E’ un dato di fatto: gli studenti hanno voti più alti con gli insegnanti più simpatici. Ma, allora, che cos’è la simpatia? E’ la capacità di ognuno di “sentire insieme”, di condividere uno stato emotivo. Se l’insegnante possiede questa dote, riesce a sintonizzarsi meglio sulla condizione mentale dello studente. Anche gli studenti si lasciano coinvolgere più volentieri in una lezione spiegata con il sorriso, con degli esempi che facilitino la comprensione e con l’entusiasmo dell’insegnante. In questo modo, si affezionano alla persona e, di riflesso, alla materia che insegna. Con risultati migliori dal punto di vista del rendimento scolastico.
L’analisi
Ho già avuto modo di occuparmi di quella che dovrebbe essere una didattica trasversale. Una didattica rivolta ad una collettività (la classe), fatta da persone che hanno diversi gradi di accesso all’apprendimento, basata sul come viene proposta una lezione, oltre che sui contenuti. Per esperienza personale, posso affermare che l’insegnante efficace è sempre dotato di empatia e di simpatia. Riesce, cioè, con la prima, a cogliere limiti e difficoltà, con la seconda, a catturare l’interesse della scolaresca. Dalla fusione di queste due grandi capacità nasce l’insegnamento trasversale, modulato anche in funzione della valorizzazione dei talenti personali degli studenti, al di là delle esigenze dei programmi ministeriali.
E’ solo utopia? No. Ma lo diventa, se non si tengono in considerazione anche limiti oggettivi che riguardano
- estrazione sociale,
- livello culturale delle famiglie,
- predisposizione allo studio e
- motivazione
degli studenti. Oltre che delle condizioni ambientali generali di lavoro. Insomma, l’insegnante deve anche essere messo in condizione di poter svolgere al meglio il proprio compito. Altrimenti, c’è poco da essere simpatici.
Che la scuola sia un’organizzazione complessa e stressata non lo scopriamo certamente adesso. Come pure non è nuovo che l’insegnante sia chiamato spesso a fare anche da terapeuta delle frustrazioni familiari, ruolo, peraltro non suo. Almeno, non con quel livello retributivo. Ma questa è un’altra storia.
La mia esperienza personale
La scuola degli ultimi anni è profondamente cambiata. Ai miei tempi, negli anni ’80, era più facile. E, probabilmente, questo mio articolo avrebbe incontrato più favori in quell’epoca. C’era anche un’idea diversa del rispetto che, a quanto pare, oggi manca. Tuttavia, proprio la trasformazione a cui abbiamo assistito suggerisce quanto bisogno ci sia di fare un passo indietro.
Al Liceo Classico “Palmieri” di Lecce, che ho frequentato, le condizioni per studiare erano ideali. Ottimi insegnanti, ambiente mediamente sereno. Io ero molto bravo in lettere ma ero completamente negato per la matematica che, per un motivo o per un altro, proprio non voleva saperne di farsi amare da me. L’insegnante di algebra e geometria era un vero genio. Era tanto preparato quanto severo ma durante il biennio del Ginnasio non ricordo di averlo visto sorridere. E quando spiegava non ci capivo niente.
Studiare a casa, poi, era una fatica enorme. Con la preoccupazione dell’interrogazione, imparavo tutto quello che potevo a memoria. Con il Liceo cambiò il professore. Giovanni Sorrento, questo il suo nome, cambiò completamente la mia prospettiva. Era sorridente, preparato, simpatico e spiegava sempre con passione e portando esempi di applicazioni pratiche delle sue materie. Una volta, mentre faceva un’espressione alla lavagna, commise un errore e arrossì. Bene, non avete idea di quanto ciò lo rese umano agli occhi della classe. In fondo, era tutto quello che volevamo: un signore simpatico che capisse anche le nostre difficoltà.
In poco tempo mi innamorai delle sue materie. Portai fisica all’esame di maturità del 1986 e poi mi iscrissi a Economia e Commercio. Primo esame: Analisi Matematica con il temutissimo prof. Scolozzi. Presi 27/30.
