La fiducia, più che un principio, un valore, è un elemento costitutivo della vita degli individui. C’è chi vive in funzione degli atti fiduciari e chi invece li considera di secondaria importanza. C’è, dunque, chi impronta la propria esistenza alle buone relazioni (che si basano sulla fiducia) e chi, invece, si accontenta di una fiducia solo parziale che dura per un periodo di tempo estremamente breve, ben sapendo, fin dall’inizio, che quel lasso di tempo molto presto volgerà al termine. Questa evidenza ha notevolmente modificato, nel corso della storia dell’umanità, il rapporto delle persone con la fiducia. Il nodo, se vogliamo, è che essa presuppone sempre la lealtà, valore poco praticato dall’uomo moderno, ragion per cui l’aberrazione del tradimento costituisce il venir meno di un atto costitutivo della socialità stessa, di un atto fondante delle relazioni stabili che oggi si vanno via via perdendo.
La speranza e la fiducia
Anche l’idea stessa di riporre speranza nell’avvenire, completamente stravolta dalla storia recente, getta l’uomo moderno in un clima di tale incertezza da scoraggiarlo a investire nella direzione della fiducia. La speranza e la fiducia sono atti sospesi che, per concretizzarsi, hanno bisogno dell’altro. Ma qual è l’idea che oggi abbiamo dell’altro?
La verità è che, nel nostro tempo, è molto raro che le relazioni durino oltre gli anni della scuola, che ci siano relazioni amicali così forti, durature e stabili da resistere al logorio del tempo e di tutte le interferenze che il tempo globalizzato porta con sé. Il motivo è che la velocità con cui intratteniamo le relazioni non aiuta a coltivare il concetto originario di fides. Dove, allora, siamo davanti a vere relazioni fiduciarie, le pensiamo come eccezioni. Ma non dovrebbe essere così.
Avere fiducia oggi richiede tempo. E la gente non ha più tempo. L’idea stessa del tempo si è completamente stravolta. Il tempo futuro non esiste più. Esiste solo il tempo in cui tutto accade, il presente dilatato. Se qualcosa esiste e prende vita, allora, è perché succede adesso. Con la conseguenza che tutto quello che è fuori dall’immediatezza e che appartiene al tempo futuro non ci riguarda, non ci preoccupa e non viene neanche più percepito. L’uomo moderno, del resto, è educato ad avere tutto con un clic: perché dovrebbe attendere, progettare, rimandare?
Generazione “Tutto e subito”
Nella vita di relazione, questo porta al consumismo dell’uomo che non è più solo consumatore compulsivo ma oggetto stesso di consumo compulsivo. Questi
- calo del desiderio,
- rinuncia all’attesa,
- perdita del tempo,
- necessità di avere tutto e subito,
- velocità con cui si consumano le relazioni, la medesima con cui consumiamo la stessa relazione con noi stessi e con la tecnologia,
frustrano il bisogno naturale di trovare e coltivare lo spazio interiore di ascolto e di accoglienza che permette alla fiducia di radicarsi.
La verità è che
- la rapida ascesa sociale,
- la veloce crescita del web e la
- nuova, strana e alquanto bizzarra idea del tempo
autorizzano le persone a credere di poter fare tutto da sole, di non aver bisogno di nessuno. E questo determina il crollo delle relazioni fiduciarie. Ecco che “l’altro” diventa, quindi, del tutto marginale. La fiducia rischia così di scomparire in nome
- dell’uniformità,
- del conformismo e
- della propaganda.
E chi la pratica, di fatto, lo fa solo dove e quando è strettamente indispensabile o addirittura irrinunciabile (per esempio nei confronti del medico o, al limite, del commercialista).
La fiducia tecnica
Ma quello che più colpisce è che a questa pratica ormai si accosta un effetto che definire paradossale è dir poco. In questo periodo, infatti, si sente parlare sempre più spesso del bisogno di fiducia, come mai è accaduto in altri momenti storici. Basta sfogliare un quotidiano, ascoltare il tg o leggere le notizie del giorno, per accorgersi che forse la parola più abusata è proprio la fiducia. Succede, allora, che quella stessa fiducia che non pratichiamo più nel privato, adesso, ci viene richiesto di averla
- nelle banche,
- nei mercati,
- nel governo,
- nei luoghi di lavoro, tra colleghi in ufficio,
per poter venire fuori dalla crisi, per poterci gettare alle spalle i momenti di difficoltà. Cioè, ci viene richiesto un uso tecnico della fiducia che è una contraddizione in termini. Perché la fiducia nasce nei circuiti limbici, mentre ogni manipolazione è una abile macchinazione razionale.
Siamo al paradosso dell’uomo moderno. Se, da una parte, sembra che la fiducia non serva più nella vita sociale, dall’altra ci viene richiesto ugualmente di nutrirci di fiducia per contribuire al miglioramento collettivo. La fiducia di cui sentiamo parlare oggi, infatti, non è più quel dono sacro che deriva dalla valutazione soggettiva: noi che riponiamo e concediamo la fiducia a qualcuno che consideriamo intimo, che amiamo e che abbiamo scelto. La fiducia di cui oggi si parla si basa solo sul cinismo e sull’ipocrisia:
- non coinvolge, in alcun modo, le nostre emozioni e
- non ci fa sentire meglio.
Fiducia in un mondo migliore
Però, al tempo stesso, non ci scomoda più di tanto. Perché nessuno sembra preoccupato dai tradimenti che sono amaramente già messi in conto. E questo è ciò su cui dovremmo riflettere. Almeno finché esiste un modo per salvare questa pazza umanità: migliorare la relazione con se stessi per ritrovare il rispetto per gli altri e per la vita. Che, dal mio punto di vista, è l’unica ricetta per impedire l’estinzione del “vivente a vanvera parlante”.
Come conclude Marco Balzano, che mirabilmente illustra nel suo libro “Le parole sono importanti” l’etimologia della fiducia, il problema più alto, in questo momento, è che molto probabilmente l’uomo non ha più fiducia nella fiducia stessa. Perché la fiducia che viene proposta dall’attuale sistema di comunicazione è solo un atteggiamento
- artificioso,
- imposto,
- calato dall’alto.
Una fiducia da prendere a scatola chiusa insomma, deprivata della componente fondamentale della partecipazione. Una fiducia praticata meccanicamente e che già in sé è un ossimoro, un tradimento della Fides latina, in quanto Dea, e di tutti quegli aspetti che la potrebbero davvero rinvigorire, restituendole quella dignità di radicamento, di lentezza e quell’etica che appartiene alla conoscenza umana. Nel momento in cui per noi l’altro non esiste più ed esiste soltanto l’Io dell’uomo contemporaneo, praticare questo atto di fede verso il prossimo appare in effetti qualcosa di molto difficile ma certamente un valore da coltivare come sfida per un mondo e un futuro migliori.
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