Scrive Benjamin Franklin nel 1779 alla nipotina, in una lettera nella quale le da dei consigli su come scegliere l’uomo da sposare: “Se hai dei dubbi, prendi un foglio, traccia una riga così da ottenere due colonne. Nella prima mettici i “pro”. Nella seconda i “contro”. Elimina pro e contro che si equivalgono. Infine, facendo tre o quattro considerazioni al giorno, colloca sotto le due differenti etichette dei brevi appunti che serviranno di volta in volta per la valutazione “a favore” o “contro“. Al termine di questa operazione di algebra morale (o prudenziale), saprai quale decisione prendere. Se non farai così, rischierai di non sposarti mai”.
L’algebra morale
Sono passati poco più di due secoli da questa visione, utilitaristica e algebrica intorno alla questione del come decidere, ma sembra un modello di pensiero preistorico.
Ciò non di meno, a noi piace pensarci razionali, esseri pensanti e logici. Probabilmente, e questo riguarda la maggior parte di noi, ne abbiamo bisogno per continuare ad esercitare il controllo sulle cose della nostra vita. Come spiega sul finire del ‘700 l’economista Jeremy Bentham “nell’analisi della natura delle preferenze”, razionalità è, infatti, tutto ciò che genera
- utilità,
- vantaggi e che
- massimizza il piacere.
E utilità e piacere sono misura delle azioni umane, le quali assurgono a valore morale per la loro preponderanza delle decisioni che si prendono.
Va bene tutto ma il principio rigido di “algebra morale” di Franklin appare oggi scarsamente applicabile.
La scienza della decisione
Intorno alla fine del ‘900, grazie alle ricerche in campo psicologico e alle moderne tecnologie che permettono di vedere il cervello umano in azione, si sviluppa una scienza della decisione. Le evidenze su cui essa di fonda demoliscono, di fatto, l’idea della razionalità di fondo e assegnano la centralità delle responsabilità nelle scelte (e nelle decisioni, dunque) a fattori come incertezza e imprevedibilità. E, quindi, alle emozioni che si associano spontaneamente a questi fattori.
“Un individuo come quello descritto nella teoria normativa – che decide in base ad alternative fisse e già date e che conosce già le conseguenze di ogni sua possibile scelta – può vivere solo in mondo astratto”, afferma Herbert Simon, psicologo ed economista statunitense.
Ovvero, secondo le ultime scoperte delle neuroscienze, nelle nostre decisioni intervengono, prima e soprattutto, fattori extracognitivi come
- la valutazione emotiva del rischio,
- la paura per le conseguenze,
- la gioia o il piacere che ne deriverà ecc.
Gli scacchisti
Nel 1983 Simon scrive ancora, in proposito, che un individuo alle prese con una decisione (economica) è come un giocatore di scacchi davanti alle mosse da effettuare. Ne parla Mauro Maldonato nel libro “Quando decidiamo”, Giunti Editore. Non esiste strategia, se non quella che è possibile adottare passo dopo passo. E’ qui che intervengono incertezza e imprevedibilità, perché è impossibile prevedere le contromosse dell’avversario.
Per questo la partita si gioca sulla psicologia dell’avversario.
Ecco: come negli scacchi, in economia spesso il successo di una scelta è frutto di intuizioni. Dunque, di
- aspetti inconsci,
- emotivi,
- fuori dal controllo della consapevolezza e, cosa non meno importante,
- di un giudizio (auto)critico severo.
Che cosa ci riserva il futuro in termini di scoperte ancora da compiere, circa le modalità di comportarci davanti a una decisione da prendere, non possiamo saperlo. Appare, tuttavia, improbabile che vengano stravolte le evidenze recenti. Tra l’altro, l’idea che noi sfruttiamo solo il 10% del nostro cervello si è ormai rivelata del tutto falsa e infondata. Serve, al più, a incoraggiarsi a pensare di poter arrivare chissà dove. Poteva valere cinquant’anni fa quest’idea ma non più oggi.
Oggi il nostro cervello lo conosciamo bene e lo sfruttiamo, di fatto, al massimo del suo potenziale. E, anche senza sapere perché, occorre finalmente arrendersi all’idea che per noi decide una “regio ignota” che sfugge al controllo vigile della consapevolezza.
L’irrazionalità del giocatore
Secondo quanto sostengono Daniel Kahnemen e Amos Tversky, psicologi israeliani, chi gioca in borsa e deve prendere decisioni in fretta è molto spesso governato dall’irrazionalità. Alcuni, per esempio, sviluppano la tendenza a conservare troppo a lungo titoli che, strada facendo e nel corso del tempo, perdono punti.
Le emozioni negative causate dalle perdite finanziarie sono, infatti, più intense rispetto alle emozioni positive generate dal guadagno o della vincita di una somma. Se, pertanto, il giocatore di borsa si lascia trasportare sull’onda dell’irrazionalità, è molto probabile che resti irretito nelle trame di emozioni senza che ne abbia consapevolezza. Una delle conseguenze è, appunto, che rimandando la decisione di vendere, venga rimandata la brutta sensazione associata alla consapevolezza di aver subito una perdita finanziaria.
Non troppo diversamente da quello che accade con i giocatori d’azzardo patologici. Per questi ultimi, l’adrenalina del gioco compulsivo è molto più stimolante della vincita in sé. E per questo spesso finiscono in rovina.
L’emozione che guida la decisione
Ecco, dunque, come funziona il nostro comportamento secondo la scienza della decisione.
- Desideriamo qualcosa? Non è sempre o per forza perché pensiamo logicamente che ci serva. Più spesso è per il senso di piacere che proviamo a soddisfare quello che percepiamo come un bisogno.
- Abbiamo adocchiato quella borsa, anche se è l’ennesima di quel colore nel nostro guardaroba? Non è perché ci manca quel preciso modello che la compreremo ma per gratificazione personale che ci procura la sensazione di indossarla per quell’occasione o con quel determinato paio di scarpe.
- Allo stesso modo, è così che decidiamo di andare a mangiare sushi dal giapponese invece del panino della salumeria sotto casa. Non è la fame ma il gusto.
Ce lo lasciano credere
Per farla breve, siamo convinti di valutare pro e contro di ogni decisione. Ci mettiamo lì e soppesiamo al millimetro ogni scelta, convinti di aver fatto “pelo e contropelo” alla questione da dirimere… ma poi decidiamo con le emozioni.
Altro che algebra morale!
Allora, invece di sbandierare le nostre capacità da decisionisti di razza, facciamoci qualche domanda. Ad esempio, chiediamoci quanto siano bravi gli esperti di marketing che allestiscono spazi di vendita a stuzzicare le nostre emozioni, lasciando a noi l’illusione di aver deciso in autonomia di acquistare da loro?
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