e la verità
Ma la vera conoscenza è proprio nel dubbio e mai nelle verità. Poiché, dunque, la verità che persegue l’uomo è fatta delle promesse di benessere, di facile felicità, di conquiste e di successo a portata di mano, di risultati e denaro, coltivare la conoscenza significa diventare finalmente se stessi, accogliere l’incoerenza dell’esistenza, abbracciare il lato oscuro nella luce dell’identità, affrontare la paura del vuoto, quella che ci provoca la scoperta di essere venuti al mondo senza uno scopo e senza averlo chiesto[7].
Accettare la trasformazione e anteporla al miglioramento restituirebbe, così, un valore condiviso alla vita che, proprio per queste ragioni e nonostante le apparenze, non è per tutti. L’uomo di oggi ha, infatti, chiuso i conti con il mondo classico[8]. Egli ha, così, perso l’abitudine di compenetrare gli opposti, confermando a se stesso la convinzione che tutto sia luce e che al suo interno, ben sorvegliata, sia imprigionata l’ombra, lungi dal concepirne la contemporanea coesistenza[9]. Niente di più sbagliato e implicitamente contraddittorio.
Note
[1] Scrive Eraclito: “Il Dio è il giorno e notte, inverno ed estate, guerra e pace, sazietà e fame. E muta come il fuoco quando si mischia ai fiumi odorosi, prendendo di volta in volta il loro aroma.” Nel mondo classico la convivenza degli opposti era considerata la condizione essenziale per il funzionamento della macchina del moto perpetuo di cui era garante un Dio che mescolava e unificava gli opposti, al di là del principio di identità e di non contraddizione, mentre l’uomo, che imitava il Dio come poteva, non credeva affatto che qualcosa potesse essere soltanto quella cosa. La compresenza degli opposti ha trovato spazio nella mente umana fino al momento in cui Socrate e Platone hanno compiuto l’atto rivoluzionario di creare la ragione, l’unica dimensione in grado di separare la luce dall’ombra e di impedire la con-fusione dei due poli. Ancora oggi questa separazione è per noi imprescindibile. In Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Lezioni di meraviglia. Viaggio tra filosofia e immaginazione, Edizioni Tlon, Roma, 2017.
[2] In Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Ibidem.
[3] Per il principio di identità, una cosa può essere solo se stessa e non può mai essere contemporaneamente anche il suo opposto (A è A e non può essere non-A). Con Aristotele, il principio di non contraddizione afferma che è impossibile che una stessa cosa sia e non sia allo stesso tempo. L’uomo moderno ha impostato la sua vita intorno ad essi, confidando di restare sempre uguale a se stesso, che, ad ogni risveglio, il mondo sia sempre nello stesso posto e che non cambi nulla durante il suo sonno. Ogni cosa può essere solo se stessa, perché il mondo non deve sparire. In Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Ibidem.
[4] Oggi siamo tutti costretti alla coerenza dei nostri discorsi e quando scriviamo qualcosa siamo obbligati a far tornare i conti, a farli quadrare. Il pensiero, da pensum, indica la materia prima, grezza, che per i latini si riferiva a una determinata quantità di lana pesata che veniva data alle filatrici: il pensiero è quella lana ancora grezza, piena di tutto ma impossibile da indossare. Spetta alle filatrici, la ragione, affinarla, lavorarla, renderla utilizzabile e indossabile.
[5] Ritornare alla lana grezza per non perdersi i fili più pregiati (Cit. in Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Ibidem).
[6] In Raffaele Morelli, Puoi fidarti di te, Mondadori, Milano, 2009.
[7] Scrive Emil Cioran ne Il funesto demiurgo: “Trovare che tutto è privo di fondamento e non farla finita non è un’incoerenza: spinta all’estremo, la percezione del vuoto coincide con la percezione del tutto, con l’ingresso nel tutto. Si comincia finalmente a vedere, non si va più a tentoni, si è più sicuri, più forti. Se c’è una possibilità di salvezza fuori dalla fede, si deve cercarla nella facoltà di arricchirsi al contatto con l’irrealtà”.
[8] Uno dei grandi problemi della spiritualità e della filosofia contemporanea è proprio l’assenza di radicamento nel lato scuro. Per contro, secondo i filosofi greci tutto il mondo era un’alternanza di luci e di ombre. In Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Ibidem.
[9] Ciascuno di noi ha un’immagine di quello che crediamo di essere o di quello che dovremmo essere, e quella immagine, quel ritratto, ci impedisce nel modo più assoluto di vedere come realmente siamo. (Cit. in Jiddu Krishnamurti, Libertà dal conosciuto, Ubaldini, Roma, 1973).
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