Questo signore nella foto è Howard Gardner. E’ un insegnante e psicologo americano. Le evidenze del suo lavoro nascono dall’osservazione dei bambini tra i banchi di scuola e fino all’età adulta e dimostrano che non esiste correlazione diretta tra prestazioni scolastiche e successo nella vita. Gardner, a cui sono legati gli studi e la teoria delle intelligenze multiple, è stato il primo, infatti, a smontare decenni di ricerche sull’intelligenza, in relazione alla quale la visione scientifica dominante non prendeva in considerazione le ingerenze della vita mentale emotiva.
Le intelligenze multiple
In effetti, la visione delle scienze umane è molto cambiata da quando la psicologia ha compreso il potere delle emozioni nella vita delle persone.
Se siamo arrivati a queste conclusioni, il che oggi è un dato acquisito dalle neuroscienze, lo si deve anche al suo contributo. La parola chiave di questa nuova concezione dell’intelligenza umana è multipla. Ovvero, Gardner dimostra l’infondatezza della visione dell’intelligenza come fattore unitario immutabile e misurabile in termini di Q.I. a vantaggio di una visione dinamica, le cui risultanze sono, in sostanza, la sintesi di una gamma di talenti. Egli ne individua sette differenti tra i quali gli individui tendono a svilupparne alcuni più di altri:
- l’intelligenza logico-matematica e
- l’intelligenza verbale, che insieme compongono l’intelligenza scolastica;
- l’intelligenza spaziale, tipica degli artisti;
- l’intelligenza musicale, osservabile, ad esempio, nel genio di Mozart;
- l’intelligenza cinestetica, osservabile nella fluidità dei movimenti. Infine,
- l’intelligenza interpersonale, tipica dei grandi leader, e
- l’intelligenza intrapersonale che origina da efficaci introspezioni e riflessioni intorno a se stessi.
L’intelligenza personale
Le ultime due costituiscono l’intelligenza personale. Ed è proprio a quest’ultima che dedica particolare attenzione per sconfessare la superata visione degli psicologi cognitivisti, secondo cui l’intelligenza era la risultanza di una elaborazione fredda e metodica dei fatti.
Comparando
- le sue ricerche su classi definite Spectrum (in cui ai ragazzi più bravi venivano proposte prove basate sui diversi talenti con esiti che smentivano le valutazioni scolastiche) con
- due indagini condotte da George Vaillant, la prima su 95 studenti di Harward (i più brillanti da grandi non si differenziavano quasi per nulla, per risultati ottenuti, rispetto ai meno capaci negli anni del College),
- la seconda su di un campione di 450 studenti preadolescenti (all’età di 47 anni, il 7% di loro che, da ragazzi, avevano un Quoziente d’Intelligenza, misurato con la scala Standford-Binet, inferiore a 80, era in condizioni di precariato lavorativo, esattamente come la stessa percentuale di altri con QI superiore a 100 durante gli anni della scuola),
è stato possibile osservare solo una generale interrelazione tra i livelli di QI e il livello socioeconomico raggiunto. Ma anche che la grande differenza la facevano le abilità altre maturate durante gli anni dell’avvio delle ricerche, come
- la capacità di tollerare e superare le frustrazioni della vita,
- controllare le emozioni e
- andare d’accordo con gli altri.
Il successo personale
La discriminante del successo personale, in altre parole, era ed è l’intelligenza complessiva in cui giocano un gran ruolo l’empatia e l’intelligenza emotiva. Essa, infatti, risulta fondamentale come meta-abilità, dal momento che determina quanto bene le persone riusciranno a servirsi delle proprie capacità (tra cui, quelle tipicamente intellettive). Il QI esaminato nei giovani studenti, secondo gli studi di Gardner, contribuisce al più in ragione del 20% alla riuscita nella vita adulta, restando l’80% appannaggio di tutte le altre abilità descritte.
Sapere, dunque, che un uomo (o una donna) è stato un brillante studente può essere, al massimo, predittivo rispetto al suo successo e dimostra un’abilità, quella scolastica, che non dice nulla su come reagirà alla vicissitudini della vita.
La scuola come educazione alla vita
Qual è, dunque, il ruolo della scuola?
