L’economia è cambiata e, con essa, il mercato del lavoro. Le repentine trasformazioni richiedono, tanto ai leader affermati quanto ai giovani, delle soft skill che permettano l’adattabilità ai cambiamenti in atto. Il successo, oggi, dipende da emozioni, risposte chiare ai bisogni e valori insiti in una nuova idea di lavoro. Il management, così, ha obiettivi rivolti al mantenimento e allo sviluppo delle relazioni, grazie a una nuova cultura delle persone che circondano produttori e consumatori di beni e servizi. L’attenzione si trasferisce definitivamente dal prodotto all’esperienza che è fatta delle emozioni che l’azienda riesce a suscitare.
Soprattutto, l’azienda e il singolo professionista devono saper ascoltare, accogliere, contenere, dare i giusti feedback, motivare, innescare sentimenti positivi e instaurare un clima di fiducia. La fiducia è, infatti, la moneta del futuro, la chiave del successo delle persone e delle aziende, la chiave di accesso al cambiamento in un’epoca di grande diffidenza, perché massimizza l’efficacia che è il presupposto per il raggiungimento di ogni traguardo. Ecco che alle persone responsabili, indipendentemente dal ruolo che occupano nelle imprese private, nel lavoro autonomo o nel settore pubblico, è richiesto di diventare leader ispirati per creare ambienti ideali per l’ascolto, il benessere e la relazione. L’intelligenza emotiva serve a tutto questo.
L’intelligenza emotiva al lavoro
Quanto è importante l’Intelligenza Emotiva nella sfera lavorativa? Il mio punto di vista in proposito è che siamo di fronte a una competenza che si va trasferendo, giorno dopo giorno e con grande successo, dal comparto pedagogico a quello della produttività, da quando siamo diventati tutti consumatori del mercato globale. Con l’urgenza di fidelizzare i clienti, le imprese e i professionisti hanno capito di doversi dedicare, prima di tutto, a curare le relazioni con le persone (per non arretrare nella conquista di porzioni di mercato) e, successivamente, di adottare strategie di business improntante alla fiducia per continuare a crescere. Nell’intelligenza emotiva, così, tanto le prime quanto i secondi hanno trovato la risposta al bisogno di upgrade della formazione di leader, manager, dirigenti e dipendenti, in quanto competenza di vita che mette gli individui nella condizione di
- conoscere meglio se stessi, di imparare a gestirsi e, in tal modo,
- di acquisire maggiore consapevolezza di appartenere a un contesto più ampio, quello sociale, che si nutre di relazioni e che ne richiede una positiva gestione.
Daniel Goleman, statistiche alla mano, spiega che l’intelligenza emotiva negli ambienti di lavoro incide per circa il 67% delle competenze complessivamente richieste, contro un 33% appannaggio delle competenze tecniche e del tradizionale QI.
Le stesse percentuali, tuttavia, cambiano in relazione al ruolo ricoperto all’interno delle organizzazioni, a maggior ragione se si considerano le trasformazioni che il periodo storico porta con sé e una gestione aziendale, da parte di dirigenti e manager, tutto sommato ancora in parte anacronistica o disallineata alla corrente era tecnologica.
Reinventare le organizzazioni
Oggi sappiamo che serve fare molto di più e molto meglio. E, soprattutto, di essere nella condizione di farlo. Tutti, in fondo, desideriamo ambienti di lavoro con un’anima, in cui alberghino i rapporti più autentici, un senso comunitario più radicato e uno scopo significativo da perseguire. In Reinventing Organizations, l’autore, il sociologo ed economista belga Frederic Laloux, disegna l’evoluzione delle organizzazioni umane come un riflesso dell’evoluzione dell’interiorità umana.
Come a ogni salto evolutivo compiuto dalla civiltà umana, compaiono innovazioni religiose, sociali, politiche, economiche e tecnologiche, allo stesso modo fanno capolino anche nuovi modelli organizzativi. E più il tempo sembra spersonalizzare i rapporti e mercificare le relazioni, più serve creare ambienti emotivamente intelligenti, in grado di ospitare relazioni sincere, fatte di emozioni e sentimenti. La trasmissione ai posteri di un siffatto modello ne inscrive, così, i valori in un corredo genetico organizzativo fondato sulla fiducia, sulla condivisione e sulla cooperazione.
