Il silenzio ha molti modi per esprimersi, poiché esso contiene in sé tracce di mistero e di oscurità. È affascinante, così, scoprire che le parole che aiutano a vivere nascono da quel silenzio e muoiono nello stesso silenzio, in una circolarità che non ha fine. Sono molti i modi attraverso cui il silenzio e la parola si intrecciano: c’è il silenzio dell’attesa degli amanti, c’è il silenzio che non richiede le parole, c’è il silenzio che, invece, le rende vive e palpitanti. C’è, poi, un silenzio che si sostituisce completamente alla parola nel parlare di dolore, di angoscia ma anche di gioia e di speranza. E poi c’è un silenzio oscuro, poco intellegibile, ambiguo, ambivalente nei suoi significati.
La parola ha bisogno di ascolto
Il punto, tuttavia, è che difficilmente rinunciamo alla parola. Sono le parole, infatti, che ci permettono l’incontro con il mondo. Ma le parole da sole non bastano. Se le persone, al cui indirizzo le parole vengono preferite, non hanno la sensazione di essere ascoltate, le parole preferite si svuotano completamente di significato, smettono di essere leggere e diventano
- opache,
- umbratili,
- confuse,
scrive Eugenio Borgna nel libro “Le parole che ci salvano”, in bibliografia a questo articolo e a cui è ispirata la mia conferenza dal titolo Costruirsi persona – Le parole che ci salvano.
Del resto, la parola non ha senso senza il silenzio. Il silenzio è, infatti, spazio prezioso per l’ascolto. Ascolto che, d’altro canto, significa relazione. Perché è con l’ascolto che si scopre la condivisione.
Ma questo è tempo di brusio di sottofondo e di rumore che non fa pensare, che nega il silenzio e, di conseguenza, l’ascolto. Così anche la parola cade nella trappola del rumore. E nessuno ama il rumore. Perché il rumore è confusione e la confusione è la negazione della fusione, della condivisione.
Perché, infatti, ci sia fusione nell’esperienza di incontro che rappresenta il dialogo con l’altro, serve che vengano azzerate le due dimensioni essenziali di
- spazio e
- tempo
che mettono gli interlocutori su piani diversi. Ma questo accade solo allo stesso piano del silenzio. Non posso, infatti, non ammettere un tempo interiore dell’altro né considerarmi su di un piano differente, se intendo creare relazione e ascolto. E il tempo e lo spazio interiori sono in diretta relazione con l’intrinseca fragilità delle persone che è la loro stessa essenza. La nostra stessa essenza.
Elogio del silenzio
Ogni silenzio ha un proprio linguaggio che non è facile cogliere e decifrare. Ci vuole impegno e attenzione. E pochi hanno la pazienza dell’attesa nel silenzio. Eppure, spesso, siamo tentati di guardare al silenzio come a qualcosa di inutile e di negativo, qualcosa da coprire con la parola.
Ma molte volte quel silenzio, che appare così sfolgorante e positivo, non ha bisogno di essere tradotto in parole. Non tutto, infatti, nella vita è dicibile. Non tutto può essere espresso, può essere detto a parole. Ci sono, infatti, condizioni dello spirito, dell’anima, che hanno a che fare con il “non detto”, addirittura con il “non ancora pensato”, che nasce e si esprime in un silenzio interiore. Perché quello stesso silenzio ha prima bisogno di essere ascoltato per poi, successivamente, essere espresso in tutta la sua pienezza e dirompenza.
Ecco che in questi casi la “parola che tace” diventa molto più importante della “parola che parla”.
Fragile è il silenzio
Le parole nascono dal silenzio e muoiono nel silenzio. Nonostante ciò, parole e silenzio sono fatti di consistenza differente: il silenzio è più fragile della parola, perché il silenzio parla solo attraverso il linguaggio
- dei volti,
- degli sguardi,
- delle lacrime,
- dei sorrisi.
E il linguaggio di questo silenzio, per le persone miti che si esprimono nel silenzio, acquista significato solo quando si accompagna alla luce misteriosa dell’interiorità che si esprime in quello spazio d’ascolto. Per questo, solo un dialogo infinito con il silenzio e con la sua fragile evanescenza consente di cogliere le ferite dello spirito che non possono essere espresse, perché sfuggono agli occhi della ragione calcolante.
Come la parola che diventa terapia, la “parola taciuta”, più che la “parola parlata”, in quanto silenzio, esprime il suo massimo potenziale di rimedio all’altrui dolore, come cura delle ferite e della più profonda fragilità.
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