L'immagine di copertina è una lavoro realizzato da una partecipante ad uno dei miei laboratori formativi sul Metodo Autobiografico Creativo per la consapevolezza di sé e l'intelligenza emotiva. Si intravede un corpo femminile di spalle. E' rotto, fatto a pezzi che, a fatica, si tengono insieme. Il fotogramma di un istante di vita in cui emerge tutta la fragilità del mondo interiore e la fatica di trovare un centro, un equilibrio. L'aspetto straordinario è che questo manufatto è prodotto a occhi chiusi: per questo appare come frantumato, perché precipitato dall'alto: l'autrice non ha il controllo su quello che crea, per questo si presenta vero e immediato. Mi torna utile per proporre un contributo liberamente tratto da "Le parole che ci salvano", il libro di Eugenio Borgna (che ha ispirato la mia conferenza omonima) che, tra gli altri temi, affronta quello della fragilità della femminilità.Continua a leggere
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La gioia e la tristezza: emozioni contro?
Perché la gioia è così fugace, mentre la tristezza può durare tanto a lungo? Attimi come ore, giorni... Vite intere, certe volte. Siamo programmati per evoluzione a perseguire la gioia e la felicità. Abbiamo bisogno degli stati d'animo piatti e bui per ricordare a noi stessi quanto sia bello esplodere di gioia. E' il nostro cervello che deve rinnovarsi il piacere della felicità, procurandosi le scariche di dopamina per inseguire l'attimo che verrà. Quello gioiso. E' un codice innato che lega indissolubilmente quelle che, comunemente, vengono considerate emozioni opposte, "emozioni contro". La gioia, infatti, non esisterebbe senza la tristezza. E la tristezza non avrebbe senso, se non evolvesse nella gioia. Approfondiamo la conoscenza di queste due emozioni con un momento lirico, liberamente tratto da "Le parole che ci salvano" di Eugenio Borgna che ha ispirato la mia conferenza omonima per imparare a comunicare con intelligenza emotiva.Continua a leggere
Ti vedo, non ti vedo: l’intrinseca fragilità delle relazioni
Tempi malati, relazioni fragili. Niente dialogo. Poche prospettive e relazioni pret-à-porter che si dissolvono nel nulla. In un'epoca degenerata, in cui lasciarsi e odiarsi è fin troppo facile, restare insieme, amici o semplicemente connessi appare davvero un atto eroico. Il motivo è che siamo posseduti dal demone dell'egoismo che distoglie dall'alterità, dall'attenzione e dal rispetto. Per questo, non possedendo più uno spazio interiore per l'altro, ci sentiamo implicitamente autorizzati a sottovalutare il peso delle parole e dei gesti che mortificano e relegano l'umanità nel baratro della più profonda solitudine. Continua, dunque, con una finestra sul mondo delle umane interazioni, il viaggio che abbiamo già intrapreso nel mare magnum della fragilità. Tratto da "Le parole che ci salvano", la mia conferenza ispirata al libro omonimo di Eugenio Borgna.Continua a leggere
Comunichiamo con il linguaggio delle parole, del silenzio e del corpo vivente
Si comunica con il linguaggio delle parole, con quello del silenzio e con quello del corpo vivente. Così, le parole (che sono impegnative per chi le dice, per chi le ascolta, mai mute ma sempre espressive di qualcosa) cambiano di significato nella misura in cui cambiano i nostri stati d’animo. Le parole cambiano il significato nella misura in cui accompagnano il linguaggio della fragilità, quella del corpo vivente, del sorriso, delle lacrime, dei gesti, il linguaggio del silenzio. Perché anche il silenzio parla, se si riesce ad ascoltarlo.
