La storia di Shahrazad, con cui si aprono i racconti delle “Mille e una notte”, è il trionfo della parola sul corpo, dell’astuzia e dell’intelligenza femminile sul fascino fisico esercitato dal piacere carnale. La fanciulla conquista il sultano non con la dolcezza dei suoi atti amorosi ma con il garbo e con il fascino delle parole che seducono la mente e il cuore. Con il suo incipit “Sire, c’era una volta...”, Shahrazad introduce un viaggio fantastico di intelligente seduzione che piace a chi si concede il tempo di gustare il valore della parola.Continua a leggere
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Comunicazione ed emozioni: nel segno della parola
Che cosa vuol dire comunicare con intelligenza emotiva? Cioè, in che modo la comunicazione si sposa in definitiva con la consapevolezza delle nostre emozioni, la consapevolezza di noi stessi, la consapevolezza della nostra dimensione sociale e della gestione corretta delle relazioni con gli altri? La premessa è nella necessità di riflettere su come tutta la nostra unicità si esprima nella nostra comunicazione - che, quindi, crea relazione con gli altri - e su quanto sia fondamentale possedere un’egemonia su tutto questo. Serve, infatti, consapevolezza per correggere opportunamente gli elementi disfunzionali dei nostri comportamenti che, attraverso l’uso della parola, hanno il potere di rendere inefficaci e infelici le relazioni.
Comunicazione e consapevolezza
Dal mio punto di vista, non dovrebbero esistere tecniche di comunicazione, perché è contraddittorio che debba esserci una tecnica per esprimere, attraverso un atto linguistico, quello che realmente si prova in una data situazione. È come camuffare e, di conseguenza, mistificare il messaggio profondo che, in tal modo, perde la sua autenticità. Meglio parlare di percorsi di consapevolezza - ad uso dei viventi parlanti - per arrivare a capire che tutta la nostra storia, ciò che noi siamo, e le nostre emozioni sono contemporaneamente presenti in ogni nostro atto, sia esso un comportamento verbale, non verbale o para-verbale.
Una simile ammissione di responsabilità ha il dono di portare l’attenzione sulla necessità che tutto questo a noi debba esser noto, se il nostro obiettivo è puntare alla felicità delle relazioni.
La felicità è, infatti, un concetto “tipicamente femminile” che, etimologicamente, rimanda alla forza creatrice, alla fertilità e alla maternità. Quindi, si realizza con un atto sociale che va molto oltre il singolo individuo. Per questo si esprime nella comunicazione coerente con gli altri, atto in cui e di cui “aver cura”, al fine di costruire invece di distruggere.
Benessere e relazioni
Per comunicare bene, allora, occorre ben-essere. L'armonia, la lotta tra gli opposti che tiene in equilibrio le nostre esistenze, nasce dal coraggio di
- esplorare,
- osservare da un altro punto di vista le luci e le ombre della nostra storia che si esprimono nei comportamenti manifesti e, finalmente,
- conquistare la consapevolezza di come le stesse luci e ombre possano rendere efficaci o inefficaci i nostri modi di essere.
Con gli altri, al fine di orientarli opportunamente a generare fiducia nelle relazioni, ma anche e soprattutto con noi stessi, perché un dialogo interiore franco ha il potere della pacificazione che porta benessere anche nelle relazioni con il mondo.
Star bene, dunque, deve essere per noi il veicolo per creare delle relazioni gratificanti.
[jpshare]Il potere della parola
Riporto, allora, un bellissimo contributo che il Professor Pietro Salvatore Reina ha scritto per il mio libro “Comunicare con intelligenza emotiva”, contributo che credo possa sintetizzare opportunamente la missione di avere e di concepire un percorso basato sulla consapevolezza di sé e sugli atti comunicativi intenzionali per costruire delle relazioni sane.
Uno degli aspetti chiave dell'opera "Comunicare con intelligenza emotiva" (volume e corso online) è illustrare, riparare e spiegare le parole, i fili del discorso che tessono, legano e danno un senso alla nostra vita. Stefano Centonze ci ricorda che l’uomo non è solo zoon politikon, sulle spalle del gigante Aristotele, ma anche zoon logon echon, il vivente che possiede la parola. Il logos è diverso dal muggito e dal grugnito di un animale: il logos è una voce che esprime piacere, gioia, dolore; il logos consente di discutere su cosa sia giusto e ingiusto, bene o male.
Solo attraverso il logos si perviene
- alla collaborazione,
- allo scambio,
- all’amicizia tra gli uomini.
