Il cervello umano è lo stesso degli uomini di ottomila anni fa. Lo afferma Paolo Legrenzi, Docente di Psicologia dell’Università di Padova, nel suo libro La mente. Quello che è cambiato è il concetto più immateriale di mente, a dimostrazione della non coincidenza delle due dimensioni. E’, peraltro, il contributo della neurolinguistica la quale, per definire il linguaggio quale atto comunicativo, ignora le dispute tra le diverse filosofie della mente, secondo cui mente e cervello sono due entità separate, coincidenti o che si influenzano reciprocamente. Certo è che, se il cervello è rimasto lo stesso, la mente è profondamente diversa. Lo è rispetto al tempo e alle diverse aree geografiche, dimensioni in relazione alle quali il linguaggio, come espressione dei suoi contenuti, ha dato vita a culture diverse.
Il linguaggio nella storia naturale della mente
Possiamo così, dunque, riassumere le due tappe fondamentali nella storia naturale della mente.
- La nascita del linguaggio come strumento di comunicazione dei contenuti mentali.
- L’esternalizzazione di quei contenuti.
I prodotti della mente, del resto, diventano esterni a mano a mano che si depositano in diverse culture. Per questo, pur essendo il cervello dell’uomo lo stesso a tutte le latitudini del globo, diverse sono le culture plasmate dai contenuti delle mente. Tutte queste culture hanno un’origine comune, anche se si sono differenziate nel corso degli ultimi undicimila anni, un istante, se paragonato ai tempi del pianeta e della vita.
Il linguaggio, in origine estensione del lavoro manuale, utile all’uomo quando, dedicandosi all’agricoltura, passa dalla vita nomade a quella stanziale, è oggi l’espressione della grammatica mentale dei popoli. E permette la comunicazione interpersonale e la trasmissione delle conoscenze.
Diecimila anni dopo nasce la stampa, un modo per raccogliere e depositare i contenuti mentali, agevolata dalla stanzialità. Passare dalla caccia all’agricoltura, infatti, permetteva di accumulare le riserve alimentari per mantenere la casta improduttiva degli scribi. Il resto, fino al pc di ultima generazione, è storia recente.
Il linguaggio e la grammatica mentale
È sorprendente scoprire come il tema del linguaggio sia affrontato da numerose discipline che possono riflettere differenti punti di vista ma che, al contempo, pongono rilievo a diversi aspetti che lo caratterizzano. Possiamo comprendere questa attenzione se pensiamo all’importanza che riveste nella nostra vita. Ancor più se intendiamo il linguaggio, differentemente dalla lingua, come facoltà propria della specie umana di usare strumenti comunicativi simbolici. Cioè, di usare una grammatica mentale.
Tema affrontato, peraltro, dalla linguistica alla neurologia, sconfinando nelle letture filosofiche, da un lato, e nelle ricerche scientifiche con i più moderni strumenti, dall’altro.
Questioni intorno a cui ruota il dibattito sono
- la provenienza del linguaggio e
- la correlazione con gli oggetti del pensiero.
Il pensiero e il linguaggio
In altre parole, è con il linguaggio che impariamo a pensare. Prova ne sia che non potremmo pensare qualcosa a cui non possiamo dare un nome. Ma non è sempre stato questo il pensiero dei filosofi.
Fino alla fine del ‘700 imperava, infatti, l’idea di matrice aristotelica secondo cui la realtà esiste indipendentemente dalla conoscenza dei soggetti. Il linguaggio, in questo senso, assume la funzione di mezzo di comunicazione di natura convenzionale, finalizzato soltanto a esprimere i contenuti mentali.
Il filologo tedesco Humboldt smentisce questa prospettiva. “Le parole e le costruzioni grammaticali”, scrive, “determinano i concetti e che lingue del mondo diverse costituiscono visioni del mondo diverse”. Il linguaggio diventa, così, molto più di un semplice mezzo di comunicazione e assurge a organo costitutivo del pensiero che si sviluppa su tre livelli.
- Con la categorizzazione della realtà, il linguaggio influisce sulla mente attraverso la struttura lessicale e grammaticale.
- Poi, la materialità del linguaggio, cioè la differenza fra linguaggio orale, scrittura, lingua dei segni e così via.
- Infine, al livello più alto, le proprietà più generali e le strutture più profonde del linguaggio che spiegano in che modo esso influisca sull’interpretazione della realtà.
La concezione cognitivista del linguaggio
La tesi di Humboldt ha dato origine alla concezione cognitivista del linguaggio, sostenuta all’inizio del XX secolo da Sapir e Whorf. Questi ultimi, sulla relatività linguistica, spiegano che nelle strutture linguistiche si riflette la visione che ognuno (e ogni popolo) ha del mondo.
Esistono dati sperimentali a favore di questa prospettiva, come quello fornito da Levinson. Europei e aborigeni australiani dispongono, infatti, gli oggetti secondo le strutture d’ordine delle rispettive lingue, da destra a sinistra gli europei, seguendo i punti cardinali gli australiani. Visione, peraltro, sostenuta dalla biologia teorica, la quale dimostra che, nel percorso evolutivo, il cervello ha sviluppato la capacità di classificare gli oggetti dell’ambiente utilizzando semplicemente i concetti. Cioè, possiamo manipolare mentalmente gli oggetti grazie al coordinamento di schemi percettivi e concetti verbali in una rete di concetti linguistici. La neurobiologia, aiutata dallo sviluppo dei moderni strumenti di neuro immagine funzionale (che consentono di vedere il cervello in azione), ha confermato questa tesi con la scoperta dei neuroni specchio.
Linguaggio e intelligenza sociale
In questo senso, la capacità di organizzare suoni o gesti a scopo comunicativo si sarebbe sviluppata a partire da un contesto in cui i simboli dovevano essere collegati ad operazioni manuali. I concetti derivano, dunque, dall’interazione e dalla comunicazione con gli altri. E’ come sostenere che il linguaggio presentifica l’oggetto: l’atto comunicativo, il raccontare l’esperienza, reifica la stessa, in uno spazio in cui l’altro e il contesto assumono un rilievo fondamentale.
Ecco che il linguaggio diventa espressione diretta del modo di vedere il mondo e di rappresentarsi, in modo del tutto personale, la realtà. E l’uso che ne facciamo è la cartina di tornasole del nostro livello di intelligenza sociale.
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