La curiosità crea un ponte fra la sensazione di gratificazione, legata alla ricerca di informazioni, e la memoria. In questo modo, mette il turbo all’apprendimento. In un recente studio, pubblicato su “Neuron” con il titolo di “The Psychology and Neuroscience Of Curiosity”, Celeste Kidd e Benjamin Y. Hayden, Neuroscienziati dell’Università di Rochester a New York, evidenziano come tale atteggiamento verso le cose sia alla base delle capacità cognitive essenziali per apprendere, per prendere decisioni e per la stessa salute, sia fisica che mentale.
Curiosità e creatività
Secondo i ricercatori, alle origini della curiosità, che definiscono “uno stato guida verso la ricerca dell’informazione”, c’è sempre un atteggiamento creativo. Benché essa non sia facile da definire, né da misurare, dato che gli elementi che la nutrono, le modalità con cui si manifesta e gli esiti successivi alla sua soddisfazione sono molti e sempre diversi. Per questo, lo studio della curiosità, specie con l’aiuto di esperimenti standardizzati in laboratorio, diventa complicato, al punto che il focus dell’osservazione si sposta più facilmente verso abilità e comportamenti affini a essa, come l’esplorazione, la motivazione, il divertimento e il gioco.
Sergio Agnoli, psicologo e ricercatore del “Marconi Institute for Creativity (MIC)”, afferma che la curiosità, in quanto esperienza di disposizione personale verso nuove possibilità, è un fenomeno complesso che si esprime come energia, spinta motivazionale per cercare qualcosa di nuovo, che va oltre ciò che si sta facendo nel momento preciso. Perciò, è più affine all’apertura mentale, uno dei cinque tratti fondamentali della personalità così come descritta nella teoria dei “Big Five”, tipica della creatività.Quello che sappiamo della curiosità, tuttavia, è che può essere, indifferentemente, specifica e intenzionale, cioè diretta verso un oggetto o un settore determinato della conoscenza, oppure generica e diversificata, quando, ad esempio, il desiderio che la alimenta è più ampio o legato a un’esplorazione cognitiva o percettiva più ampia.
In termini scientifici, la curiosità è frutto di una spinta interna e disinteressata, che ci guida verso l’ignoto e che non è finalizzata a uno scopo. Si esprime, quindi, come un desiderio di conoscenza non orientato verso un obiettivo specifico, più simile, in questo senso, alla voglia di scoperta, di dare un senso a quello che si fa e all’esistenza stessa, come afferma Giuseppe Pellegrino, Professore di Neuroscienze Cognitive all’Università di Bologna. Il quale, a ogni buon conto, mette in guardia dai possibili che reca con sé la curiosità: se, infatti, da una parte, ha valore positivo, in quanto fonte di motivazione, dall’altra, non essendo necessariamente finalizzata, un eccesso di curiosità può avere effetti collaterali negativi, come far perdere di vista gli obiettivi principali e disperdere energie.
Curiosità e intelligenza emotiva
Tuttavia, nell’esperienza quotidiana, la curiosità è più facilmente accostata alla ricerca di informazioni orientate a uno scopo, spesso per effetto del condizionamento di fattori esterni, come l’approvazione degli altri o l’ottenimento di un determinato voto (ad esempio, a scuola, dove la curiosità ha il merito di stimolare la creatività finalizzata al raggiungimento di un dato risultato).
Questo dato, peraltro, sottolinea l’importanza, nell’educazione, di porre l’accento sui talenti e sulle caratteristiche individuali dei ragazzi, sulle unicità che accendono le loro passioni.
Il che fa della curiosità un’estensione del talento e, talvolta, perfino un detonatore o un amplificatore.
In questo senso, spiega Agnoli, la curiosità è una caratteristica dell’intelligenza emotiva, assimilabile a una torta i cui ingredienti sono tutti gli elementi emotivi della personalità, che, contribuendo a migliorare talune specifiche performance degli individui, permettono di sopperire a eventuali carenze legate all’intelligenza cognitiva. Ad esempio, in una situazione fallimentare, le persone emotivamente più intelligenti hanno la capacità di reinvestire le proprie energie alla ricerca delle soluzione utili a produrre cambiamento. Per contro, persone meno dotate restano ancorate all’analisi critica del problema, finendo invischiate a tal punto in esso da non trovare vie d’uscita.
Curiosità e piacevolezza
Altro aspetto a cui sembra legata la curiosità è la resilienza. L’osservazione fa rilevare come le persone curiose siano più capaci di trasformare le difficoltà in punti di forza. Davanti alle sconfitte e ai fallimenti, le persone curiose, maggiormente dotate di intelligenza emotiva, esprimono capacità reattive perfino superiori di quelle messe in campo davanti ai successi e alle gratificazioni. È quello che succede, ad esempio, all’interno di contesti stimolanti, che non inibiscono il desiderio di scoperta e il talento, che riconoscono e premiano l’apertura mentale, il valore della conoscenza e la sete di sapere, laddove la curiosità, come caratteristica del singolo individuo, viene sostenuta e incoraggiata.
Secondo lo psicologo statunitense George Loewenstein, in alcuni casi la curiosità può essere associata non alla piacevolezza e al gradimento (la dopamina è, infatti, implicata nella predisposizione a comportamenti dipendenti, come la tendenza all’abuso di sostanze, perché attivati dai medesimi meccanismi cerebrali) ma all’esatto contrario, allorquando, ad esempio, essa viene avvertita come sensazione di vuoto da colmare e come impellenza di un’azione urgente da compiere. Il che trasforma la curiosità in “vuoto cognitivo” che deriva dalla percezione di una mancanza di conoscenza.
Si tratterebbe, secondo questo studio, di un caso in cui la ricerca delle informazioni viene equiparata alla ricerca del cibo da parte di una persona affamata: l’informazione acquista un valore simile a quello che si associa ai bisogni primari e viene trattata di conseguenza dal cervello.
Curiosità e apprendimento
La funzione primaria della curiosità è quella di motivare all’acquisizione di conoscenze e all’apprendimento e, per questo motivo, coloro che imparano spinti da curiosità spesso sono in grado di capire e ricordare più a lungo le nozioni acquisite.
Come dimostra uno studio di neuroimaging del 2014 apparso su “Neuron”, quando l’apprendimento è alimentato dalla curiosità, si attivano regioni cerebrali come il nucleo accumbens che produce la dopamina, implicata nel meccanismo della ricompensa, e l’ippocampo, area chiave della memoria, che aiuta a trattenere più a lungo le informazioni proprio per effetto delle sensazioni piacevoli a cui queste ultime si legano.
Il che spiega che la curiosità ha una forte componente emotiva che la collocano tra i principi fondamentali di una didattica dell’intelligenza emotiva.
0 commenti