Qual è l’errore più grande che un adulto possa commettere nel campo delle relazioni? Ritenere che gli altri siano fatti a nostra immagine e somiglianza. E’ un modo infantile di pensare che, purtroppo, ricorre anche in molti “ex bambini“. C’è di più. Non riuscire a vedere con gli occhi degli altri ci rende ciechi. Cioè, non riuscire a stare nella mente degli altri impedisce di mettersi nei loro panni. E questo inibisce l’empatia e la capacità di chiedersi criticamente come gli altri si sentano anche rispetto a noi. In altre parole, questo limite è l’esatto contrario dell’intelligenza sociale, una qualità essenziale per intrattenere relazioni significative. Spesso, infatti, ci induciamo una forma di autoinganno per non soffrire troppo, dal momento che le difficoltà sul piano empatico risultano funzionali sul piano emotivo e affettivo. Perché esse esplodono a quel livello ma, intervenendo, le emozioni ci aiutano a cancellare ciò che per noi è intollerabile invece di aiutarci a vederlo.
Meglio stupidi o infelici?
Ecco che preferiamo essere stupidi piuttosto che infelici. Ho già dato una definizione condivisa dalle neuroscienze in merito. Ma la verità resta: noi preferiamo vedere ciò che vogliamo vedere, accontentandoci di osservare e prendere per buona quella porzione di esperienza che conforta il nostro punto di vista. Così facendo, però, ci allontaniamo da ogni soluzione alle nostre criticità. Facciamo un esempio.
Poniamo che io sia convinto che, compiendo un’azione A, ottenga necessariamente il risultato R. Potrebbe essere qualunque cosa: fare A per guarire dalla malattia R, come dice Paolo Legrenzi nel libro La mente, assumere un comportamento A in classe per ottenere dai miei studenti una risposta R, avere un atteggiamento A con mia figlia per raggiungere, come compromesso, il mio obiettivo R. Non cambia. Ma ammettiamo che io ne sia fermamente convinto.
La domanda preliminare è sulla base di che cosa io mi sarò costruita questa mia opinione. E ancora: la mia convinzione nasce dalla comparazione di una serie di dati o dall’osservazione di una realtà ristretta?
La strada più semplice e meno… illuminata
Poniamo, dunque, queste quattro ipotesi, come da immagine in copertina.
- Facendo A, nel caso 1 ottengo R, mentre, nel caso 2 non ottengo R
- Non facendo A, nel caso 3 ottengo R, mentre, nel caso 4 non ottengo R
È facile constatare che la maggior parte delle persone si basa unicamente sull’ipotesi 1. E non prende minimamente in considerazione tutti gli altri casi in cui facendo A, R non si verifica o tutti quelli in cui, non facendo A, R si verifica lo stesso o non si verifica mai.
Riteniamo, infatti, che basti un’esperienza ristretta in cui si sia verificato il caso 1 per convincerci che, facendo A, R conseguirà naturalmente. Bene: se fossi io a convincermi di questo sarei almeno ingenuo e credulone. E stupido.
Le eccezioni alla regola
- C’è anche un’ulteriore possibilità di agire in modo meno stupido. Confrontare i casi in cui R si verifica facendo A, come nel caso 1, con quelli in cui si verifica senza fare A. Come nel caso 3.
- I più attenti inseriscono in questa analisi comparata anche il caso 2. Quella in cui, facendo A, R non si verifica. Ma sono pochi e sono i più accorti.
- Infine, ci sono i più intelligenti che comparano le 4 possibilità. Comportamento, quest’ultimo, molto raro tra la gente che, mediamente, si ferma al caso 1 per tirar fuori una regola di assoluto valore.
Ogni modo di agire difforme da quello al punto 3 crea un modello di rappresentazione del mondo esterno che non ha fondamenti logici e che struttura una mappa della realtà basata su convinzioni limitanti e su credenze.
Facciamo un esempio concreto
Immaginiamo, dunque, per un istante che io sia un insegnante e che mi sia convinto di ottenere l’attenzione della classe alzando il volume della voce. Il mio risultato R l’ho ottenuto alcune volte e ho deciso che è quello il comportamento da tenere in casi simili. Non terrò, pertanto conto dei casi in cui
- facendo una bella spiegazione ho ricevuto attenzione R senza dover urlare A;
- urlando non ho ottenuto R;
- la classe era comunque disattenta, anche se io non avevo urlato.
A che cosa è attribuibile la mia scelta stupida di prendere in considerazione solo il caso 1?
La spiegazione più immediata è nella riproduttività del pensiero in persone che subiscono il dominio dell’emisfero logico-razionale, quello sinistro nei destrimani, che governa il pensiero verticale.
No problem… solving
Dal momento che, infatti, ideare soluzioni creative è sempre troppo faticoso per il nostro cervello, tendiamo a riproporre le stesse soluzioni che si sono rivelate efficaci in una data situazione. È anche una questione di risparmio energetico: pescare nel “noto” della nostra mente ci fa risparmiare glucosio e ossigeno che sono la benzina del nostro cervello.
Ma il tempo passa. Le classi si avvicendano. Gli alunni, gli studenti lasciano il posto ad altri ragazzi. E noi, invece di personalizzare il nostro modo di insegnare a tutte le nuove variabili, riproduciamo mediamente gli stessi schemi. Come se ci aspettassimo lo stesso risultato. Poi, però, i problemi non si risolvono, ritornano, e noi diamo sempre la colpa a qualcun altro.
La stupidità sociale
Ecco: non avere spazio mentale per gli altri, non esprimere la nostra intelligenza sociale, ci classifica come socialmente stupidi. Non è un’offesa. E’ solo una condizione della nostra intelligenza. Vuol dire che vediamo tutto e tutti sempre allo stesso modo e che ci convinciamo con troppa facilità di qualcosa senza decentrarci da noi stessi. Cioè, così è e basta. Perché lo abbiamo detto noi. Sono in tanti a pensarla così. Ma quello che i “tanti” in questione non sanno è che questo comportamento ci rende inefficaci e ci impedisce di ritagliare uno spazio per gli altri nella nostra mente.
Dovremmo, invece, aprire la mente per vedere il mondo con occhi diversi e più attenti. Se ci riusciremo, una miriade di soluzioni verrà a trovarci, quelle stesse che per pigrizia decidiamo, più o meno consapevolmente, di non vedere, lasciando che siano gli altri a pagarne le spese. Certo! Se siamo stupidi, non possiamo accorgerci di quando danno tutto ciò arrechi anche a noi.
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