Comunicare con intelligenza emotiva
In poche parole, Comunicare con intelligenza emotiva è uno strumento su come migliorare la qualità delle relazioni per migliorare la qualità della vita, della vita di ciascuno di noi e della vita delle nostre città, e su come tornare a essere cittadini della parola, delle parole e del linguaggio. Un vademecum che, come pochi altri pubblicati, offre una strada, una via, un percorso, un itinerario per entrare realmente e meravigliosamente in contatto con l’altro, con gli altri.
In un testo incastonato nella silloge “Le parole che ci salvano” del critico letterario Giovanni Pozzi si legge: La parola è il tratto distintivo dell’uomo non perché aggiunto alla sua natura ma perché suo costitutivo. L’uomo nasce, si sviluppa, si modella e si esprime entro un linguaggio. Ma il linguaggio porta necessariamente al dialogo ed è perciò la piattaforma sulla quale si realizza l’incontro io-tu.
Credo che con le parole di Giovanni Pozzi si possa decisamente dare inizio allo studio del modello dell’intelligenza emotiva per una buona comunicazione con gli altri.
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Vi presento il mio libro “Comunicare con Intelligenza Emotiva”
Per scrivere un libro in cui raccontare quello che ho potuto notare sul modo di comunicare delle persone, in anni di esperienza nella relazioni e nella formazione, ho scelto di non riferirmi a modelli. Ho ritenuto che mi bastasse l'osservazione dei comportamenti della gente che ho incontrato sul mio cammino. Da curioso esploratore di umane faccende, il primo fenomeno da osservare sono io stesso. Per questo, ho intrapreso un viaggio lungo una serie di aneddoti che raccontano la visione che oggi ho di me stesso e del mondo mi circonda. E se potrò contribuire con una sola parola a renderlo migliore, allora, la troverete in questo libro. Mia moglie, ancora oggi, quando vuole ferirmi, mi accusa di dovermi impegnare di più con la pratica di quanto insegno in teoria. Prima di fingermi morto (come accade a molti di voi quando siete messi alle corde), seraficamente affermo: “Spero, allora, che le persone facciano quello che dico e non quello che faccio. E che lo facciano meglio di me”. Comunicare con Intelligenza Emotiva, ovvero il libro che Daniel Goleman ha dimenticato di scrivere. Un giorno l'ho detto per scherzo ma, se ci penso, è proprio così. Spero che piacerà a voi leggerlo come è piaciuto a me scriverlo.
Il contadino e lo spiritello della casa
In una storia della tradizione popolare del Salento del dopoguerra, si racconta di un contadino che, durante le notti insonni, veniva tormentato dall’Uru, lo spiritello della casa. Un’ombra burlona che amava giocare e mettere alla prova la gente. Il suo divertimento era spaventare chi dubitava della sua esistenza, mentre esaudiva i desideri delle persone che accettavano di dialogarci.
Così, l’uomo, che viveva da sempre da solo, esausto e atterrito dal vedersi nel sonno quell’ombra opprimente sulla pancia, un bel giorno decise di cambiare casa.
Trasferiti i suoi poveri arredi al nuovo indirizzo, sul far della sera fu visto dal vicino uscire per andar via per sempre. Teneva in mano solo un paniere, di quelli che venivano usati per la vendemmia, con le ultime cose, coperte alla vista da una piccola tovaglia a quadretti rossi.
“Così te ne vai davvero?” Chiese il vicino, avvicinandosi per salutarlo.
“Eh, sì. Cambio casa e vita.” Rispose il contadino. “Non lo sopporto più”, disse, riferendosi all’Uru.
Così, lo spiritello, sentendosi chiamato in causa, spostò leggermente la tovaglietta e fece capolino dal paniere: “Sì, sì… Ce ne andiamo da qui”, replicò beffardo.
[jpshare]Comunicare con l'ombra
La storia, con la solita saggezza della cultura popolare, insegna che non si può fuggire dalle proprie ombre. E che quelle ombre fanno parte di noi. Bisogna, allora, imparare a riconoscerle e integrarle, perché da qui dipende il benessere e l’armonia della nostra vita e delle nostre relazioni.
Poiché, dunque, quando comunichiamo, condividiamo noi stessi con gli altri, allo scambio concorrono le parole, i gesti, le emozioni, i valori, i talenti, le sfide, le difficoltà, i conflitti, i desideri che solo in parte appartengono alla superficie illuminata della nostra esistenza. Molto altro che trasmettiamo, spesso senza averne consapevolezza, viaggia lungo una via più bassa che è rappresentazione ed espressione della zona buia della personalità. Ma arriva a destinazione con la dirompenza delle onde di un mare in tempesta.
