Che cosa significa crescere per un’azienda, un’organizzazione, un gruppo di lavoro? Nell’interessante libro “Crescere è una cosa da grandi. Perché le intenzioni di un’azienda contano di più delle sue dimensioni”, l’autore, Giuseppe Morici, vicepresidente del Gruppo Feltrinelli, spiega che la crescita per un’azienda non è una questione di fatturato, dal momento che l’aumento delle sue dimensioni, della sua estensione o del numero di persone che ne fanno parte non coincide con la sua crescita: esistono, infatti, aziende di grandi dimensioni che hanno difficoltà a crescere, esattamente come, al contrario, aziende più giovani e più piccole che crescono senza modificare le dimensioni economiche, geografiche e organizzative. Questo significa che la crescita dimensionale è un possibile detonatore della crescita vera dell’azienda ma non coincide necessariamente con essa.
Evoluzione della mentalità
Si direbbe, piuttosto, che il punto centrale del tema della crescita sia un altro, e cioè quello legato all’evoluzione della mentalità, in coerenza con la sua identità.
La crescita, intesa come evoluzione della personalità d’azienda, dell’atteggiamento
- verso l’interno (le persone che ci lavorano, l’organizzazione) e
- verso l’esterno (il mercato, i clienti, i competitor, le persone),
si sgancia così in maniera definitiva dalla logica dei numeri e del profitto e si lega a dimensioni più spirituali come la fiducia, la buona qualità delle relazioni, il benessere organizzativo, la condivisione dei valori, la consapevolezza. Cioè, non ha a che vedere, dunque, con l’aumento delle dimensioni ma con la consapevolezza del suo «perché» più profondo, ciò che ne ha determinato la nascita e l’evoluzione dell’identità.
Crescere per un’azienda non è più, allora, una questione puramente economica ma di postura, di sguardo sul mondo. ”Come per un ragazzo non è una questione di peso di altezza. Chi si sognerebbe di dire che un giovane di vent’anni è più grande di un uomo di cinquanta solo perché pesa di più o è più alto? E allora perché ci ostiniamo a chiamare grandi aziende quelle che fatturano di più e che hanno più dipendenti?”, scrive Morici.
Le dimensioni non sono rilevanti al fine di definire un’impresa come una grande azienda. Quel che conta è
- la mentalità,
- la cultura,
- il modo di stare al mondo e, soprattutto,
- il modo di gestire la conversazione interna tra le persone che vi lavorano. Conservazione interna
- che è sempre premessa alla conversazione con il mondo esterno, a sua volta prodromica alla diffusione della fiducia.
Crescere in coerenza con la vision
Crescere, dunque, è una questione molto complessa che ha a che fare con la completezza e con l’integrazione più che con le dimensioni. Con lo sguardo, con la cultura, con le parole, con le esperienze, con gli incontri. E soprattutto con la possibilità [e con la consapevolezza] che concediamo a tutti questi fattori di influenzarci e di cambiarci.
L’identità, d’altro canto, è il perché profondo dell’azienda: perché è nata? Spesso è un’insurrezione rispetto allo status quo, alimentata dalla voglia di realizzare un’intuizione, di diffondere un’innovazione. Mai un’azienda nasce con il primario intento di fare soldi. Anzi, non è affatto raro l’esempio di aziende che nascono per opporsi esplicitamente al modello capitalistico. In questo senso, possiamo definire l’identità, liberamente interpretando il messaggio contenuto nel libro Partire dal perché di Simon Sinek, “il perché del perché del perché”.
Identità e crescita sono, allora, il dilemma dell’imprenditore intelligente e lungimirante, laddove il termine crescita, come detto, si riferisce unicamente alla personalità dell’azienda. Naturalmente, spiega Morici, c’è chi non si pone il problema della crescita della personalità dell’azienda, perché soddisfatto della sua identità e della sua crescita dimensionale. E c’è chi non si pone il problema di preservare l’identità, perché più interessato ad aumentare le dimensioni e a farne evolvere la personalità. In entrambi i casi si tralascia l’elemento importante: evolvere si può e si deve ma senza tradire l’identità, esattamente come, al contrario, si può rispettare l’identità ma senza ignorare il bisogno di evoluzione.
Coniugare identità e crescita
Ciò che, però, nella vita reale dell’azienda spesso accade, è che, quando essa diventa grande e dominante, dimentica il suo perché originario e si concentra sulla crescita dimensionale che confonde con la sua Vision. Il vero dilemma diventa, allora, come coniugare nella maniera migliore questi due aspetti.
La risposta, come spiega la vicenda di Spotify (che Morici prende ad esempio), è che solo l’impresa che riesce a coniugare identità e crescita crea valore. Identità e crescita sono allora dei principi che vanno declinati in virtù dei tempi diversi:
- il futuro della strategia e della visione,
- il passato dell’identità e della cultura e
- il presente del business e dell’organizzazione.
