Che cosa succede, nel cervello del bambino dislessico in relazione alla produzione e alla comprensione del linguaggio? I moderni strumenti d’indagine, che permettono di vedere il cervello in azione, hanno modificato le concezioni dominanti per buona parte del secolo scorso. Dalla teoria localizzazionista, che considerava l’area di Broca e l’area di Wernicke come predisposte a tali funzioni, di fatto, si passa ad un modello più evoluto. Modello di pensiero secondo cui le funzioni linguistiche non vengono considerate di competenza di poche, ben definite, aree. Ma dove la produzione e la decrittazione dell’informazione linguistica interessano, piuttosto, gran parte della neocorteccia e delle reti neurali distribuite in aree diverse dell’encefalo.
L’esperienza tedesca
Nel 2003, la scienziata tedesca Angela Friederici, docente dell’Università di Lipsia, condusse un esperimento sulle aree cerebrali nelle quali viene elaborata l’informazione linguistica. Essa, secondo questo interessantissimo contributo, è dovuta alla cooperazione di gruppi neuronali diversi, implicati nel passaggio che porta da un input acustico all’interpretazione di ciò che è stato udito.
Attraverso la misurazione dell’attività cerebrale di soggetti che svolgevano diversi compiti, Friederici osservò che enunciati diversi sollecitano in diverso modo l’area di Wernicke.
- In particolare, secondo le sue ricerche, nell’area anteriore verrebbero mappati soprattutto gli aspetti sintattico-grammaticali delle frasi ascoltate.
- Viceversa, all’area mediana spetterebbero e rappresentazioni dei significati.
- L’area posteriore, infine, sembrerebbe coinvolta in entrambi i compiti e potrebbe fungere da catalizzatore per favorire la sintesi di significati e grammatica.
Integrazione di processi
Come si integrano, dunque, questi processi? Si direbbe che il cervello proceda prima a decifrare la struttura sintattico–grammaticale e, subito dopo, il contenuto di una frase. Esattamente come in un modello a “catena di montaggio”, in cui i singoli aspetti vengono elaborati
- in parte con una modalità sequenziale,
- in parte integrandoli in parallelo.
L’interpretazione globale di un enunciato è, così, il punto di arrivo di tutto questo processo a cui partecipa anche l’emisfero destro, deputato in maniera prevalente a decodificare gli aspetti paraverbali. Dunque,
- intonazione,
- ritmo e
- accento del linguaggio.
Comprensione del linguaggio e dislessia
Bene. Questo processo è, di fatto, in soggetti dislessici ad un certo punto va in cortocircuito. Ma è anche vero che, con questa scoperta e con il progredire della ricerca, inizia ad intravedersi la possibilità di mettere a punto sistemi di comprensione e di riabilitazione dei disturbi del linguaggio. Deficit che colpiscono le persone sia nell’età dello sviluppo, compromettendo il rendimento scolastico e una buona comunicazione col prossimo, sia in età adulta, facendo perdere capacità già acquisite.
Secondo neurologici e psicologi, sono tre gli elementi fondamentali che compongono l’attività linguistica:
- la capacità di produrre linguaggio,
- di comprenderlo e
- di ripetere quello prodotto da altri.
È, però, difficile distinguere le competenze di ogni semplice funzione linguistica da quelle che coinvolgono altre e differenti capacità cognitive. Alcuni pazienti, per esempio, faticano a trovare i nomi esatti ma solo di alcune categorie semantiche. Questi particolari disturbi hanno fatto ipotizzare l’esistenza di sistemi di immagazzinamento del linguaggio differenziati per le diverse tipologie di parole.
Grammatica e linguaggio dei segni
Idem per la grammatica. Per cui la domanda è se il deficit che riguarda quest’ultima in persone con dislessia sia una ridotta capacità del linguaggio o una struttura superiore che coinvolge altre funzioni. Il che ha portato, successivamente, anche a indagini sul linguaggio dei segni (o lingua dei segni, come oggi alcuni preferiscono dire). La grammatica spaziale che lo contraddistingue potrebbe caratterizzare anche le altre forme del linguaggio, come per esempio la posizione del verbo in una frase.
In un articolo pubblicato dalla rivista Mente e Cervello nel Maggio 2003, l’autore, Ludwig Jager, afferma che
- le conclusioni degli studiosi della materia sostengono l’ipotesi che la produzione di frasi grammaticalmente semplici sia una specificità del linguaggio.
- Viceversa, quella di frasi sintatticamente complesse è sia una proprietà linguistica che una capacità logica.
- Mentre, la creazione di racconti con più frasi dipende, invece, anche dalla memoria e dall’utilizzazione di una struttura narrativa appropriata e sensata. La scrittura e la lettura seguono, generalmente, in tutte le forme di deficit, il destino del linguaggio parlato.
Differenze tra diverse lingue
Non è, tuttavia, una regola fissa, poiché quest’idea può coesistere con alcune differenze tra le diverse lingue. Le lingue non omofoniche, ad esempio, in cui a suoni simili possono corrispondere grafie completamente diverse, come l’inglese, creano maggiori difficoltà a soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento. Eraldo Paulesu, sottoponendo dislessici di lingua inglese e di lingua italiana a compiti di lettura implicita e ad alta voce e, successivamente, esaminandone l’attività cerebrale, ha notato un’analoga riduzione dell’attività nelle aree deputate a questi compiti. Benché il numero di errori commessi sia minore tra i pazienti italiani.
Uno studio che ha confermato l’esistenza di una base neuro-cognitiva universale della dislessia: la determinante neurobiologica a lungo sottovalutata. Partendo da queste evidenze, il neuropsicologo Chris Frith ha infine dimostrato come le difficoltà nel leggere e nello scrivere deriverebbero da un’interruzione tra le aree anteriori del linguaggio e quelle posteriori. Responsabile sarebbe l’insula dell’emisfero sinistro, una formazione della corteccia cerebrale che generalmente fa da ponte tra le aree della memoria semantica e le zone del riconoscimento fonologico.
Le stesse che oggi sono universalmente considerate responsabili della dislessia.
Riabilitare la dislessia
Se, dunque, esiste un deficit del genere, ha senso provare ad insegnare a bambini con queste difficoltà nel modo tradizionale? La risposta è no. Anzi, la soluzione migliore è valorizzare la base motoria dell’apprendimento e il gioco della motivazione che bypassa i circuiti danneggiati. Come ha potuto dimostrare il sistema delle “non parole” di Cossu. Si tratta di un gioco che prevede che i bambini imparino a leggere e scrivere usando libere associazioni di sillabe che compongono parole senza senso. Per loro si tratta di un gioco ma, dopo sei mesi, se confrontati con i bambini di età analoga che usano il sistema classico di apprendimento, risultano molto più rapidi sia nella lettura sia nella scrittura. E fanno molti meno errori di ortografia.
C’è ancora molto da scoprire e, quasi certamente, per elaborare una teoria neurale del linguaggio, occorrerà sfruttare competenze scientifiche interdisciplinari che facciano interagire strumenti diversi, al fine di raccogliere dati osservabili da prospettive differenti.
Ma ecco una nuova frontiera della riabilitazione dei disturbi dell’apprendimento e del linguaggio: il gioco, la motivazione, il movimento e…un pizzico di creatività!
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