L’incontro con il mondo sommerso, abitato da emozioni e vissuti, è, allora, salvifico per sé e per le relazioni. Creatività e Intelligenza Emotiva spiegano come questo incontro possa avvenire e perché.
Continua a leggereVedere è il modo migliore per apprendere
Chi segue il mio sito sa che nel mio libro "A scuola di Intelligenza Emotiva" faccio riferimento all'Apprendimento Multisensoriale Creativo, una modalità di apprendere che sfrutta al massimo il potere dei sensi e della creatività di chi riesce a stimolarli opportunamente. La dimostrazione più evidente dell’apprendimento multisensoriale come apprendimento efficace risiede nel modo parallelizzato con cui il nostro cervello impara, con l'aiuto della corteccia visiva. Lo spiega lo studio degli alfabeti, come riferisce lo scienziato argentino Mariano Sigman, autore del libro "La vita segreta della mente".
Lo studio degli alfabeti
Ogni alfabeto, infatti, è composto dagli stessi tratti e dalle stesse forme (lineari e curvilinee) che, in modi diversi, li compongono, indipendentemente dalla cultura a cui appartengono.
Funziona così:
- dapprima apprendiamo le forme e impariamo a scrivere le lettere;
- successivamente, componiamo le sillabe e impariamo a leggerle;
- infine, componiamo le parole.
Questa prima parte del processo di apprendimento della scrittura e della lettura segue la via dorsale. Si tratta della via che segue l’apprendimento quando esso si rivela lento e rigido.
Con la pratica della lettura, il processo si automatizza, al punto che non servirà più leggere lentamente ogni lettera che compone la parola ma basterà leggere il primo terzo della stessa parola per sapere, anche in funzione nel testo in cui essa è inserita, di che parola si tratti. Quest’ultimo apprendimento segue la via ventrale, una via rapida e automatica che permette di
- trasferire l’apprendimento seriale all’apprendimento parallelizzato (quello che sfrutta la corteccia visiva, secondo cui si apprende meglio “vedendo” le informazioni che vengono trasferite) e, contemporaneamente, di
- trasformare la conoscenza esplicita (quella che fa riferimento alla memoria di lavoro, detta esplicita) in conoscenza implicita (che si riferisce alla memoria implicita, inconscia, quella sottesa all’apprendimento automatico che non si sa neppure di possedere).
Apprendere in serie o in parallelo
Esistono, dunque, due vie per l’apprendimento di cui siamo dotati per natura:
- c’è un apprendimento seriale, che è lento, faticoso e rigido, che si sviluppa lungo la via dorsale del cervello (idealmente, la continuazione della colonna vertebrale). L’apprendimento di questa natura produce nozioni che si collocano al livello della memoria esplicita (informazioni che vanno recuperate con uno sforzo da parte del soggetto e in base alla loro utilità temporanea);
- e poi, c’è un apprendimento parallelizzato. Si tratta di una apprendimento fluido, rapido e automatico, che si sviluppa lungo la via ventrale (quella che collega in parallelo più aree del cervello, a partire da quelle associative della corteccia visiva con le sensazioni fisiche). Questo apprendimento produce memoria implicita, quella che l’individuo assimila e non sa di possedere. L’apprendimento parallelizzato sfrutta la memoria visiva spaziale, come muoversi in luoghi familiari (il bravo insegnante di matematica, più che conoscere la sua materia, “vede la matematica” , esattamente come il bravo giocatore di scacchi che vede le mosse da compiere e l’intero sviluppo della partita).
Dunque, si apprende meglio e si ricorda di più quando si sfrutta la memoria visiva.
Via dorsale e via ventrale
Va detto che le due vie, quella dorsale e quella ventrale, funzionano alternativamente. Cioè, mai in contemporanea. Nel corso dello stesso apprendimento, in altre parole, può accadere che entrambe siano attive a intermittenza. Ad esempio, se l’argomento non interessa allo studente, prestando molta attenzione, egli si sforzerà nell’atto di prestare attenzione.
In questo caso, le informazioni viaggiano lungo la via dorsale verso la corteccia prefrontale (sede dell’attenzione) e vengono apprese con maggiore fatica. Se, tuttavia, nell’argomento vengono trattati temi che stimolano la motivazione dello studente, è come se egli vedesse e vivesse quello che sta apprendendo. Accade così che la via dorsale venga disattivata e la corteccia prefrontale silenziata, per lasciare spazio alla via ventrale che, attivandosi, faciliterà l’acquisizione dei concetti.
