Stando a quanto riporta Sarah Zimmermann in un articolo pubblicato sulla rivista di psicologia e neuroscienze Mind nell’aprile 2016 dal titolo Motivati o manipolati, si direbbe che non sempre gli esseri umani agiscano per il proprio bene. A volte, tale comportamento è involontario e automatico, dettato da impulsi; altre volte, è perfino deliberato e intenzionale ma poco attento a ricadute e conseguenze.
Automatismo e controllo del comportamento
Come la maggioranza delle persone, al supermercato chissà quante volte anche voi avrete acquistate i sacchetti usa e getta, sebbene a casa abbiate un armadietto pieno di sporte riutilizzabili. Di sicuro, nonostante un po’ di moto faccia bene a smaltire qualche etto di troppo, dovendo scegliere tra le scale e l’ascensore, la preferenza ricade su quest’ultimo. Perché lo fate? Benché la salute ci stia a cuore e la nostra intenzione sia quella di comportarci in maniera sostenibile per la società intera, continuiamo a farci guidare dallo stato d’animo del momento e dalle abitudini, anche quando, alla lunga, le nostre azioni potrebbero rivelarsi nocive.
L’industria del marketing sfrutta questa tendenza ormai da decenni: è cosi, in fondo, che le pubblicità accattivanti e gli abili allestimenti delle vetrine e delle scaffalature di negozi e centri commerciali, fanno schizzare alle stelle i fatturati di prodotti di ogni genere, anche di quelli tutt’altro che sani e decisamente costosi. La riprova che il comportamento non sia sempre dei più intelligenti la ritroviamo, peraltro, in talune scelte politiche, che danno l’esatta dimensione della manipolazione della volontà delle masse, mentre la dimostrazione che spesso assumiamo decisioni e comportamenti poco vantaggiosi è offerta dalla risposta alle grandi campagne mediatiche di informazione sull’effetto serra e la sua incidenza sul clima che, almeno finora, hanno sortito effetti marginali, al pari dei consigli per risparmiare energia.
Alcuni pensano che, laddove l’informazione e l’approfondimento da soli non bastino per aiutare il progresso ed il pianeta, forse potrebbe servire un piccolo incoraggiamento, un pungolo (gli esperti lo chiamano “nudging” dall’inglese “to nudge” che significa spingere, pungolare), che però sarebbe anche un controllo dei comportamenti. Immaginare, infatti, il controllo dello Stato, ancorché per il nostro bene, per i più rappresenta una terrificante ingerenza nella libertà dell’individuo, già messo con le spalle al muro dall’intelligenza artificiale e dai software di riconoscimento facciale. Certo è che, se i comportamenti delle persone sono disfunzionali e pericolosi e se la decisione di correggerli non viene da un cambiamento della coscienza sociale, qualcosa bisognerà pur fare per salvare questo mondo.
I bias cognitivi
Sul finire degli anni Novanta dello scorso secolo, lo psicologo israeliano Daniel Kahnernan, Premio Nobel per l’Economia 2002, ideò, insieme al collega Amos Tversky, un modello teorico finalizzato alla comprensione e alla spiegazione di come gli individui prendano le decisioni nelle situazioni d’incertezza.
Secondo i due scienziati, vi sarebbero due sistemi di pensiero in contrasto tra loro:
- uno intuitivo e rapido, soggetto a errori sistematici, chiamati bias cognitivi, e
- uno più analitico e lento, che è quello che permette di assumere decisioni più ponderate e razionali nella prospettiva di raggiungere ottenere obiettivi a lungo termine, benché ciò richieda maggiori risorse mentali.
Il nudging
Nonostante le migliori intenzioni, dunque, a mandare a monte i nostri piani sono proprio i primi, fatti di impulsi spontanei (“ho voglia di una sigaretta”) e di stimoli ambientali (“dall’altra parte della strada c’è un distributore di sigarette”). Il motivo è che il piacere immediato ha la meglio sulle ricompense future. Significa che il nostro cervello, che per sua natura tende ad economizzare gli sforzi, preferisce le scorciatoie di pensiero più semplici e brevi al pensiero ponderato, decisamente più faticoso e complesso. Poiché il sistema di pensiero automatico può essere influenzato con stratagemmi che gli facciano apparire comodo e vantaggioso assumere un dato comportamento (per esempio, collocando gli stimoli ambientali in luoghi strategici, illuminando le vetrine delle vie dello shopping o con richiami negli acquisti online che attivino l’azione per non perdere l’opportunità), il nudging (termine coniato dagli studiosi di economia comportamentale Richard Thaler e Cass Sunstein) potrebbe sfruttare esattamente il medesimo principio.
Il consumo di verdura fresca nelle mense scolastiche e universitarie statunitensi, infatti, è aumentato dopo che questi cibi sono stati sistemati alle casse, dove prima erano esposte patatine fritte e barrette di cioccolato. Chi attende i1 proprio turno, in fila, si serve volentieri, a prescindere che si tratti di tavolette di cioccolato o di una mela. L’importante è che il prodotto sia comodo da prendere.
Se tutto questo diventasse sistematico, si potrebbero sfruttare per il bene collettivo le euristiche e i bias cognitivi (come la predilezione per ciò che è immediatamente a disposizione o per il percorso con il minor numero di ostacoli), al fine di trasformare i comportamenti nocivi che sono spesso esiti di automatismi condizionati.
