Insegnare, come ho già detto in articoli precedenti, è un atteggiamento spontaneo, evolutivamente codificato che, dal punto di vista biologico, risponde ad un chiaro bisogno. Chiedersi, allora, “perché insegniamo?” è come chiedersi “perché beviamo?”. Il motore è la motivazione (alimentato dal carburante che rappresenta la dopamina che fa agire “verso”), poiché insegnare a qualcuno a proteggersi dalle fiere serviva, in origine, a proteggere se stessi (cioè, se l’anziano del villaggio insegna ai giovani come proteggersi dai pericoli, egli sarà in grado di dare l’allarme al villaggio, se dovesse percepire un pericolo diffuso). Il che, dunque, è un vantaggio per la collettività.
Perché insegniamo?
Insegniamo, in definitiva, per diffondere conoscenze, poiché ciò è funzionale alla formazione dei gruppi sociali che offrono vantaggi per i singoli, anche verso chi diffonde la stessa conoscenza.
Insegnare, allora, è anche un modo per prendersi cura di se stessi.
D’altro canto, intessere trame collettive con comportamenti altruistici
- fa comprendere, in chiave utilitaristica, la genesi della comunicazione umana;
- fa funzionare l’individuo meglio di come funzionerebbe da solo.
In definitiva, il comportamento intenzionale che rappresenta l’atto di insegnare serve a fini sociali, evolutivamente codificati, azione mediante la quale si colma il divario tra chi possiede una conoscenza e chi non lo possiede.
Questo presupposto è il requisito che pone le basi del meccanismo del buon insegnamento come interesse di tutti. Per questo, quando i ragazzi non apprendono, dovremmo essere tutti preoccupati e considerarci sconfitti.
Trasformare l’insegnamento in apprendimento
Ecco lo schema che propone Mariano Sigman nel suo libro “La vita segreta della mente” per trasformare l’insegnamento in apprendimento:
- Riconoscere la conoscenza che abbiamo su qualcosa, detta meta-cognizione;
- Riconoscere la conoscenza che un’altra persona ha di qualcosa, in base alla teoria della mente (sapendo mettersi nei panni dell’altro);
- Comprendere che esiste una disparità tra queste due conoscenze;
- Possedere la motivazione per colmare questo divario;
- Possedere un apparato comunicativo (in termini di linguaggio, gesti, consapevolezza emotiva), per colmarlo.
Saper comunicare
Saper comunicare è, infatti, la competenza tecnica che deriva dalla sintesi di tutto queste qualità che, in definita, nel caso dell’insegnante, producono apprendimento efficace. L’atto più elevato della comunicazione (la qualità che caratterizza gli insegnanti migliori, dunque) è l’ostensione.
Secondo Mariano Sigman, l’ostensione è un atto intenzionale che ha il potere di calamitare l’attenzione degli uditori verso il linguaggio. Cioè, è
- un’azione pensata (consapevole e intenzionale), preparata davanti allo specchio, proprio come una vera e propria azione teatrale, e mai improvvisata, che,
- smuovendo qualcosa nel corpo dei presenti,
- li coinvolge anche rispetto ai contenuti trasmessi verbalmente.
I marcatori ostensivi
In questa direzione, l’insegnante (e, in generale, il bravo comunicatore) ha degli alleati che Sigman definisce marcatori ostensivi. Si tratta di:
- guardare negli occhi;
- sorridere;
- rivolgersi all’aula con il corpo (muoversi per far librare le energie nell’aria);
- coinvolgere i destinatari, chiamandoli per nome;
- usare la mimica facciale (giocare con le sopracciglia);
- modulare e variare tono di voce per modificare l’enfasi del discorso;
- usare le digressioni, gli aneddoti e i riferimenti alle storie dei ragazzi;
- fare cenni alla propria storia/esperienza personale (l’autobiografia ha sempre un grande potere);
- parlare in piedi;
- sfruttare il potenziale dell’inganno della mente. Insegnare in inglese è “teaching”; ingannare è l’anagramma “cheating”. Per comunicare al fine di un buon apprendimento, occorre esser capaci di ingannare le menti altrui, offrendo immagini e modalità multisensoriali creative che spostino le persone dalla loro zona di comfort e che facilitino l’acquisizione dei concetti.
I marcatori ostensivi hanno il compito di creare sintonia: la trasmissione del messaggio, infatti, è efficace solo se il “canale è ben sintonizzato”. Diversamente, è come se ci fosse un fruscio di sottofondo che
- disturba e
- interferisce con l’apprendimento.
L’affidabilità dell’insegnante
L’apprendimento, d’altro canto, non dipende solo dal contenuto del messaggio ma, principalmente, dell’affidabilità del comunicatore. Data l’asimmetria delle due posizioni d’osservazione (relatore e pubblico), è sempre il primo ad essere esaminato allo scanner dal secondo (dunque, dalla classe). Gli studenti, dunque, riescono ad entrare nelle maglie dell’emotività dell’insegnate, osservandolo molto più a lungo di quanto egli non possa fare dalla sua cattedra.
Oltre a possedere autocontrollo e consapevolezza, allora, l’insegnante deve
- trasmettere, appunto, affidabilità.
- L’affidabilità, a sua volta, dipende dalla capacità di ostensione e dal corretto uso dei marcatori (o chiavi ostensive).
- Solo una buona capacità di ostensione trasmette, infatti, completezza di informazioni e inibisce ogni ulteriore ricerca di approfondimento da parte dell’allievo.
L’insegnante migliore è, allora, quello che trasmette completezza.
Intuizione e comprensione umana si radicano in questo concetto di insegnamento per comunicazione efficace. Dote che, almeno per ora manca ai robot che sono goffi come gli insegnanti che non posseggono le basi dell’ostensione e della comunicazione efficace.
Tutti amano insegnare. Fin da bambini. I migliori lo fanno usando sapientemente tutte le chiavi ostensive.
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