Se un gioco scenico tra persone mitizzate che si esibiscono davanti alle telecamere per farsi venerare ed entrare nell’immaginario comune come eroi, rappresentando in diretta le proprie miserie relazionali ed emotive, fa più audience e più seguaci rispetto alla divulgazione scientifica, è segno che i tempi sono davvero cambiati. E che ci sono ben poche speranze di convincere i giovani che il successo lo si conquista con la fatica e con l’impegno. Quello che, però, stupisce è la resa del servizio pubblico d’informazione davanti alle ragioni di mercatura: se Alberto Angela non vende, non fa più ascolti, meglio virare su programmi spazzatura di contrasto ai competitor, piuttosto che insistere con la vision di dispensare cultura. Cultura che, nell’era digitale, appare sempre di più anacronistica e fungibile. D’altronde, che cosa ci si può aspettare da una società che mortifica i suoi docenti, se non diffondere modelli deviati e deintellettualizzati?
Il divertentismo tossico
Il fatto è che, in un mondo che fluidifica i suoi confini e mescola il buono ed il cattivo gusto fino a renderli irriconoscibili, gli appuntamenti dal cinematografo di un tempo per informarsi sugli avvenimenti nel mondo (spesso utilizzati dai regimi) e le riunioni in famiglia per vedere i programmi a quiz in tv (bisogna, comunque, considerare gli interessi di un’intera popolazione per fare un’analisi sociologica delle tendenze, al di là della comprensibile discrezionalità se questa sia cultura o meno) oggi sono soppiantati dai ritrovi voyeristici per sapere che cosa si diranno Tizia e Tizio davanti al falò. D’altro canto, una società spenta si accende solo davanti alla spettacolarizzazione delle emozioni degli altri che può vivere di riflesso, in un prolungato “come se” che attutisce il senso di atrofizzazione affettiva e sentimentale (basta vedere il numero delle separazioni, dei divorzi e dei reati tra le mura domestiche per rendersi conto della portata della crisi delle relazioni), di cui una trasmissione televisiva è palliativo. E questo è un fatto.
L’altro è che la paventata sospensione del programma di Angela in favore dell’ennesima fiera del narcisismo e della vanità non fa altro che fotografare il decadentismo della nostra società, in cui gli stimoli culturali non hanno più presa sulla popolazione, attratta dal divertentismo tossico degli show che nulla aggiungono alla diffusione della conoscenza.
Robotizzazione e instupidimento
Si direbbe che tv e piattaforme online stiano contribuendo all’impoverimento culturale ed emotivo della società occidentale e alla deriva anti-intellettuale, amplificati dal progresso tecnologico (la cui funzione sarebbe quella di semplificarci la vita, rendendoci più facile l’accesso alle informazioni), che la scuola non riesce ad arginare. Sembra, in altre parole, che del progresso tecnologico ci stiamo prendendo solo il peggio, visto che non lo sappiamo usare ma ne diventiamo strumenti. Così, invece di formare una cittadinanza più consapevole, i nuovi mezzi robotizzano e instudipiscono la vita umana: i circuiti neurali, poco stimolati, si irrigidiscono, con la conseguenza che il cervello ha sempre più difficoltà a processare le informazioni, ad apprendere nuove parole, ad astrarre contenuti e a produrre crescita culturale che, per definizione, si basa sulla qualità del pensiero. D’altronde, non può che accadere questo se la scienza, la letteratura, la filosofia non sono più al centro del dibattito culturale e cedono il posto al gossip.
Senza la curiosità, il desiderio, la voglia di apprendere, l’esplorazione di diversi orizzonti, lo spirito critico, restano solo la ricerca del facile successo e il conflitto. Non c’è, dunque, da meravigliarsi se “l’altro” è scomparso dai radar delle relazioni, salvo essere strumentale al raggiungimento di obiettivi personali, e se i più oggi sono ripiegati su se stessi, concentrati sul soddisfacimento dei propri bisogni materiali, viziati, annoiati e appagati solo dai like.
Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti, in proposito, scrivono nel libro “Umano, poco umano”: “Che cosa vede lo sguardo nella relazione mediata dei social? Selfie a parte, nell’audience, nella ricerca furiosa, folle di un pubblico, l’utente di TikTok, di YouTube o di Instagram non instaura alcun dialogo con i suoi follower ma vuole illuminare l’infosfera con infiniti riflessi narcisistici dell’Io. L’esito di questa attività è una compulsività crescente che sconfina in una digitopatia: la stiamo imparando da poco a conoscere ed essa sta già riempiendo i manuali di psicopatologia clinica.”
La scomparsa dell’altro
I classici, però, ci hanno insegnato altro: “Nel dialogo tra Socrate e Alcibiade”, continuano Crippa e Girgenti, citando l’Alcibiade maggiore di Platone, “l’anima vede se stessa rispecchiata nell’altro, così come l’occhio vede se stesso in un altro occhio; ma questo non è quello di Narciso che vede se stesso rispecchiato solo nell’acqua, cioè in una parvenza riflessa.” L’altro è, però, necessario alla conoscenza di sé e alla strutturazione dell’identità. Ma, se l’altro scompare, il rispecchiamento nei riflessi narcisistici irradiati dalla mediasfera non fa che esacerbare il malessere della società occidentale e attestarne il declino.
Una società che si concentra sull’apparire e non sull’essere, sull’estetica e non sulla sostanza, non ha, infatti, altre aspirazioni che preservare la propria superficialità.
La superficialità della banalità, del materialismo e del nichilismo, profetizzati da Zygmunt Bauman, per una società che non ha più solidità in sé, fluida perché senza più radici, in cui il nulla è posto come principio, l’unità è soppiantata dallo zero e la pienezza è dalla vacuità.
Il paradosso
Il paradosso è che il compito di salvare l’homo stupidus stupidus, come lo definisce magistralmente l’ottimo Vittorino Andreoli nel suo libro omonimo che parla del viaggio “involutivo” dell’essere umano, dal suo inesorabile destino e di rendere la conoscenza attrattiva e popolare e farla riemergere dal baratro in cui è sprofondata, è affidato proprio a quella minoranza di menti eccelse che non faranno mai milioni di visualizzazioni sui social e che, dietro le quinte, si occupano di filosofia, di scienza, di psicologia, di educazione, di arte e letteratura, lontano dai riflettori, per consegnare al futuro un mondo migliore. Fino a prova contraria, naturalmente.
0 commenti