Poiché, tuttavia, il cervello consuma molta energia, egli appare resistente ad incrementare il suo lavoro, ovvero a spostarsi dalla sua zona di comfort. Quando, però, l’insegnante fornisce sufficienti motivazioni (con l’aiuto delle visualizzazioni, come spiegato dall’Apprendimento Multisensoriale Creativo), ciò accade spontaneamente.
Fuori dalla zona di comfort
Per perseverare in un apprendimento bisogna, dunque, lavorare con motivazione e impegno fuori dalla zona di comfort e dalla cosiddetta soglia ok (le neuroscienze chiamano così il punto oltre il quale il soggetto smette di apprendere o apprendere con maggiore fatica, come chi impara a scrivere al computer, attestandosi ad un numero massimo di parole per minuto senza migliorare mai). Solo la motivazione e la convinzione permettono, dunque, di imparare davvero.
Parlo di Apprendimento Multisensoriale Creativo perché la creatività può aiutare a offrire stimoli nuovi a chi apprende. Stimoli che, corredati di una maggior concentrazione di impulsi elettrici che potenziano le sinapsi (anche grazie al carico emotivo), alimentano motivazione e convinzione. È così che chi insegna aiuta chi è esposto al processo di apprendimento a venir fuori dalla sua zona di comfort, zona in cui il cervello è resistente al cambiamento.
Una maggiore attività elettrica, garantita dalla motivazione ad apprendere, aumenta la temperatura del cervello che, in tal modo, diventa plastico e modellabile (come accade per il ferro quando viene riscaldato).
La motivazione, peraltro, aumenta la produzione di dopamina nel cervello che diventa come l’acqua che modella l’argilla.
Apprendiamo per immagini
Il motivo per cui apprendiamo meglio ciò che vediamo risiede nel fatto che il nostro cervello non conosce le parole ma funziona per immagini.
Questa rivoluzionaria scoperta, che valse a Hubel e Weisel il Premio Nobel per la medicina, oggi ci dice come funziona l’apprendimento che ci accomuna a tutti gli altri esseri umani: noi apprendiamo durante le ore diurne, per poi riorganizzare il risultato dell’apprendimento durante il sonno. Durante le ore notturne, durante l’attività onirica, cioè, è come se l’apprendimento dell’intera giornata venisse riorganizzato da una squadra di pulizie che interviene nella nostra mente a riordinare tutti gli oggetti che compongono questo puzzle del nostro apprendimento, come piccoli pezzi che vanno a comporre una fotografia.
Solo gli elementi di questa conoscenza, ben organizzati, rimarranno, mentre altri sono destinati a scomparire ed essere perduti per sempre. Ed ecco l'evidenza: le conoscenze che restano più a lungo sono sempre il risultato di un apprendimento visivo. Una chiara linea da seguire per insegnanti ed educatori per aumentare l'efficacia dell'insegnamento.
Continua a leggereRelazioni sottomesse e meccanismi di coping
Uno degli esperimenti di psicologia sociale tra i più noti è quello condotto da Stanley Milgram nel 1961. Nell'esperimento di Milgram, un gruppo di volontari accettò di eseguire l'ordine di infliggere scariche dolorose ad altrettante persone, benché contrario ai loro valori etici e morali. Lo studio dimostrò che il comportamento davanti all'autorità subisce un rimaneggiamento, una sorta di adattamento che prende il nome di meccanismo di coping. Il dato interessante che rende una ricerca che ha quasi sessant'anni sempre attuale è che, per via della naturale asimmetria delle relazioni, in quasi ogni rapporto c'è chi tende, alternativamente o continuativamente, a sottomettersi a qualcun altro o ad adottare sistemi per adattarvisi.
La qualità delle relazioni
Anni fa, Robert Koegel, un professore della State University of New York di Farmingdale, sottopose ai propri studenti un questionario sulle loro relazioni migliori e peggiori.
- Alcune domande riguardavano le relazioni tra gli studenti e le persone di status più o meno pari al loro (amici, partner, fratelli, sorelle, eccetera),
- altre domande riguardavano, invece, le relazioni con persone di status superiore (dirigenti, docenti, professori, genitori, eccetera).
Agli studenti fu chiesto anche di descrivere tali relazioni. Tra le caratteristiche che contraddistinguevano le loro relazioni positive, gli studenti citarono
- il rispetto,
- la premura,
- la fiducia,
- l’onestà,
- il sostegno e
- la buona comunicazione.
Essi affermarono, inoltre, che quando gli altri mostravano tali caratteristiche, essi tendevano a relazionarcisi positivamente a prescindere dalle differenze di status. Al contrario, le relazioni che gli studenti catalogavano come “peggiori” venivano da loro descritte come
- strumentalizzanti,
- coercitive,
- ingiuste e
- sbilanciate.
