Ti conosco ch’eri ciliegia – Recensione di Raffaela D’Alterio al romanzo di Stefano Centonze
È quasi insopportabile il pensiero che il senso della vita non abbia nome, non abbia luogo e non sia simbolicamente identificato in qualcosa o in qualcuno. La ricerca diventa, così, disperata e faticosa e ad ogni punto di “arrivo” sembra sempre di dover ricominciare. Si ha, a quel punto, come la sensazione di cercare invano, di essere destinati al fallimento e la solitudine accompagna i viaggi più lunghi e gli arrivi più entusiasmanti.
Davanti a questo incontro la vita appare scarna e la ricerca stanca! È come fermarsi ad un punto del viaggio e scrivere il diario dei giorni passati e poi rileggerlo a distanza di tempo… Ci vedi quello che hai cercato, quello che hai trovato, quello che hai dimenticato di cercare, le cose, le persone che hai incontrato, che hai lasciato, che ti hanno accompagnato. Quello di Marco è un viaggio di ritorno, attraverso un lungo cercare che anche alla “fine”, simbolica degli eventi, è ancora ricerca. Profonda è allora la riflessione che questo viaggio ci invita a fare: qual è il senso del mio cercare se ad ogni “arrivo” devo ricominciare! Dolce e amara sensazione!!! Potremmo filosoficamente dire che il senso sta nella ricerca e che la ricerca è il senso stesso!!! Ma quanti si accontenterebbero di questo, a quante coscienze basterebbe “pensare” che il loro disperato, affannoso, accanito cercare sia sufficiente per dare senso alla propria vita?
A pochi. E’ insopportabile la sensazione di sconfitta, quando il potere non si degna di “stare” tra le tue mani o quando il potere manovrato dagli altri ti obbliga a “stare” dove mai staresti. E si finisce per diventare potenti vite espropriate, sorridenti maschere impaurite, numerosi da soli, quadri dipinti a mano su carta crespa, ricercatori per strade di mercenarie illusioni. Potrebbe essere errata la destinazione o errato attraversare il “viaggio” correndo verso sentieri illusori? Marco fa ritorno alla sua vita, alle sue paure, alla solitudine sana che lo avrebbe salvato dalle illusioni e ai colori sbiaditi del quadro dei suoi desideri. Marco sceglie la strada del ritorno, molto più faticosa di quella che si percorre quando si va avanti, perché c’è bisogno di cercare ancora e in modo nuovo, c’è bisogno di guardare ancora dentro e fuori di sé e di fermare i propri occhi negli occhi degli altri che si credevano persi e rischiare di non trovarli più.
Ed è forse “ritornando” che il cercare fa sentire più intensamente il suo senso, si fa sentire come il “senso”. Sento di poter affermare che il ritorno di Marco è una ricerca alta e profondissima della verità. La mia verità, quella di Marco e non quella degli eventi temporali. Ritornare a sé, riconoscendo di essere anche un “non-sé”, significa avventurarsi alla ricerca interiore, svelatrice della propria verità. Ritornare è ripercorrere le strade interiori, osservando, tutto intorno con gli occhi dell’anima, i paesaggi celati come da ombre di fredde stagioni mai fatte passare. Ritornare è riconoscersi innanzi alla propria coscienza. E’ ritrovarsi per partire ancora!!!
L’uomo deve impegnarsi a fondo nella conoscenza, anche se non potrà raggiungere un sapere perfetto. E’ questo il mezzo migliore per raggiungere la felicità, giacché “una vita senza ricerca non è vita umana” (Apologia di Socrate, 38 a – Platone)
Sinossi del Romanzo. Marco Portulano è originario del Salento ma da anni ormai ha abbandonato la terra natia per trasferirsi a Milano. Il gelido Nord gli ha offerto tutto ciò che un uomo può desiderare: una moglie bellissima, il prestigio sociale e, soprattutto, una posizione di primo piano nella gestione della Golden Invest S.p.A., una delle più ricche società di costruzioni d’Italia. L’esistenza di Marco è scandita da una serie di trionfi in rapida successione, eppure c’è qualcosa, nel suo passato, che gli impedisce di essere felice, qualcosa che lentamente lo corrode, lo avvelena, lo uccide. Quando ciò che Portulano ha costruito crollerà rovinosamente lasciandolo solo con la propria coscienza, non gli resterà che sfogliare le pagine della memoria, esplorare la strada che ha già percorso e riaffrontare i suoi fantasmi. Con Ti conosco ch’eri ciliegia, Stefano Centonze ci regala un romanzo intenso e appassionante sul tema del ritorno alle origini; un lirico tributo alla scoperta di sé e di ciò che ci si porta dentro, si cela, si occulta, finché non scompare di fronte ai nostri stessi occhi.
Raffaela D’Alterio, 2010
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