In questa visione, la scuola come educazione alla vita non è più quella dei bravi, quella che vuole uniformare la preparazione di tutti ai medesimi standard, quelli auspicati dai programmi didattici, bensì quella che riesce a valorizzare le risorse e i talenti personali. Incoraggiando gli studenti a sviluppare la gamma completa delle abilità, tra cui ognuno potrà scegliere quella a cui attingere per avere successo.
Bisognerebbe considerare che una classe è l’embrione di una società, in cui ci sarà il sindaco, l’avvocato, l’ingegnere, il politico, il meccanico, il musicista, l’impiegato, il grafico pubblicitario ecc.. Se considereremo questo, la didattica potrà essere basata su modalità trasversali di proporre l’insegnamento. In modo, cioè, da far emergere i talenti e le risorse individuali, senza che l’idea dell’apprendimento sia livellata verso le aspettative della scuola (o dell’insegnante, talvolta) che vorrebbe (o che agisce come se si aspettasse) una società di soli sindaci!
Per approdare a questo, c’è una sola strada: valorizzare le dimensioni emotive dell’apprendimento. Il “come” che rende i contenuti accessibili a tutti.
Molto utile e vero
Grazie, Enrico.
A presto
Stefano Centonze
Articolo interessante… c’è però qualche refuso da correggere…
Acc… deve essermi sfuggito. Lo faccio subito.
Grazie
Stefano Centonze
Io penso che ci sono troppi finti prof che si fingono capaci di fare studi seri.
Lo studio si basa su delle ipotesi facilmente smontabili e sinceramente si soprendo che ci sia gente che si sforza di fare dei ragionamenti cosi’ illogici prendendosi la briga pure di pubblicarli e pubblicizzarli.
La societa’ non si basa solo su principi meritocratici e non tutti partono dalle stesse condizioni sociali per cui creare una relazione tra intelligenza e successo nel lavoro è palesemente errato. Spero ci siano sociologi con un piu’ alto QI , perche’ ne abbiamo bisogno.
Definire Gardner, Golemam ecc. dei finti “prof” mi sembra, quanto meno, irrispettoso e azzardato.
L’articolo non punta l’attenzione sul rapporto tra intelligenza e successo nella vita ma tra quest’ultimo e il rendimento scolastico.
Chi, come lei, ha idee opposte ha la grande possibilità di pubblicare le propre evidenze e farsi strada con il proprio valore, senza denigrare quello altrui. Abitudine, peraltro, tutta italiana di chi vuole criticare a tutti i costi ma senza avere, in fondo, nulla da dire.
Liberta’ di pensiero e di dissentire devono essere garantiti in una società che voglia definirsi evoluta. Ma il livore è incompressibile e inammissibile.
Grazie per il suo commento.
Stefano Centonze
sarei curioso di leggere la replica ad una riposta, quella di Stefano Centonze, che pur accettando un pensiero diverso che peraltro non fornisce alternativa, non si abbassa all offesa.
Complimenti, questa è una lezione pratica di intelligenze multiple.
Grazie mille, Massimiliano.
Il suo commento è cortese ma temo che resterà inascoltato. Pazienza. Lo scopo non è “duellare” ma confrontarsi e, se possibile, arricchirsi.
Ancora grazie
Stefano
I voti, per mia esperienza, sono strettamente correlati a fattori soggettivi per bisognerebbe insegnare agli insegnanti a giudicare oggettivamente. Non riesco a spiegarmibene scusate. Poi bisognerebbe spiegare ai discenti, fin dalla più tenera età, che un dieci non ti garantisce un brillante futuro e un sei non ti marchia come fallito. Purtroppo di parole è pieno l universo, ma di gente che coglie la capacità al di là delle essere bravo a ripetere mnemonicamente, ne esiste poca. La discussione come scambio di opinioni e la valorizzazione di attitudini è lontana, si partecipa ad aggiornamenti e lezioni di evoluzione, ma la pratica dov è?
Gentilissima Anna,
la ringrazio moltissimo per il suo commento.
Concordo pienamente con le sue considerazioni e con ogni sua parola.
La risposta alla sua domanda meriterebbe un giusto approfondimento. Ritengo, personalmente, che si tratti dell’annosa questione se sia più importante il “che cosa” o il “come” si insegna. L’aggiornamento degli insegnanti oggi dovrebbero, mio avviso, riguardare la seconda dimensione, non essendo affatto in discussione le conoscenze dei docenti. Il “come” si dice (e si trasferisce qualsiasi informazione) è la chiave dell’intelligenza emotiva che permette una didattica trasversale, non piatta, fruibile a tutti. Se l’argomento è di suo interesse, le suggerirei anche questi altri miei articoli:
– La relazione educativa: voti più alti con insegnanti più simpatici o
– Formarsi alla consapevolezza
che rispondono un po’ alla sua domanda di “pratica”.
