Se un tempo i genitori ottenevano l’attenzione dei figli con la minaccia delle punizioni, oggi questo sistema non funziona più. E, per certi versi, neanche esiste più. Così i ragazzi moderni non temono i castighi, né quelli dei genitori, né quelli minacciati dagli insegnanti o dalle istituzioni. Un tempo di qualcosa si aveva tutti paura, principalmente perché le minacce delle punizioni venivano sempre mantenute. Cioè, i castighi erano reali. Se un genitore diceva “a letto senza cena”, di tutto potevi dubitare, tranne che del fatto che alle otto di sera ti saresti ritrovato al buio nella tua stanza mentre il resto della famiglia era a tavola. Alcuni genitori, fino agli anni settanta dello scorso secolo, usavano lo spauracchio del collegio. Ma oggi quale genitore sarebbe disponibile ad esiliare un figlio o a privarlo del cibo?
L’adulto secondo Pietropolli Charmet
Adesso, però, è cambiato tutto. “È come se, ad un certo punto, i genitori si fossero messi tutti d’accordo sul fatto che la quantità di dolore che potevano infliggere non avesse una finalità educativa”, afferma lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet. La logica conseguenza è che i ragazzi non riconoscono più “il potere dell’adulto di restringere la loro libertà morale di movimento, nello spazio e nel tempo”.
Le regole che governano la vita dei ragazzi di quarant’anni fa erano strettamente connesse a principi e valori importanti. Quindi, le regole non potevano essere infrante. E le questioni educative erano tutte importanti allo stesso modo. Al contrario, oggi gli educatori sanno bene di non poter avere l’attenzione dei ragazzi con la paura, poiché essi non temono neanche più di perdere il rispetto e l’amore dei genitori.
Perché siamo arrivati a tanto? Con il tacito accordo delle figure genitoriali è come se il bambino avesse cambiato, d’un tratto, statura e non fosse più quello che i genitori avevano visto nella culla. “Il bambino di quarant’anni fa era molto ispirato dalla natura, dalla regressività”, continua Pietropolli Charmet.
“Così i genitori erano chiamati all’amorevole compito di civilizzare il piccolo selvaggio.” In questo modo, abbandonare l’ascolto degli istinti e schierarsi dalla parte delle regole diventava il precetto educativo per definizione. E questo comportava una certa pressione educativa, peraltro, ammessa dalla cultura.
Il bambino competente
Quello che, passati quaranta anni, è cambiato è che il bambino di oggi è percepito come competente (dunque, non più nella condizione di dover essere civilizzato), in funzione della sua capacità di relazionarsi con la madre. All’educazione subentra un inspiegabile riconoscimento di talenti che fanno prevalere l’identità del piccolo sulle regole che, invece, dovrebbe imparare. Ma la cosa ancora più singolare è che questa diversa pressione sul bambino competente è paradossalmente di aiuto ai genitori.
Ecco che cade la logica della regola educativa e si sviluppa quella dell’ascolto dei bambini, basata sulla capacità empatica:
- la mamma cerca di capire il vero sé del bambino e di aiutarlo a sviluppare quel talento, mentre
- il bambino, che non è più quello della cultura e delle regole, diventa semplicemente se stesso per essere felice.
Perché il nuovo ruolo del bambino è d’aiuto ai genitori? Perché la presunzione di mamma e papà che il bambino sia un esperto di relazioni finalizza il ruolo genitoriale. Per questo, se il bambino viene rimproverato a scuola, la mamma si precipita dall’insegnante a capire cosa sia mai potuto accadere e per cercare di motivare il comportamento del figlio, giustificandolo con il carattere e l’indole.
Semilavorati educativi
In casa, d’altro canto, i genitori rispettano i punti di vista dei competentissimi figli e negoziano con loro ogni decisione, comprese quelle che riguardano il modo di educarli, per un vantaggio dell’intera famiglia. Lo stesso spazio domestico diviene tavolo di concertazione tra genitori e figli, affinché, in uno strano gioco della mediazione, istanze educative dei primi e desideri dei secondi (“il bambino riesce a far virare il naturale masochismo del papà verso la tutela e la protezione del suo cucciolo”, afferma ancora Pietropolli Charmet) si incontrano per dar luogo allo scempio che vediamo in società.
Poter trattare alla pari e dialogare con gli adulti per negoziare, alimenta, infatti, la spavalderia dei ragazzi: in questo modo, i figli, semilavorati educativi senza regole né paura, non si sentono più in colpa per i loro errori, dato che non temono (e spesso non è neanche prevista) la punizione.
Questo preciso passaggio è coinciso con la crisi dei valori della società e della sua autorità. Il padre, che rappresentava l’autorità in famiglia, oggi la esercita teneramente (anzi, debolmente), in maniera accuditiva (come un maternage al maschile), e la risposta dei figli è di continuare a mantenere con lui una relazione da alleato.
Con la conseguenza che i genitori di oggi hanno perso il rispetto dei figli. E ogni ascendente su di loro.
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