Solo in questa maniera le aziende rispettano il loro mandato che è quello di essere organizzazioni sociali con una responsabilità economica.
Identità e crescita sono, dunque, in questa accezione che promuove l’intelligenza emotiva all’interno delle organizzazioni, i veri poli della questione.
L’intelligenza emotiva nelle organizzazioni
L’intelligenza emotiva, una tra le soft skill più richieste dal mondo del lavoro secondo il World Economic Forum, si è affermata nel corso degli ultimi anni. Applicata ai gruppi, significa che l’autoconsapevolezza che caratterizza chi è particolarmente dotato di questa competenza personale e sociale non è più, tuttavia, prerogativa dei singoli ma riguarda anche le organizzazioni. Anche ai gruppi, in altre parole, è richiesto il possesso di abilità emotive, relazionali e di autoanalisi dell’immagine trasmessa all’esterno, per consolidare il senso di fiducia di cui il mercato ha bisogno.
L’intelligenza emotiva può, infatti, essere definita come la capacità degli individui di riconoscere, comprendere, esprimere e controllare le emozioni (autoconsapevolezza), nonché di gestirsi in modo responsabile ed efficace, di riconoscersi come membro di una collettività (consapevolezza sociale) e di empatizzare con gli altri, intrattenendovi gratificanti e proficue. Autoconsapevolezza e consapevolezza sociale che, secondo le più recenti e accreditate teorie sulle caratteristiche fondanti le organizzazioni di successo, sono proprio le skill fondamentali dei leader migliori.
Una nuova idea di leadership
In questo discorso si inserisce organicamente la leadership come processo collettivo, che non appartiene solo al leader ma che viene necessariamente promosso dal leader, a cui prendono parte le persone che animano l’azienda, che la compongono in quanto organismo vivente, le cui relazioni e i cui valori diventano il valore aggiunto per l’azienda, prioritari rispetto alle dimensioni e alle procedure, in un contesto competitivo che determina il successo o l’insuccesso per l’organizzazione al livello della qualità della comunicazione e degli scambi, della coesione, del senso d’appartenenza, della stabilità affettiva, del senso di responsabilità individuale e del grado di autonomia e autogestione che, insieme, concorrono a nutrire e ad alimentare il clima di fiducia, interno ed esterno, intorno all’operato dell’azienda.
Ma, per arrivare a questo, le persone devono poter essere libere di portare se stesse nel luogo di lavoro.
Frederic Laloux, il sociologo francese autore del best seller Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza umana, teorizzando l’evoluzione delle organizzazioni umane come un riflesso dell’evoluzione dell’interiorità umana, in proposito afferma che non c’è nessuna evoluzione per l’azienda, oltre il grado di consapevolezza del suo leader. Il suo modello di organizzazione ideale, definito “teal”, forma organizzativa che supporta e permette il pieno sviluppo del potenziale umano, si fonda
- sull’autogestione,
- sull’auto-organizzazione,
- sulla valorizzazione di ogni persona nella sua interezza,
attraverso la proposizione di uno scopo aziendale evolutivo condiviso che, in ottica di crescita, allinei tra di loro i valori degli individui con la vision del leader (che esprime l’identità dell’azienda). All’interno di tali auspicabili ed ideali organizzazioni, la leadership è distribuita e le carriere emergono organicamente dall’interesse delle persone, dalle loro vocazioni e dalle tante opportunità di apprendimento e di crescita che continuano a crearsi in un posto di lavoro caratterizzato da una maggiore libertà da parte di chi lo vive. Intuizione spirituale che ispira una grande svolta all’interno delle teals: creare uno spazio che sostiene l’individuo nel suo cammino verso l’autorealizzazione e la pienezza. In proposito, il sociologo francese scrive che Cose straordinarie iniziano ad accadere quando abbiamo il coraggio di portare al lavoro tutto ciò che siamo.
Leader o leadership?
Confondere la leadership con il leader è, infatti, un errore assai frequente, errore in cui sono incappati tutti quelli che hanno scritto di leadership. La leadership, però, non è una dote ma un processo, una serie di accadimenti innescati da una particolare energia e che coinvolgono più soggetti appartenenti alla medesima organizzazione sociale.
Esiste, infatti, un contesto all’interno del quale la leadership, nasce, si sviluppa, matura e produce i suoi effetti. E poi ci sono gli attori di questo processo, alcuni in posizioni visibili, altri meno.
Solo riconoscendo una leadership diffusa, essa può scongiurare l’inerzia strategica e organizzativa e assolvere pienamente al suo compito che è prevedere quello che accadrà domani, indipendentemente da chi ci sarà e nell’interesse di chi verrà, grazie al cambio di passo e alla maturazione di postura verso di sé e verso il mondo.
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