Per manager e leader, allora, continua Goleman, il quoziente emotivo ha un’incidenza perfino più alta del dato di partenza, apprezzandosi all’85%, contro un esiguo 15% per le restanti competenze improntate al QI. Il motivo è che questo cambiamento è nelle loro mani.
Il ruolo del leader
Ciò non significa, tuttavia, che una formazione, un addestramento all’intelligenza emotiva debba essere prerogativa di dirigenti, funzionari e quadri. Tutti ne hanno bisogno, perché ognuno è leader, prima di tutto di se stesso e, poi, in relazione alla responsabilità del ruolo che ricopre: le organizzazioni, in fondo, sono fatte da uomini. Ai leader, intesi come manager, capi e ceo è richiesto, semmai, di dare un’anima alle stesse organizzazioni.
Lo psicologo americano, peraltro, rileva, attraverso l’analisi dei dati di numerose ricerche, la stretta correlazione tra l’intelligenza emotiva dei team e le performance che sono in grado di ottenere. E come anche le organizzazioni, al pari delle persone, siano tenute a perseguire l’autoconsapevolezza, dato che anche per esse, come già detto, valgono i medesimi principi dell’intelligenza emotiva applicati alle singole persone. Riconoscere le emozioni che passano nel team e gestirle diventa, così, una prerogativa imprescindibile per il leader ispirato di un’organizzazione emotivamente intelligente.
Daniel Goleman
L’ideale, spiega Goleman, sarebbe
- assumere il personale in base all’intelligenza emotiva,
- rivedere le performance in base a tale fattore,
- enfatizzarne il ruolo nello sviluppo e nella formazione.
Ma non è sempre facile, perché nei colloqui d’assunzione le persone danno il meglio di sé, nascondendo tratti impervi della personalità. Il che, tuttavia, spiega, per contro, perché l’intelligenza emotiva oggi sia una delle soft skill più ricercate nei colloqui di selezione del personale.
Che, però, qualcosa oggi inizi a cambiare lo si percepisce da come questa nuova cultura della persona nell’ambiente di lavoro sta soppiantando la cultura del dato numerico, del tecnicismo e del risultato come pre-requisiti di un’organizzazione. Ovvio che il risultato debba essere tra gli obiettivi ma è una conseguenza nelle organizzazioni emotivamente intelligenti. Si tratta di introdurre nuovi paradigmi, tra cui anche quello dell’intelligenza emotiva.
Il vecchio paradigma
Storicamente le aziende sono sempre state dei luoghi in cui le persone indossano una maschera, sia in senso letterale, sia in senso figurato. Peggio ancora per quelle in cui è prevista l’uniforme che plasma l’identità, professionale e perfino personale. La divisa esercita un’influenza ancora più sottile: le persone spesso sentono di dover escludere una parte di ciò che sono quando al mattino si vestono per andare al lavoro. Indossano una maschera professionale in conformità alle aspettative del luogo in cui trascorrono la maggior parte della loro giornata.
Nella maggior parte dei casi, ciò significa attivare una volontà maschile, mostrando determinazione e forza e nascondendo dubbi e vulnerabilità, mentre gli aspetti femminili del sé, nel senso junghiano, sono spesso trascurati o silenziati. La razionalità, del resto, è considerata da sempre e a tutte le latitudini (ma erroneamente) come la forma più evoluta di intelligenza, rispetto alle componenti emotive, intuitive e spirituali che vengono percepite come sgradite e decontestualizzate.
Le organizzazioni finiscono così per diventare dei luoghi aridi, freddi, impersonali, inospitali, inadatti ad accogliere la piena individualità delle persone che recano con sé desideri e passioni.
Le organizzazioni come sistemi viventi
Il vecchio paradigma vede, dunque, le organizzazioni come macchine, in funzione dei loro risultati. Il nuovo, strutturato sulla metafora della famiglia, come nelle organizzazioni Teal, si fonda su di un impianto vivo che vede l’organizzazione come un organismo vivente ispirato a tre principi fondamentali.
