Dopo molto tempo e un buon lavoro su di me e sulla mia consapevolezza, tanto emotiva, quanto relativa al mio personale modello di leadership, posso affermare di aver modificato la mia condotta alla guida del mio team. Un tempo non troppo lontano, il nervosismo caratterizzava lo stilema interattivo dei miei collaboratori che, di fatto, rispecchiavano il mio. Il che, ad un certo punto, mi fece comprendere che essi non si sentivano al sicuro con me, facevano rispettare rigidamente le regole perché temevano di perdere il loro posto di lavoro e, in poche parole, non si fidavano di me, come loro leader. Adesso che tutto è cambiato, posso fare tesoro della mia esperienza personale e condividerla con voi.
La paura del leader
Temere i propri leader è sempre un atteggiamento che nuoce alla leadership, ai team di lavoro e, per estensione, al business dell’azienda. Se, infatti, le condizioni in cui siamo costretti a lavorare sono cattive, impieghiamo tutto il tempo e le nostre energie per proteggerci da chi può decidere di noi o per noi. E questo danneggia qualsiasi organizzazione. Viceversa, e questo adesso è il clima che si respira nella mia squadra, quando l’azienda fa sentire al sicuro, i talenti e le forze si moltiplicano. In tal modo, tutti al suo interno lavorano per cogliere le opportunità, concentrandosi su di esse e, al tempo stesso, fronteggiando i pericoli che provengono dall’esterno.
In un certo senso, un grande leader deve sapersi comportare da genitore. E, come ogni bravo genitore, egli vorrà dare opportunità, istruzione e precetti ai figli, per metterli sulla buona strada della vita. Anche se questo vuol dire, in alcuni casi, dire di no e fare la voce grossa.
Ecco: quello che ho capito a mie spese è che i grandi leader vogliono esattamente le stesse cose per i propri collaboratori, affinché essi siano autonomi nel provare e sbagliare per affermare la loro personale leadership su se stessi e crescere in autostima. Solo immaginando per loro risultati migliori rispetto a quelli immaginati per se stessi i bravi leader raggiungono grandi traguardi.
Agire da bravi genitori
Certo, può essere che l’azienda debba attraversare un periodo di crisi. Ma un buon genitore si farebbe mai accarezzare dall’idea di licenziare uno dei suoi figli se riporta un cattivo voto a scuola? Allo stesso modo, dunque, i collaboratori non andrebbero mai licenziati per questioni di rendimento; piuttosto, si rivelerebbe vincente offrire sostegno e supporto davanti ad un fallimento personale perché ognuno possa superare limiti e barriere che, in fondo, pone tra sé e la piena realizzazione di sé.
Se vogliamo, in questo risiede il motivo per cui la gente detesta i grandi manager dagli stipendi dorati e dai mille privilegi. Non è una questione di numeri: è che non aderiscono in alcun modo all’idea stessa della buona leadership. A loro vengono mosse le accuse di sacrificare con troppa facilità le persone (che si fidavano di loro) per proteggere interessi personali.
Il che è in sé una violazione del loro mandato che esercitano per conto della società. Se, infatti, qualcuno avesse assegnato un premio da centinaia di migliaia di euro a Gandhi o a Madre Teresa di Calcutta, nessuno avrebbe da ridire. Il perché è semplice: perché sono due grandi leader, di quelli che non sacrificherebbero mai le persone per salvare i numeri. Anzi: tutti sanno che entrambi, senza esitare, sacrificherebbero i numeri per salvare le persone.
Sicurezza e protezione
Simon Sinek, nella foto, riporta, in proposito, l’esempio di un bravo manager, un vero buon padre di famiglia, di nome Bob Chapman, alla guida di una grande azienda manifatturiera che, duramente colpita dalla recessione del 2008, in quegli anni si trovava a fare i conti con un sofferto programma di licenziamenti.
Il suo credo, disapprovato dal Consiglio d’Amministrazione, tradotto in parole semplici, suonava più o meno così: “E’ molto difficile ridurre il numero di cuori”. Così, si fece venire in mente un programma di licenze non retribuite che annunciò in un modo che convinse tutti: “È meglio che tutti noi soffriamo un po’ piuttosto che permettere che qualcuno di noi soffra molto”. Il morale si risollevò subito e, cosa inaspettata, il ritrovato ottimismo portò nuova linfa vitale nell’ azienda che, di lì a poco riprese i suoi cicli produttivi a pieno ritmo, portandosi fuori in poco tempo dalla zona rossa.
Quando le persone si sentono al sicuro e protette dalla leadership, la reazione più immediata e naturale, infatti, è fidarsi e collaborare.
Prendersi cura
La leadership è una scelta. Non è un rango. Quindi, non è ereditabile e non può (o non dovrebbe) essere imposta. Molti, troppi quadri e dirigenti di aziende si atteggiano istericamente a leader, senza esserlo affatto. Fanno i capi, esercitano la loro autorità, in molti casi il loro piccolo potere su sottoposti che non li seguirebbero mai e che non si fidano minimante di loro.
Poi ci sono, e personalmente conosco molte persone, lavoratori che non occupano posizioni gerarchiche di rilievo o che, molto spesso, sono ai livelli più bassi nelle aziende in cui operano che, tuttavia, sono leader in tutto e per tutto.
Queste persone sono leader perché hanno scelto di prendersi cura delle persone che hanno accanto. Ecco chi sono i leader.
Il senso della leadership
Simon Sinek racconta una storia che spiega bene il senso della leadership. Pare che in una circostanza, dopo che i Marines ebbero finito di mangiare, l’ufficiale, che secondo la tradizione deve mangiare per ultimo, non trovò più nulla per sé. Gli stessi uomini, quando furono sul campo di battaglia, si preoccuparono di portare il cibo all’ufficiale, in modo che lui potesse mangiare. “Perché è così che vanno le cose”, spiega il teorico del cerchio d’oro. “Li chiamiamo leader perché vanno per primi. Li chiamiamo leader perché si prendono dei rischi prima di chiunque altro. Li chiamiamo leader perché sceglieranno di sacrificarsi, in modo che le persone possano sentirsi sicure e protette.”
Al momento giusto, quando servirà, gli altri ricambieranno con il sacrificio e la dedizione, in modo del tutto naturale. Se qualcuno chiedesse loro “Perché lo fai?”, l’unica risposta sarebbe: “Perché loro avrebbero fatto la stessa cosa per me”.
Non è forse questo il tipo di azienda in cui tutti noi vorremmo lavorare?
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