Immaginiamo di passare davanti ad una vetrina di un negozio. Una qualunque, non per forza quella nella foto. All’improvviso, prendiamo la decisione di entrare a di acquistare qualcosa che ci colpisce, di cui riteniamo di aver voglia o bisogno. Ma esattamente chi o, meglio, che cosa ci spinge a fare quell’acquisto? Esiste un limite, una soglia, un qualcosa oltre cui nasce una decisione? E, soprattutto, la decisione è sempre legata alla razionalità intesa come fondamento del ragionamento logico? Allora, occorre abbattere il muro delle credenze limitanti che, sconfessate dalle recenti indagini strumentali (che permettono di vedere il cervello in azione), oggi ci spiegano come razionalità e ragionamento logico non siano affatto le funzioni superiori della nostra mente.
Il concetto di razionalità
“Ratio” per i latini significa capacità di discernere e fare la scelta giusta per il conseguimento di un dato scopo. Quindi, nella sua etimologia, non ha nulla dei suoi derivati. Peraltro, per il raggiungimento di un dato risultato, ogni reale o presunto ragionamento su di una scelta da compiere ha inferenze inconsapevoli, per nulla deduttive, che prendono le mosse dagli effetti che una data azione produrrà sul piano emotivo. Il che sfugge al controllo della logica formale che, meno di un istante dopo che sia stata presa una decisione, entra in gioco per giustificare razionalmente la scelta fatta. Cosa, del resto, spiegata dagli studi sull’intelligenza emotiva.
Ora… noi non siamo in grado di spiegare perché funzioni così. Possiamo solo osservare che sia così: del resto, strumenti come la risonanza magnetica funzionale ce lo hanno permesso nell’ultimo decennio. E osservare non significa attenersi al processo di causazione, cioè, non significa spiegare. Possiamo solo accontentarci di procedere “come se”, dando per buono che sia così e basta.
Un po’ come accade a noi che conosciamo bene il pc: sappiamo cosa può fare ma non abbiamo idea di come tutto questo sia possibile, visto che non conosciamo né i materiali di cui è composto, né il modo funzionale in cui sono assemblati. Sappiamo solo che funziona toccando determinati tasti, poiché possiamo solo osservare che è così, agendo, di conseguenza, “come se” sapessimo tutto quanto si nasconde dietro questa macchina prodigiosa.
Razionalità e decisione
Che cosa accade, dunque, lungo quella sottile linea che separa decisione e indecisione? E’ una domanda a cui ha provato a rispondere la recente scienza della decisione, anche alla luce di talune evidenze che hanno garantito la sopravvivenza dei primi ominidi. Quindi, facciamo un passo indietro.
La prima pagina del calendario evolutivo dell’uomo è stata scritta circa 3,5 milioni di anni fa. A quel tempo non si era ancora sviluppata la neocorteccia ma i primati già disponevano di una corteccia prefrontale (il cervello antico o rettiliano) che permetteva loro di assumere decisioni funzionali ed efficaci per la loro stessa sopravvivenza. Sapevano, ad esempio, distinguere
- il meglio dal peggio,
- l’utile dal nocivo,
- fondare aspettative dalle decisioni intraprese.
Tutto questo permetteva loro di fare previsioni che hanno consentito ai nostri antenati di evolversi fino all’uomo della Silicon Valley. Per gli approfondimenti, consiglio il libro “Quando decidiamo”, Giunti Editore di Mauro Maldonato. Gli ominidi non conoscevano la parola, poiché essa arrivò molto tempo dopo. Quando arrivò il confronto delle proprie conoscenze con quelle altrui, comparvero le prime interazioni sociali, indispensabili per prendere insieme decisioni efficaci per la sopravvivenza e l’evoluzione.
Abbiamo sempre deciso con le emozioni
Come si spiega, dunque, che esseri così limitati cognitivamente abbiano potuto compiere, in fin dei conti, le scelte giuste? Usando quella che oggi definiamo razionalità? In effetti, no.
- Tra l’altro, le prime forme di vita sulla Terra risalgono a seicentocinquanta milioni di anni fa, quando eravamo rettili.
- Duecento milioni di anni fa si sviluppava il cervello intermedio, sede dei circuiti limbici e, dunque, delle emozioni.
- Mentre la neocorteccia, il cervello recente, ha solo centomila anni di storia.
Per arrivare fin qui, quindi, abbiamo preso decisioni con la parte emotiva del nostro cervello. Qualcuno direbbe, con l’emisfero destro, anche se non è proprio esattamente così (ma ne riparleremo).
Il motivo è che siamo esseri emotivi che hanno imparato a pensare e a ragionare. Non esseri pensanti che sanno emozionarsi.
Ed ecco perché scelte che quotidianamente facciamo, di solito, hanno poco di razionale. La razionalità entra in gioco subito dopo aver preso una decisione e serve a giustificarla. Per cui, tanto che scegliamo il (o la) partner di una vita o un acquisto, passando davanti alla vetrina, è l’emozione di quel che sarà che ci guida. Indossare quelle scarpe sotto a quell’abito, pregustare la felicità di una vita insieme alla persona da cui siamo attratti ecc..
L’esperimento di Damasio
Per dimostrare l’implicazione emotiva nei processi decisionali, nel 1994 lo scienziato Antonio Damasio condusse un esperimento su due campioni di pazienti.
- A ciascun componente del primo gruppo fu detto: “Se lei si sottoporrà all’intervento, avrà l’80% di probabilità di sopravvivere.”
- Ai componenti del secondo la stessa questione fu posta al negativo: “Se lei si sottoporrà all’intervento, avrà il 20% di probabilità di non sopravvivere.”
Ebbene, decise di sottoporsi all’intervento chirurgico un numero altissimo di persone appartenenti al primo gruppo, contro un numero esiguo di componenti del secondo campione.
Eppure le due frasi, da un punto di vista logico, significano la stessa cosa. Come mai, allora, questa divergenza, se non per i differenti stati d’animo che le due formule inducono?
Insomma, ci facciamo scudo con la nostra razionalità e vorremmo ridurre tutto alla logica. Ma la vita si sviluppa davvero ad un altro livello. Ce ne faremo mai una… ragione?
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