- In primis l’auto-organizzazione, in quanto sistema basato su relazioni paritarie, senza necessità di stabilire aprioristicamente gerarchie e modelli rigidi di consenso. La leadership è diffusa, ben distribuita e agganciata al senso di responsabilità degli individui nello svolgimento di un dato compito.
- Segue la pienezza. Tradizionalmente, le organizzazioni hanno da sempre incoraggiato le persone a presentarsi con un’identità rigorosamente professionale, lasciando fuori dalla porta altre parti di sé. La razionalità e il tecnicismo regnano indisturbati, mentre gli aspetti emotivi, intuitivi e spirituali delle persone restano emarginati. Le organizzazioni Teal, invece, autorizzano i singoli attori a coinvolgere e portare se stessi al lavoro.
- Terzo principio è il proposito evolutivo. In quanto sistemi viventi, le organizzazioni Teal hanno vita e un senso di direzione propri, entrambi orientati alla crescita.
Il modello Teal
Principalmente, le organizzazioni emotivamente intelligenti, ispirate al modello Teal di Laloux, risolvono un nodo che accomuna molte aziende improntate al vecchio paradigma: la diffusa mancanza di motivazione come conseguenza negativa dell’iniqua distribuzione di potere.
Le organizzazioni così strutturate affrontano il problema della disuguaglianza attraverso l’empowerment, spingendo le decisioni verso la parte bassa della piramide e raggiungendo, con tale scelta, un engagement dei collaboratori molto più elevato: il manager scopre di poter delegare in fiducia i compiti a persone capaci e motivate, trasformando ognuno in un leader, responsabile e funzionale al lavoro dell’intera organizzazione.
Nessuno detiene, in sostanza, potere su qualcun altro: in questo modo, nel rispetto del grado di responsabilità di ciascuno, paradossalmente, l’organizzazione nella sua interezza diventa notevolmente più efficace, poiché perde di valore il principio esclusivo della massimizzazione del profitto: l’organizzazione ha il compito di far entrare in risonanza lo sviluppo individuale con lo scopo aziendale, coltivando le dimensioni emozionali, culturali e spirituali. In questo modo è superato il diffusissimo problema della concentrazione (e talvolta dell’iniquità) del potere.
Verso una leadership ispirazionale
Le nuove domande per l’organizzazione, allora, non sono incentrate su come sfornare regole migliori e più adatte ma su come supportare i gruppi a trovare le soluzioni migliori alle differenti sfide con cui saranno chiamati a misurarsi e come fare per rafforzare le capacità dei membri di un gruppo in modo che abbiano il minor bisogno possibile di direzione dall’alto. Ogni decisione presa dal quartier generale toglie, infatti, responsabilità alle persone in altre parti dell’organizzazione e riduce il senso di coinvolgimento dei collaboratori che sentono di dare un contributo efficace per l’organizzazione.
In questa nuova idea di organizzazione, solo una leadership ispirazionale rende possibile questa transizione verso il modello Teal. Il leader risonante, empatico, efficace e visionario, deve, così, come spiega Goleman,
- essere coach, nel senso di mettere a disposizione dell’organizzazione il suo talento di intuire il potenziale delle persone e prevederne l’avvenire nel team;
- essere mentore, per far crescere gli altri grazie, ad esempio, ai costanti feedback sulle loro performance;
- influenzare, cioè avere un impatto positivo sulle persone dello staff e sulla buona qualità delle relazioni;
- creare un clima di rispetto e fiducia all’interno del gruppo. Quando questo accade, la performance del team è maggiore della somma delle capacità dei singoli componenti. Il teamwork, come capacità di creare un ambiente di collaborazione e fiducia, del resto, è una qualità assoluta;
- formare i collaboratori all’intelligenza emotiva;
- gestire i conflitti, la più grande minaccia per tutti i gruppi, in maniera produttiva e non distruttiva, grazie all’abilità di far emergere i disaccordi, comprendere i diversi punti di vista e trasformarli in vantaggi per tutti, in un’ottica in cui non vi siano né sconfitti né vincitori.
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