Nell’apprendimento, fissiamo prioritariamente (e in via quasi esclusiva) le informazioni gradite e interessanti per le aspettative della nostra mente. Cerco, allora di spiegare a parole mie (e con l’ausilio di Lucignani e Pinotti, autori de “Immagini della mente“, e di Mariano Sigman, autore de “La vita segreta della mente“) che cosa accade quando, attraverso i sensi, le informazioni provenienti dall’ambiente vengono processate dal cervello e inviate alla coscienza.
Di mente e cervello
Che siamo fatti di anima e corpo, o più specificamente di mente e cervello, è un dato che possiamo considerare acquisito a quasi tutte le latitudini. Che la mente origini nel cervello può, infatti, apparire banale per alcuni e scandaloso per altri. Qualunque sia la posizione, le scienze oggi chiariscono che il cervello è un organo molto complesso, costituito da un enorme numero di cellule. Oggi si sa che la sola corteccia cerebrale è composta da cento miliardi di cellule nervose. Si tratta di cellule speciali, fatte per comunicare attraverso le sinapsi. Ogni neurone si stima che sia in contatto con circa diecimila altri neuroni, per un milione di miliardi di connessioni.
Ma come si determinano tutti questi contatti?
- Una parte di essi dipende dal patrimonio genetico dell’individuo;
- la parte restante è imputabile alle esperienze di vita, compreso l’apprendimento.
- Una minima parte di tali connessioni, infine, è del tutto casuale.
E tramite lo stabilirsi di questi contatti e il rinsaldarsi degli stessi si impara a parlare una lingua, a riconoscere i volti, ad apprendere nuove nozioni che permettono di affrontare la vita con relativa efficacia.
Il corredo neurale
Dato il gran numero di neuroni, dunque, e data l’eterogeneità della modalità con cui si determina il corredo neurale, risulta chiaro il motivo per cui non esistono due cervelli uguali. Piuttosto, la combinazione di
- corredo genetico,
- esperienza di vita e
- una non trascurabile componente casuale
fanno del cervello di ognuno qualcosa di irripetibile. Da tutta questa complessità, che risiede alla base dell’incredibile numero di connessioni sinaptiche, trae origine l’autonomia del comportamento. Gli organismi inferiori, infatti, sono in larga parte vincolati a risposte stereotipate e istintuali.
Nell’uomo, viceversa, con l’aumentare della complessità, si riduce l’importanza relativa delle risposte istintuali (che restano comunque presenti) rispetto alle risposte più complesse che indicano il livello di “libero arbitrio” di tutte le specie viventi, in funzione del grado di complessità delle strutture del cervello di ognuno.
La neuroestetica
Questa linea evolutiva gerarchica indica il livello di libertà dagli istinti degli esseri usualmente definiti superiori rispetto a quelli inferiori. Un uomo è, in altre parole, più libero di un cane che è più libero di una rana che è più libera di un lombrico e via dicendo.
Tale idea evolutiva di libertà è la premessa del dibattito sulla neuroestetica che, di fatto, risolve la disputa sulla presunta contrapposizione tra
- una mente in grado di elaborare le informazioni e
- una mente in grado di produrre significato. L’una, infatti, non può esistere senza l’altra.
Vediamo come funziona.
L’apprendimento
Cominciando dall’informazione, diciamo che essa proviene dal mondo esterno attraverso i sensi. Ma i sensi non riportano fedelmente il mondo, bensì lo interrogano, cercando risposte specifiche a domande altrettanto specifiche. I sensi, in altre parole, chiedono
- se quella cosa sia gialla o azzurra,
- se una linea sia retta o verticale, orizzontale o inclinata,
- se quel volto sia sorridente o triste ecc..
La mente umana, quindi, si procura l’informazione attraverso i sensi ma è già definito in gran parte che cosa sia di suo interesse e che cosa no. Per questo riusciamo a udire i suoni entro una certa frequenza e a percepire la luminosità in un dato spettro. Perché le altre sensazioni non interessano alla nostra mente.
D’altro canto, le sensazioni in natura non esistono. Esse non sono altro che delle porzioni di realtà modellate dai sensi. E sono, dunque, gli organi di senso che trasformano gli stimoli in sensazioni, la qual cosa vale per tutte le specie viventi.
Il senso della vista
Se prendiamo il senso della vista come esempio, diremo che esistono decine di segnali diversi che vengono analizzati separatamente ma in parallelo:
- alcuni di questi portano informazioni sullo stato di illuminazione della scena,
- altri sui colori,
- altri sulla profondità, altri ancora
- sulla tridimensionalità e via dicendo.
Le informazioni provenienti dal mondo circostante, allora, nascono sempre come informazioni in parallelo che, tuttavia, vengono trasformate in informazioni in serie, allorquando arrivano alla coscienza.
La coscienza come una clessidra
La stessa coscienza, scrivono Edoardo Boncinelli e Giulio Giorelli in un lavoro pubblicato nel libro “Immagini della mente” di Giovanni Lucignani e Andrea Pinotti, è come la strozzatura della clessidra che rappresenta il momento esatto in cui le informazioni parallelizzate diventano seriali per un attimo, prima di tornare parallele, perché catturano l’interesse della mente. Quello è il momento (mai automatico e sempre irreversibile) in cui riceviamo conferme o smentite circa le nostre aspettative.
- Se le aspettative sono confermate, la bolla di coscienza resiste e le informazioni vengono inviate alla memoria, in modo parallelizzato, con grande efficacia.
- Se c’è discrepanza tra aspettative e risultati, la bolla collassa e le informazioni vengono inviate alla memoria con scarsa efficacia.
Da qui inizia un nuovo presente, una nuova avventura interpretativa.
Apprendimento implicito
Qual è la conclusione del nostro discorso? Che stimolare i sensi aiuta ad apprendere con le immagini che sono informazioni complete e parallelizzate che:
- stimolano la vista ma anche gli altri sensi,
- aiutano la memorizzazione e l’ideazione,
- sono creative e
- suscitano emozioni.
La parallelizzazione delle informazioni, che arrivano alla coscienza al livello della strozzatura della clessidra, incontra l’interesse della mente. Nasce così l’apprendimento implicito.
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