Ecco: con me ha funzionato. Poi, per attitudine personale, sono tornato sulle materie umanistiche. Ma la mia passione restano i numeri.
La formazione dei formatori
Che significa formare? L’atto del formare non è solo limitato al mero trasferimento di nozioni. Questa, infatti, è informazione, non formazione. Formare implica, viceversa, un processo a due vie, con informazioni che vanno verso lo studente e feedback di ritorno. Poiché l’interlocutore dell’insegnante è lo studente, egli non può non tener conto della risposta che riceve, spesso sul piano emotivo. Tale risposta riguarda l’efficacia del modo in cui le nozioni vengono rese. Ecco perché formare vuol dire:
- rendere fruibili conoscenze, ma anche (e soprattutto, direi)
- plasmare le menti, i contenitori di quelle conoscenze.
Su questo principio si basa la mia attività di formatore del personale docente delle scuole. Non sul che cosa ma sul come insegnare, che poi è ciò che avvicina o allontana lo studente.
Da almeno 15 anni ormai conduco laboratori esperienziali per la formazione di operatori della relazione d’aiuto, educatori e insegnanti.
Faccio la formazione ai formatori (e ai futuri formatori) attraverso i diversi linguaggi della creatività che caratterizzano il Metodo Autobiografico Creativo per l’Intelligenza Emotiva che ha nella Tecnica della Fiabazione un momento fondamentale. Scopo delle attività: riscoprire la creatività come momento di apprendimento sulla consapevolezza di sé e dell’altro. L’idea che intendo trasferire nei laboratori formativi, in linea con il mio pensiero, è che qualunque apprendimento non sia solo un fatto cognitivo ma che coinvolga soprattutto la dimensione emotiva. Il che, a sua volta, comporta una rielaborazione di tutte le conoscenze preesistenti, comprese quelle su se stessi. E’ l’idea, per meglio dire, che non esista esperienza, neanche quella formativa – con particolare attenzione al rapporto insegnante/alunno – che non passi per il corpo. O, ancora, che non esista formazione che possa prescindere da un rinforzo delle capacità espressive e relazionali.
Dimensioni emotive e dinamiche di gruppo
Nel corso degli anni, ho avuto il piacere di lavorare con molti gruppi di formatori. Con il gioco, le fiabe e la creatività, abbiamo riflettuto e discusso insieme su quanto sia necessario:
- ottimizzare la comunicazione;
- migliorare empatia, socialità e relazioni;
- accrescere il vocabolario emotivo per comprendere gli altri e farsi comprendere;
- prevenire lo stress e il burn out;
- collaborare nel gruppo dei pari;
- gestire efficacemente la leadership e le dinamiche di gruppo;
- migliorare attenzione, concentrazione e benessere psicofisico;
- sviluppare creatività e problem solving;
- stimolare la riflessione sulle proprie modalità di entrare in relazione;
- promuovere la dimensione emotiva dell’apprendimento;
- sviluppare le capacità di utilizzare al meglio le risorse individuali e collettive.
Riscoprire la creatività nelle sue diverse espressioni, infatti:
- facilita l’esperienza del personale vivere su di sé nuove dimensioni emotive,
- aiuta ad assumere nuove informazioni sul proprio personale modo di relazionarsi agli altri e
- a comprendere le modalità con cui gli altri si relazionano a noi.
Per questo, le conoscenze assunte aiutano anche a scoprire come fare a piacere un po’ di più. Vale per la formazione su se stessi ma anche per un aggiornamento degli strumenti che quotidianamente l’insegnate usa per incoraggiare l’autonomia e lo sviluppo dei talenti personali degli studenti.
Bibliografia e fonti
In materia di scienze umane, ogni evidenza è desumibile da osservazione ed esperienza ma impossibile da incasellare in risultati statistici con rilevanza scientifica. Per approfondimenti, tuttavia, rimando principalmente agli studi di Thomas Gordon (Insegnanti efficaci, Giunti Editore), di Howard Gardner (studi sulle intelligenze multiple) e di Daniel Goleman (Empatia e intelligenza emotiva).
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