Il resto, andrebbe visto in appositi percorsi ad hoc (che, peraltro, organizzo e di cui i miei lavori sono reportage). Dalla mia esperienza, però, troppo spesso l’insegnante (per ragioni che non sto a sindacare) sceglie corsi di aggiornamento sulla materia e non sulle dimensioni emotive della relazione educativa che stimolerebbero il dialogo con lo studente. A volte, si tratta di difficoltà o restitenza a mettersi in gioco… Nel mio piccolo, provo a diffondere questa cultura: persone come lei senz’altro aiutano in questo senso.
Grazie e a presto.
Stefano Centonze
Buongiorno e grazie per il bellissimo articolo. Posso farle solo una domanda? Che utilità ha specificare che si tratta di un insegnante e psicologo americano di ‘origini ebraiche’? lo chiedo senza alcuna polemica ma solo per capire……..la ringrazio molto per una sua risposta. Claudia Terracini
Gentilissima Claudia,
lei ha ragione. Il dettaglio non è di alcuna utilità: è semplicemente una nota biografica, così come riportata da Wikipedia, senza alcuna attribuzione di merito o valore (né del suo contrario).
Nulla di più.
Grazie per il suo commento.
A presto
Stefano Centonze
Che poca sensibilitá ed empatia trovo ci sia nelle nostre scuole.. Non c’é che raro ascolto o sensibilitá , i ragazzi sono spesso dei contenitori da riempire, non c’é quasi dialogo o scambio ….e se vai male a scuola sarai un perdente nella vita. Questo specialmente nelle scuole “di serie A” i licei! certi licei. che bocciano a tutto spiano per far vedere quanto sono bravi ,selettivi e competitivi (Io insegno e ho tre figli quindi un po’ so di cosa parlo…)
Gentilissima Raymonda,
come darle torto? Quello che dice, purtroppo, ha riscontri reali, come la sua stessa esperienza insegna.
Mauro Scardovelli sostiene che dovremmo tornare ad avere maestri e non insegnati, poiché i primi plasmano le menti, mentre i secondi continuano a riempirle di contenuti.
Le invio migliori saluti.
Stefano Centonze
Ho letto un po tutti i commenti ed è verissimo ci vorrebbero maestri non insegnanti per di più e io non volevo crederci che vanno come si suol dire a simpatia, mia figlia al terzo anno di liceo scientifico ne ha subito di ogni, dai compagni fatte sole tre assenze per motivi di salute, mentre qualcun’altro in classe ha fatto 40 assenze mai presentanta alle interrogazioni non avendo nemmeno i libri di testo solo perché la mamma è andata a piangere perché hanno problemi a casa è stata rimandata e mia figlia bocciata solo perché è stata discontinua negli studi, tra le altre cose io sono stata avvisata due giorni prima dell’uscita dei quadri, e da premettere che andavo ogni mese e nessuno mi ha mai detto niente…che scuola è questa…??!!! Mah!
Gentile Angela,
le esperienze di tutti portano a credere in cose anche diverse e opposte tra loro.
Per la sua esperienza personale mi spiace molto. So che situazioni come queste sono accompagnate da una serie di condizioni che, a volte, non si prendono in considerazione con la giusta importanza.
Il maestro-insegnante, per riprendere l’immagine, è quello che può insegnare, ascoltare, accogliere e instradare. Naturalmente, prima che gli studenti prendano derive.
Auguro il meglio a lei e sua figlia, nella convinzione che non sarà un anno perso a scuola a pregiudicare la nostra felicità.
Grazie e a presto.
Stefano Centonze
Leggo i suoi argomenti con grande interesse, alle conclusioni poi di questo articolo potrei sovrapporre un’infinità di casi in cui mi sono imbattuto sul lavoro.
Grazie, Stefano.
Mi farebbe molto piacere leggere qualcosa della sua esperienza. Se mi manderà suoi scritti, mi piacerebbe molto pubblicarli e condividerli.
Grazie davvero e, spero, a presto.
