Storie di quotidiana arroganza giovanile. E’ venerdì. Arrivo a casa pochi minuti prima delle 15. Accendo la tv mentre mi preparo qualcosa da mangiare (in sé, la cosa è già insolita). Canale 5. Amici. Morgan parla alla squadra dei bianchi. Istintivamente cambio canale in cerca di un tg ma qualcosa cattura la mia attenzione nell’istante in cui lo schermo si oscura in attesa dei frame del programma successivo. Torno indietro e ascolto. E’ il discorso di un leader alla prese con la difficoltà di farsi riconoscere, accettare e seguire nel ruolo di chi difende e porta avanti gli interessi del gruppo che rappresenta.
Leader e complicatori di problemi
Come capitano della squadra, ha appena proposto al giovane cantante di interpretare un brano di Sergio Endrigo ma il ragazzo non ne vuol sapere: “Chi ca… è questo Sergio Endrigo?” Mentre si esprime così, i cinque componenti in maglia bianca si stringono sul divano, bianco anch’esso, si compattano come neve che diventa ghiaccio. In fondo. è davvero così, metafora a parte. A me che ho studi classici e una passione immensa per la storia danno l’impressione di essersi disposti a testuggine romana contro il loro stesso comandante. Non credo a quello che sento. “Assurdo!” penso. Appaiono uniti, coesi, solidali nel rifiutarsi di fare ciò che il leader ha scelto per il loro stesso bene. Lo sono fisicamente e nelle parole. E, al tempo stesso, sono presuntuosi, saccenti e oppositivi.
Eccoli i complicatori di problemi. Sono quelli che
- sanno sempre tutto loro;
- la storia non conta e, se conta, allora “siamo noi”;
- cambiare vuol dire essere pagati meglio per fare meno;
- gli altri “ci stanno rubando il futuro”;
- a mettersi in discussione neanche se ne parla.
E se qualcuno traccia la strada, non è di certo la loro strada. Perché loro sono diversi, non sono fatti per accettare ciecamente e credere nei valori degli altri. Loro hanno valori differenti che vogliono vengano riconosciuti, purché nessuno li obblighi a cambiare. Perché cambiare è già un’evoluzione del fare e già fare è un bel problema.
Terrorizzati dal cambiamento
Mentre osservo la scena, mi riconosco nella parole di Morgan. Lo percepisco “umano” e sento la sua frustrazione di non riuscire a convincere quei ragazzi della bontà del suo consiglio di esperto di musica. Forse per questo mi rispecchio in lui e rivivo tante situazioni a me molto vicine. “Accidenti! Ho appena finito di fare un discorso simile” mi dico. Ma quanta fatica deve fare uno per accreditarsi ogni volta? E mi rivedo in sala riunioni con collaboratori e partner a raccontare la storia della mia vita e a cercare di convincere tutti di come, per essere leader di se stessi prima che degli altri, bisogni credere in quello che
- si sa,
- si fa e
- si è.
Il punto è che tutti oggi vogliono “essere”. Essere apprezzati, essere leader, essere ben remunerati, essere arrivati. Ma dimenticano che la strada per il successo passa innanzitutto dalla conoscenza e, in seconda battuta, dalle sue applicazioni. Cioè, dall’azione.
Comportamento da perdenti
E per questo ho apprezzato le ultime parole di Morgan prima di cambiare canale: “Ragazzi, vi mollo!”. E’ giusto così. I perdenti, che
- vogliono sempre qualcosa di diverso da quello che hanno;
- hanno una scusa per ogni fallimento;
- trovano a se stessi ogni genere di alibi per “spiegare” l’interminabile fila di insuccessi che inanellano;
- cercano sempre mille modi per non fare e per dire che sei tu che non vai bene;
sono zavorre di cui bisogna liberarsi, se l’obiettivo è l’azzurro del cielo. Quanti ne conosci anche tu?
Minacce alla leadership personale
Quante minacce alla leadership della tua vita affronti ogni giorno? Perché, infatti, non si tratta solo di una questione aziendale. Io parlo di minacce all’autostima, alla dignità, all’amor proprio che arriva dai soliti killer in incognito. Quelli ti succhiano le energie “gratis”, coalizzandosi per farti sentire in “minoranza emotiva“.
Io non so se il capitano della squadra dei bianchi lo abbia fatto davvero ma voglio credere di sì. Non ho approfondito: ho cambiato canale perché a me andava bene così. Se ci pensi, questo atteggiamento rappresenta l’unico modo con cui i soldati posso apprezzare il valore di un generale. Se ogni giorno tracci la rotta e dai il massimo ma vai a sbattere contro muri di gomma, meglio costruire altrove un esercito ambizioso e bramoso di vittorie. Di sabbie mobili e buchi neri, in fondo, ne abbiamo già piena la vita.
D’accordo su tutto tranne x il fatto che in questo caso Morgan non è stato riconosciuto come leader in quanto risulta essere poco empatico nei confronti del gruppo mentre dall’ altro tende ad anteporre se stesso e la sua immagine prima delle capacità artistiche del gruppo dimostrando in questo modo di non credere in loro e nelle loro capacità. La continua perdita di “pezzi” della sua squadra ne sono la prova.
Gentilissima,
non seguo abitualmente Amici né Morgan. L’esempio mi è stato utile, tuttavia, per delle riflessioni di carattere generale sul concetto stesso di leadership (ma penso che lei abbia le sue validissime ragioni). Il suo punto di vista mi è molto gradito e di questo la ringrazio molto.
Cordialità.
Stefano Centonze