Che cosa sappiamo dell’autismo? Attualmente molti quadri sintomatici differenti vengono designati (talvolta anche impropriamente) con il termine di autismo. Per questo si preferisce spesso parlare più genericamente di disturbi dello spettro autistico. All’interno di tale definizione si fanno oggi rientrare tutte quelle patologie caratterizzate da gravi alterazioni del comportamento, della comunicazione e dell’interazione sociale. Questo tipo di disturbo è classificato dall’American Psychiatric Association (DSM IV) col nome di Disturbi generalizzati dello sviluppo, poiché esso altera diffusamente la normale evoluzione della personalità. Le aree particolarmente compromesse sono quelle dell’ interazione sociale, della comunicazione (in particolare, del linguaggio) e del comportamento.
Interventi per l’autismo
Chi vive quotidianamente a contatto con soggetti autistici, afferma Raffaela D’Alterio, Pedagogista Clinico, Tecnico ABA e Danzamovimentoterapeuta, sa bene quanto, nella criticità del quadro generale, influiscano la mancanza di sincronia e di reciprocità nell’interscambio della conversazione, unitamente ad un’assenza di risposta emozionale alle stimolazioni verbali e non verbali rispetto alle stimolazioni del mondo circostante, comprese quelle che provengono dal nucleo familiare e dalla scuola. La conseguenza è che essi sfogano la frustrazione del non riuscire con crisi d’ira, pianto, chiusura, negando attenzione e fissando il vuoto.
Ma che cosa sono le stimolazioni verbali e che significato hanno le parole per un soggetto autistico?
In una delle ultime conferenze tenute da Temple Grandin alla TED, lei stessa dice che gli autistici pensano per immagini e nello specifico questo significa che per la mente autistica la parola non ha alcun senso se non associata ad un immagine. La parola, dunque, non è un simbolo ma un’immagine ben precisa. La Grandin dice che pensare per immagini significa avere il cinema nella testa, una sorta di google per immagini. Questo è uno dei motivi per i quali i supporti visivi funzionano molto per agganciare le persone con autismo, soprattutto bambini, e creare un ponte per comunicare con loro.
Le terapie comportamentali
L’interesse che essi provano davanti agli stimoli visivi, d’altro canto, suscitano un grande interesse in loro che, venendo quasi rapiti da colori e immagini, timidamente reagiscono. I supporti visivi, cosi definiti anche dalle terapie cognitive comportamentali, vengono usati sia nell’apprendimento didattico che nella routine quotidiana del soggetto: poter vedere l’immagine dell’oggetto richiesto, cercato e, a qualunque titolo, implicato nella comunicazione, offre la possibilità di una maggiore e serena comprensione delle consegne, dei ‘no’ e, di conseguenza, una migliore gestione dell’angoscia che essi vivono.
Arti Terapie e autismo
Nel suo lavoro Danzamovimentoterapia e autismo, lavoro sperimentale sulle tecniche corporee facilitate dalle Arti Terapie per la riabilitazione espressiva e relazionale del soggetto autistico, Raffaela afferma che: “voler insegnare una qualsiasi cosa ad un bambino autistico, senza partire dalla sua motivazione e senza prima avergli dato delle abilità sociali, porta solo a insuccessi ed alla frustrazione degli educatori che operano, ad esempio a scuola con bambini autistici. Alcuni di essi, definiti ad alto funzionamento, sono eccellenti alunni. Altri non riescono a stare in classe o che vogliono solo scappare dalla stanza in cui si svolgono le attività. In tutti i casi, occorre decidere che cosa sia realmente importante per un bambino autistico: che sappia stare in una classe e fare bene tutti i compiti, il che gratifica l’insegnante, soprattutto se tenerlo impegnato lo porterà ad rinunciare alle stereotipie che creano disturbo durante le ore di lezione, senza che però interagisca con i compagni o che impari a gestire la propria angoscia, anche nel caos, incontrando gli altri ?”
Arti Terapie e autismo a scuola
Certo, la scuola non è il luogo della riabilitazione. Ma è l’istituzione educativa e formativa per eccellenza. La domanda è che cosa serva ad un bambino autistico perché possa apprendere, per lo meno, le abilità di base. Ecco perché parliamo di motivazione. “Del resto”, continua nel suo lavoro, “chi non si sentirebbe angosciato a dover fare, imparare, accettare qualcosa verso cui non è affatto motivato. Tutti noi abbiamo imparato cose che non ci interessano per nulla o molto poco: l’abbiamo fatto perché dovevamo e perché siamo capaci di gestire la nostra angoscia di fronte alla frustrazione di azioni che non ci piacciono. Gli autistici non hanno questa capacità ed è per questo che la loro frustrazione diventa intollerante.”
Nel 1987, O’Del e Koegel svilupparono un programma che includeva tecniche motivazionali e l’uso del linguaggio funzionale: il programma fu creato per essere usato nell’ambiente naturale e, quindi, si rivelava ideale per l’intervento a casa. Laski, Charlop, e Schreibman (1988) insegnarono con successo alle famiglie ad usare queste tecniche per aumentare in modo significativo e per migliorare le capacità espressive ed il linguaggio dei loro bimbi. La strategia, che tuttora prevede diverse varianti che aumentano la motivazione, si rivelò efficace poiché basata su:
- Alti livelli di rinforzi;
- Una varietà di prompts (aiuti);
- Sfumare in modo sistematico i prompt, affinché essi siano vari ma non costituiscano novità destabilizzanti.
Conclusioni
Se, dunque, i rinforzi sono indispensabili per l’apprendimento, specie se scelti o graditi al bambino, e quelli più appropriati sono quelli visivi, è ipotizzabile approdare ad una pedagogia del corpo partendo proprio dalle immagini. Far vedere ad un bambino autistico, ad esempio, l’immagine di un bimbo che rincorre una palla può agevolare l’assimilazione dell’idea del movimento finalizzato. La piacevolezza dell’esperienza, che in sé è un deterrente rispetto al vagare stereotipato e afinalistico, attiva i processi attentivi e stimola il sé corporeo che sono alla base all’apprendimento. Con il tempo, allo stimolo visivo può essere associato anche quello musicale, generalmente considerato quello più vicino alle naturali e spontanee inclinazioni del soggetto autistico.
Quella della Danzamovimentoterapia e della Musicoterapia è, di sicuro, una nuova frontiera nell’intervento riabilitativo dell’autismo ma i risultati fin qui conseguiti hanno prodotto evidenze incoraggianti.
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