Stefano Centonze
È vero…le variabili per il successo da adulti sono tante ( compresa la fortuna e il milieu in cui si nasce); ma questo non è un buon motivo per non studiare, tanto più che, soprattutto per persone che non hanno le spalle coperte, lo studio diventa un mezzo di riscatto, personale e sociale, e un modo importante per trovare anche un lavoro…
Che, poi, l’intelligenza non sia correlata ai voti scolastici, è un fatto. Ma quelli che hanno “avuto successo” nella vita, comunque, indipendentemente dai risultati tra i banchi di scuola, ad un certo punto, hanno dovuto mettersi a studiare…
…e, spesso, la fortuna è proprio nei libri e nella conoscenza. Anche se vengono aperti lontano dai banchi di scuola.
Il punto di vista del mio lavoro è che il successo di ognuno dipenda dalla valorizzazione delle proprie risorse. Valorizzazione che, se, da un parte, può essere sganciata dai voti, non può certamente essere sganciata dalla conoscenza (e dallo studio).
Grazie per il suo commento che condivido in pieno, Angela.
A presto
Stefano Centonze
Le intelligenze multiple non sono ancora accettate da molti e dire che i napoletani sono secoli che le usano nel quotidiano,definite in modo dispregiativo in Arte di arrangiarsi.
Grazie, Francesca.
Il suo contributo è condivisibile. Il popolo napoletano è creativo quasi “per definizione”.
A presto
Stefano Centonze
Mio figlio ha 4 in italiano e 9 in disegno sono disperata.
Bene cerchi il miglior pittore che ce’
Vero. Bene coltivare i talenti.
Grazie.
Il fallimento della scuola impresa che predilige i progetti spesso inutili che l’acquisizione delle competenze
Gentile Anna,
comprendo il suo punto di vista. Personalmente, mi sto impegnando molto per far cambiare le cose. Saluti e grazie.
Grazie per l’articolo e per il Suo lavoro. Sono felice di averLa scoperta e La seguirò. Mi occupo da anni di tali argomenti e sostengo con forza questa posizione. Sogno una scuola che rispetti davvero ogni individuo nella sua unicità, sappia metterlo in valore e fornirgli gli strumenti adeguati per potersi evolvere.
La ringrazio molto per le sue parole. Sì, credo anch’io ad una scuola sappia valorizzare i talenti. C’e’ molto lavoro da fare.
A presto.
buonasera Raymonda, la risposta la divido in due parti, una parte i professori e l’altra per gli alunni:
per i prof e maestre/i direi, come fanno insegnare valorizzando ogni alunno per le proprie attitudini avendo un programma “standard”? e allo stesso tempo avendo una grande responsabilità in che percentuale secondo lei lavora per soldi o per passione?
Per gli alunni: secondo me sono più intelligenti di noi anni ’80 ma più fragili però senza più rispetto per qualsiasi regola, abbandonati per la maggior parte a loro stessi complice una instabilità socio economica diffusa per la classe media.
Questo è quello che vedo, osservo dai miei ragazzi e partiamo dalle elementari fino alle superiori.
Mi dispiace per i professori che insegnano con difficoltà, per gli alunni che non usciranno formati dalle scuole RISULTATO finale è la percentuale degli studenti che si laureano, bassa!!
Buonasera, Franco.
Condivido quello dice e la ringrazio per il Suo commento. Tuttavia, fare didattica personalizzata in classe si può. Ne parlo anche in altri articoli. sarò felice di suoi eventuali ulteriori contributi.
Cordialità.
Stefano Centonze
Sono un’insegnante di scuola primaria e concordo pienamente con lei. Ogni alunno è portatore di conoscenze e abilità indipendentemente dalla scuola. In una classe ci sono molteplici diversità che rendono unici i bambini. C’è già un piccolo artista o chi ha una mente più logica oppure chi sa mettere su un foglio pensieri stupendi. Per quanto mi riguarda faccio di tutto per far sviluppare in loro curiosità e voglia di conoscere indipendentemente dal voto che d’altronde metto raramente. Ad onor del vero io tornerei alla valutazione con i giudizi dove era possibile descrivere le potenzialità di ognuno che non possono essere sintetizzate in un voto. Complimenti per il suo bellissimo articolo.
Grazie mille per le belle parole e complimenti per il suo punto di vista che, da professionista dell’educazione, arricchisce senz’altro il mio. Accrescere la curiosità dei bambini è l’arma vincente per un docente.
Grazie per il suo commento.
A presto
Stefano Centonze