Colloquio di lavoro in lingua italiana. I protagonisti potrebbero essere proprio Checco Zalone e la sua aguzzina. In realtà, il testo è una trovata del mio amico di facebook Rocco Baccelliere che ha scritto un post a cui è liberamente ispirato questo articolo. Date le circostanze, non è affatto fuori luogo definire Rocco, che ringrazio per lo spunto che mi ha offerto, un network manager. Il testo, in forma di dialogo, è sicuramente molto divertente ma, al tempo stesso, fa riflettere su come oggi ammazziamo la nostra lingua. Ci sentiamo tutti un po’ più business oriented da quando la reputazione è diventata reputation, il sentimento sentiment e la strategia strategy. Tutto per risparmiare una vocale!
La lingua italiana nel colloquio di lavoro
Siamo in Italia. Lei è CEO di una multinazionale. Lui un giovane di grandi ambizioni e prospettive che ha risposto al solito annuncio di ricerca personale per ampliamento organico. Vediamo un po’ come va in questo finto colloquio di lavoro per scherzare un po’ su come il linguaggio tecnologico abbia seppellito l’italiano. Leggendolo, vi renderete conto che i protagonisti potrebbero davvero essere i personaggi cinematografici della foto.
Ah, CEO sta per Chief Executive Officer. E’ il capo dell’azienda.
Veniamo a noi
“Mi dica: lei come se la cava nelle situazioni in cui ha più di un user in call e mi deve switchare rapidamente?”
“Cioè…In che senso, mi scusi?”
“Come sarebbe in che senso? Insomma, lei possiede le skills necessarie per multitaskare attraverso il web?”
“Veramente…”
“Lei si definirebbe abbastanza smart da colmare il gap tra random customer e accounter?”
“Oh cielo. Ri…guardo questa cosa…”
“Ma la segretaria l’ha briffata nella hall?”
“Io non ho toccato nulla, lo giuro!”
“Uhm..Lei non mi sembra sufficientemente focused sullo sharing work richiesto.”
“Guardi… Non mi sento molto bene.”
“Peraltro, il suo curriculum non mi sembra sinergico con la policy del nostro brand.”
“Ho buona volontà e posso imparare…”
“Dicono tutti così. Lei è disponibile ad un periodo di prova? Pay free, naturalmente!”
“Ahhh..sì…Io avevo avevo un cugino che era molto free.. Si imbucava in tutte le feste..”
“Ma cosa ha capito?”
“Non lo so… Lei ha detto…”
“Ho detto pay free.”
“E che significa?”
“Gratis!”
“Ah, ecco.”
“Beh, certo. Occorre prima verificare il suo livello di expertise. Sa, per noi è fondamentale che un community manager coltivi la social reputation del brand.”
“Ah, la reputation…sì…la mia famiglia è molto stimata al…mio…paese…”
“Qui non è questione di paese: qui c’è il mondo da conquistare. Sui social media, ovvio!”
“Certo!”
“Capisce cosa intendo? Tenere caldi i follower, verificare il sentiment, stimolare gli engagement…”
“Il…sentiment?”
“Il sentiment! Sentiment negativo, niente engagement, inutile ogni call to action per i nostri fan. Fondamentale per una coerente web strategy content marketing oriented!”
Ti dispiace se ti do del tu?
Faccia stralunata. A questo punto il giovane è in bambola. Poi, passando al tu:
“Guarda, signora. Se mi prendi, ti posso garantire che ti faccio funzionare il reparto in maniera ottimale.”
“Allora, lei è pratico di search engine optimization?”
“No, senti. Maaaaaa…. potrei cortesemente sapere cosa vendete qui?”
“La nostra azienda è advisor nel segmento cleaning handy devices.”
“Varrebbe a dire?”
“Scopini per il cesso.”
Il giovane si alza e va via senza dire una parola.
“Dove va? lasci almeno che le spieghi la netiquette del nostro brand!”
Che sforzo immane
Insomma, che sforzo immane dobbiamo fare per complicarci la vita? Qualcuno direbbe: ma parla come mangi! In fondo, la sostanza è altra cosa e la semplicità è divina. E, per comunicare bene, bisogna sempre parlare con i codici linguistici che gli altri possono comprendere.
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