Gli studenti indicarono, inoltre, che le persone strumentalizzanti e coercitive tendevano a tradurre inevitabilmente le diversità in opposizione, considerando puntualmente la propria posizione come la posizione corretta. Generando, così, sottomissione in persone che, per inclinazione personale, sono restie ad alimentare focolai di conflitto per prevalere.
La logica vinci-perdi
Tali relazioni sono, dunque, basate su di una logica “vinci-perdi”, laddove chi vince lo fa ricorrendo al proprio potere, personale o istituzionale. Le persone dominanti generano, in altre parole, nei confronti di chi si lascia sottomettere,
- insicurezza,
- senso di umiliazione e
- sfiducia.
L’indagine di Koegel sottolinea quanto la disparità di potere tra persone (o tra gruppi di persone) costituisca la barriera più alta alla costruzione di relazioni sane e felici. Anche in azienda, dove le relazioni efficaci sono alla base del successo ma, molte volte, collidono con l’autorità che comportano i diversi ruoli.
[jpshare]L'autorità e l'autorevolezza
Ci sono modalità di esercitare l’autorità che generalmente non comportano problemi di natura relazionale, poiché implicano un riconoscimento che, viceversa, viene a cadere quando l’autorità si fonda sul potere:
- il riconoscimento che scaturisce dall’esperienza e dalla conoscenza (come quella di un meccanico, di un allenatore, di un medico o di un insegnante che gode di grande stima) è l'autorevolezza;
- l’autorità conferita a precise figure (i poliziotti, i giudici, i direttori dei quotidiani, eccetera) e quella che possiede il capo di un'azienda che, per contratto o accordi, occupa un dato ruolo, è autorità.
Entrambe sono socialmente codificate e accettate. Chi, tuttavia, ricorre al potere e punta ad ottenere ciò che desidera elargendo ricompense e irrogando punizioni, ovvero, attraverso un sistema di gratificazione e frustrazione, riceve (spiega ancora Gordon) dai sottoposti un comportamento di
- opposizione (di lotta),
- abbandono (di fuga) o
- adeguamento (di sottomissione),
in base a quanto grande sia il danno che chi esercita quel potere può arrecare o quanto allettante sia la ricompensa.
I meccanismi di coping
Maggiore è il dolore che può infliggere il leader di potere (o maggiore la ricompensa), dunque, maggiore è l’adeguamento degli altri alla sua volontà che riesce ad ottenere.
Chi è sottomesso sviluppa, così, comportamenti adattivi, denominati meccanismi di coping, al fine di gestire la costrizione ad agire contro la propria volontà e preservare così la propria integrità personale. Persone che rispondono a questo tipo di personalità, infatti, sono maggiormente inclini ad eseguire gli ordini e ad obbedire, rinunciando ai propri bisogni personali, con dannose conseguenze
- sull’assertività,
- sull’autonomia e
- sulla capacità generale di funzionare pienamente.
Chi, viceversa, adotta lo stile della lotta reagisce ribellandosi, opponendo resistenza, sfidando e vendicandosi. Infine, coloro che adottano lo stile della fuga tendono ad essere elusivi, a sfuggire, fisicamente e emozionalmente, rifugiandosi nei propri spazi, defilandosi.
Intelligenza emotiva e comunicazione
Gli esiti migliori nelle relazioni, tuttavia, sono ottenuti sempre da persone con elevati livelli di intelligenza emotiva. Possedere tale competenza, infatti, aiuta a costruire relazioni che si fondano sulla fiducia e che non innescano le reazioni tipiche della risposta all'esercizio di un potere.
Anche il modo in cui oggi vengono costruite le aziende, che passano dallo sviluppo orizzontale di palazzi che ospitavano il management all'ultimo piano e via via, a scendere, le posizioni a decrescere, a quello orizzontale, che privilegia lo scambio frequente e la condivisione, dice che i tempi sono mutati intorno alle modalità di comunicare anche negli ambienti di lavoro. Se a ciò aggiungiamo che i nostri figli faranno mestieri che oggi ancora non esistono, comprendiamo l'importanza del dialogo e dell'ascolto per instaurare relazioni di successo, radicate sulla fiducia.
Con esse, cambiano gli stili di leadership, imposti dalla società dei beni e dei servizi diffusi, che sempre più richiedono qualità nelle relazioni e intelligenza emotiva. Concetto che, se vale in azienda, vale a maggior ragione nella quotidianità di tutte le persone.
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