Cresce, secondo gli ultimi dati raccolti dal Ministero dell’Istruzione, il numero di famiglie che in Italia scelgono l’homeschooling. Ossia, che non mandano i figli a scuola per educarli a casa. Troppo presto, forse, per collegare la scelta con i problemi della didattica a distanza imposta dalle misure anti-pandemia. È sufficiente fare un breve giro tra i blog e le pagine web di chi ha scelto l’homeschooling per notare che il fenomeno era già diffuso prima del Covid-19 e per capire che alla base di questo sviluppo c’è la voglia di dare ai propri figli un’educazione ispirata a una pedagogia diversa da quella offerta dalle istituzioni. E, soprattuto, ritagliata sulle esigenze individuali. La parola d’ordine dei fautori dell’educazione parentale è, infatti, personalizzazione a fronte di una scuola che a loro avviso standardizza le competenze e le nozioni richieste.
L’homeschooling in Italia
Nel nostro Paese è una scelta perfettamente legale, contrariamente a quanto avviene in altri paesi come la Germania, dove è vietata ed assimilata ad una forma di abuso parentale. Ma a partire da quest’anno qualcosa è cambiato. Con i decreti attuativi della Buona Scuola è stato, infatti, introdotto l’esame annuale obbligatorio per chi sceglie l’homeschooling, basato sui contenuti dei normali programmi scolastici. Contro questa costrizione, operativa già dall’anno scolastico 2017-2018, si stanno mobilitando i gruppi che si battono a favore dell’educazione parentale. Secondo i sostenitori dell’istruzione in casa, l’acquisizione delle competenze, almeno per quel che riguarda la scuola primaria, deve avvenire nell’arco dei canonici cinque anni previsti, senza rigide tappe intermedie.
Le scuole Waldorf
Al medesimo principio si ispirano le scuole Waldford, che seguono la pedagogia di Rudolf Steiner. Esse, infatti, si troverebbero fuori legge, se l’obbligo di esame fosse applicato anche alle istituzioni private con orientamenti pedagogici particolari. Pur non praticando l’homeschooling, i bambini che frequentano le scuole steineriane sono lasciati liberi di imparare a leggere e scrivere nel momento in cui ne sentono il bisogno. Solitamente non prima della seconda, terza elementare.
Ecco perché, per i sostenitori delle pedagogie alternative, il momento più adatto per fare una verifica, sempre che sia necessaria, sarebbe alla fine del ciclo quinquennale, quando i bambini hanno una preparazione più o meno analoga a quella dei loro coetanei che frequentano la scuola pubblica.
L’unschooling
L’introduzione di esami obbligatori in casa mette in crisi, in particolare, il modello più estremo di educazione parentale, il cosiddetto unschooling. Il teorico principale, l’educatore statunitense John Holt, sostiene che la capacità dei bambini di apprendere spontaneamente è maggiore se sganciata da qualsiasi schema di orario o contenuto. «Le famiglie che scelgono l’unschooling non hanno un programma prefissato, perchè quel che si studia può dipendere anche da ciò che accade quel giorno, dal meteo, dal livello di stanchezza del bambino e così via», spiega Erika Di Martino, fondatrice del sito Controscuola e del Network Italiano di Educazione Parentale, madre di cinque figli tutti educati in casa. «Ecco perchè gli esami annuali sono incompatibili con questo metodo didattico e rischierebbero di comprometterne l’efficacia».
Tuttavia, non tutte le forme di educazione parentale sono altrettanto destrutturate. Negli Stati Uniti, dove l’istruzione domiciliare ha una lunga tradizione, esistono anche programmi pedagogici molto strutturati. Tra i vantaggi dei metodi strutturati:
- la possibilità di rientrare più facilmente nel sistema scolastico in qualsiasi momento e
- il minor investimento da parte dei genitori in termini di tempo e di capacità didattiche.
Lo svantaggio, per contro, è la perdita dell’individualità, che sembra essere il fattore principale nella scelta di tenersi i figli in casa.
I risultati
Riguardo ai risultati che ottengono i bambini e i ragazzi educati dai genitori (o da precettori), dal punto di vista scolastico, mancano dati italiani e ci si deve affidare a studi statunitensi che, tuttavia, giungono spesso a conclusioni discordanti.
Una delle obiezioni più comuni avanzate nei confronti dell’educazione parentale é che i bambini che non vanno a scuola rischiano di restare isolati socialmente. Numerosi studi collegano, infatti, la capacità di socializzare allo sviluppo
- di una solida identità di sè e
- di una buona autostima.
Tuttavia, i bambini che stanno a casa sembrano sviluppare entrambe queste doti ai massimi livelli, contrariamente a molti loro coetanei che vivono in un ambiente dove vengono costantemente giudicati. Lo riferisce Daniela Ovadia nell’articolo “Tutti a casa”, pubblicato dalla rivista Mente & Cervello di Ottobre 2017. Il livello di socializzazione dipende, tra l’altro, secondo l’autrice, dalle scelte genitoriali. Alcune famiglie, infatti, proprio per ovviare all’isolamento dell’educazione domiciliare, iscrivono i propri figli a sport di squadra o ai gruppi scout, per consentire loro di confrontarsi con un gruppo di pari al di fuori della cerchia familiare.
Pro e contro dell’homeschooling
Dagli studi americani emerge, inoltre, che nelle piccole città risulta più semplice conservare una buona socializzazione, a differenza di quanto accade nella grande città. Per questo l’homeschooling ha maggiore presa nelle realtà periferiche, poiché nelle evolute metropoli la combinazione dei due fattori può risultare maggiormente isolante.
Che non sia tutto oro quello che luccica lo dimostra, tuttavia, l’esistenza negli Stati Uniti e in Israele, altro paese dove l’educazione domiciliare è molto diffusa, di associazioni che aiutano i ragazzi educati a casa ad affrontare i problemi che sono connessi con l’homeschooling. Secondo Adat Bauer, fondatrice di un gruppo di aiuto per ragazzi istruiti a casa con sede a Gerusalemme, per alcuni genitori l’istruzione deve riflettere in tutto e per tutto i valori familiari.
Se ciò appare, da un certo punto di vista, comprensibile, dall’altro, non è sano. E’, infatti, dal confronto con portatori di valori differenti che si sviluppa lo spirito critico. Per la Bauer, è proprio lo stretto legame con i genitori il problema principale di molti homeschooler. Un legame che, in talune circostanze, può diventare patologico.
La sfiducia verso la scuola
In Italia, sembrerebbe che la scelta di istruire i figli in casa nasca dal senso di sfiducia nei confronti della scuola pubblica. Ma i dati d’oltre oceano rassicurano: anche chi ha un difficile rapporto con l’istituzione scolastica non considera definitiva la scelta dell’educazione parentale. A volte, ad esempio, l’allontanamento dall’ambiente scolastico in favore delle mura domestiche è solo temporaneo per chi è stato vittima di bullismo, così come per i ragazzi che manifestano la depressione adolescenziale attraverso la fobia scolastica.
Certo è che i tempi sono cambiati, visto che andiamo sempre di più verso una didattica personalizzata sui bisogni dei singoli. E che, come dicono gli studi, i buoni voti a scuola non sono garanzia di successo nella vita. Una domanda, però, sorge spontanea: e se si fosse in predicato di tornare ai precettori di qualche secolo fa, tanto per difendersi da vere o presunte minacce dell’ambiente scolastico?
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