Le sperimentazioni
Insomma, si direbbe che facilitare i comportamentali intelligenti delle persone si può, pur nella consapevolezza che spetta ad ognuno allinearsi alle pratiche funzionali.
- Una prima sperimentazione sul controllo intelligente dei comportamenti fu avviata, sul finire dello scorso secolo, nell’aeroporto di Amsterdam. La strategia fu ideata dal manager dell’impresa che aveva in gestione la pulizia degli ambienti, costretto a far fronte a tagli nel budget, una necessità che lo rese famoso in tutto il mondo. In ogni orinatoio delle toilette degli uomini dell’aeroporto, fece sistemare l’immagine di una mosca a grandezza naturale. Fino a quel momento, la maggior parte dei passeggeri in transito che espletavano il loro bisogno “mancava il bersaglio”, obbligando il personale delle pulizie a perdere tempo prezioso. Non appena sull’orinatoio apparve la mosca, la “mira” migliorò spaventosamente. E i costi di pulizia si ridussero del venti per cento.
- Parimenti, per indurre le persone al movimento fisico, nella stazione di Odenplan, nella metropolitana di Stoccolma, nel 2009 la Volkswagen modificò una scala in maniera che assomigliasse alla tastiera di un pianoforte: ogni volta che una persona metteva piede su di un gradino, questo produceva la nota corrispondente alla pressione del relativo tasto. Presto il numero di persone che scelsero di salire le scale a piedi, invece di ricorrere a quelle mobili, aumentò del sessantasei per cento.
- L’efficacia e l’economicità di un nudge è stata dimostrata nel 2013 da alcuni ricercatori coordinati da Collin Payne della New Mexico State University: i clienti di un supermercato acquistavano una quantità doppia di frutta e verdura quando il loro carrello della spesa era diviso a metà da una linea e un cartello, applicato allo stesso, che indicavano che la parte anteriore era destinata ad alimenti sani, come frutta, verdura, latticini e carne.
- Nel Regno Unito il nudging è arrivato fino alle più alte sfere politiche. Il Behavioural Insights Team, istituito nel 2010 da David Cameron, ha proprio uno scopo simile: creare un gruppo di studio sulle tendenze comportamentali per migliorare i servizi pubblici e per proporre misure atte a stimolare i cittadini a decisioni più intelligenti. Ma i provvedimenti in tal senso interessano ambiti davvero molto eterogenei tra loro, dal fisco all’igiene, dall’allattamento dei neonati ai programmi per la vaccinazione. Al punto che un recente rapporto, stilato da alcuni ricercatori guidati da Mark Whitehead, della Aberystwyth University, in Galles, ha concluso che i governi di 135 Stati stanno già sfruttando le conoscenze derivanti dalla psicologia e dalle ricerche sul comportamento, benché due terzi di questi lo facciano ancora in maniera approssimativa.
Il nudging è manipolazione?
La domanda, a questo punto, è se l’adozione di programmi simili sia comunque equiparabile alla manipolazione. Cioè, misure strategicamente funzionali possono indurci a fare cose che non avremmo deciso di fare di nostra spontanea volontà?
Thaler e Sunstein, i padri del nudging, spiegano che i pungoli sono appropriati soprattutto nei casi in cui le conseguenze della decisione si manifestano solo successivamente o in cui la decisione intelligente è molto più difficile da prendere rispetto a quella meno sensata. Un nudge, in questi momenti, potrebbe metterci sulla strada giusta. Oppure, se si tratta di azioni che non serve ripetere ma che possono entrare nelle buone routine delle persone per uno scopo più alto, facendo sentire ognuno protagonista del suo raggiungimento. Come cambiare il contatore dell’energia elettrica, scegliendone uno intelligente che misura il consumo di ogni singolo elettrodomestico. Perché, in situazioni simili, è solo un piccolo suggerimento, una voce fuori campo che ci ricorda che cos’è per noi più utile.
Nudging: critiche e vantaggi
La grande attenzione mediatica suscitata dal nudging ha scatenato anche delle critiche. Ad esempio, il politologo neozelandese Martin Wilkinson, dell’Università di Auckland, si è posto l’interrogativo se non sia di per sé manipolatorio l’atto di approfittare della tendenza alla comodità dei cittadini. E se si tratta di manipolazione, come si concilia il nudging con un’immagine dell’uomo basata sulla libertà?
Naturalmente, distinguendo i nudge innocui da quelli a rischio di manipolazione della volontà.
Resta da chiedersi se abbia un senso stigmatizzare un nudge che abbia come effetto la distensione delle tensioni sociali. Certo, bisognerebbe entrare nel merito di ogni ambito e separare, ad esempio, la famiglia dalla scuola, le relazioni interpersonali da quelle professionali e così via. Ma crediamo che un nudge, in grado di generare comportamenti funzionali alla diffusione dell’empatia e al ripristino del clima di rispetto, fiducia e vicinanza tra la gente, esista già. E che sia sufficiente adottarlo, ad esempio, a partire dalla scuola per sdoganarlo nella società. Si chiama intelligenza emotiva.
0 commenti