Continua a leggereLa magia delle parole nei racconti di fiabe
Le storie, grazie all’uso delle metafore, aiutano a riscrivere le pagine più sofferte e oscure della vita delle persone. Imparare dalle storie, in chiave simbolica, rende tollerabile il passato, leggero il presente e ridesta desideri e sogni per il futuro. In tal modo, il dolore patito diventa un’opportunità e l’ansia e le tensioni interne diventano energia vitale.Continua a leggere
L’oca indecisa
Anche la felicità e la libertà hanno un prezzo: il rischio. Vivere nella mediocrità dà solo l'illusione di essere al sicuro, al riparo dai pericoli e dalle incertezze. Insomma, non è sempre vero che chi si accontenta gode. Anzi, al contrario, in taluni casi, chi si accontenta non gode affatto. Occorre, piuttosto, avere il coraggio delle scelte, anche quando esse comportano il dover patire lo scotto della sensazione del vuoto sotto i piedi. Lo racconta molto bene questa fiaba, scritta da Antonella, che me ne ha fatto dono alcuni anni fa, nel corso di un mio laboratorio sul Metodo Autobiografico Creativo.
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Quando e perché ci preoccupa il giudizio degli altri?
Quando il giudizio degli altri ci preoccupa? Provo a spiegare in questo articolo quello che solitamente accade nella nostra società che non riesce a sospendere il giudizio, che, viceversa, è sempre vigile e, da molti di vista, regola i comportamenti. Una società schiacciata dal peso del giudizio esterno è necessariamente una società malata, perché sofferenti sono i modelli di relazione che può offrire. Chi dipende dal giudizio altrui, d’altro canto, ha e avrà sempre relazioni sofferenti. Ma, per non subire il giudizio esterno, occorre rinunciare a giudicare. Sempre che ne siamo capaci.
Il giudizio, l'anima e l'Io
Siamo fatti di un’anima e di un governo di sé, l’Io, di una parte istintiva e irrazionale e di una parte razionale, dunque. Se anima e Io sono armonici e saldamente fusi, se, dunque, viviamo una condizione di benessere (la medicina orientale considera malessere la mancanza di fusione tra le diverse dimensioni, ragione ed emozioni, mente e corpo), siamo strutturati, forti e corazzati abbastanza da ammettere che altri possano giudicare come meglio credono, senza che questo diventi un problema.
“L’altro mi vede così? Pazienza. Vuol dire che, per lui o per lei, in questo momento è così. Semmai, io potrò prendermi la responsabilità di mettermi in discussione, riflettendo sulle ragioni che abbiano indotto l’altra persona a giudicarmi così.” Fine del discorso.
Se, però, manca l’io, della personalità emergono le posizioni depressiva e narcisistica, in equilibrio tra le quali vive l’Io strutturato. Queste due parti, però, non sono attrezzate per elaborare il giudizio ma possono solo reagire meccanicamente ad esso (con la rabbia o con i sensi di colpa).
L'immagine di sé
L’Io, quando è presente, infatti, non è legato all’immagine di sé, esattamente come l’anima. Ciò, l’anima e l’Io non sono attaccati a ciò che vogliamo che gli altri pensino di noi ma solo alla realtà, alla verità. Per l’anima e per l’Io, l’immagine è priva di ogni interesse. Poiché, dunque, il giudizio tocca l’immagine di sé, è come se esso si facesse strada tra le maglie larghe di un Io debole che reagisce arrabbiandosi o colpevolizzandosi.
Costruire un’immagine di sé e vedersi disconfermati dal giudizio altrui è come se facesse cadere il motivo della stessa amabilità della persona. Per questo, un Io poco strutturato produce avversione verso il giudizio.
Il punto è che tutti, chi più, chi meno, recitiamo un copione sul palcoscenico della vita. E quando recitiamo diventiamo il personaggio che ci assegniamo. Anzi, secondo le circostanze, diventiamo uno dei personaggi dell’intera compagnia che portiamo in scena. Peraltro,
- più la società sposta l’attenzione sull’apparire,
- più il personaggio interno (l’immagine ideale di sé) si attiva.
- E più ancora pesa il giudizio esterno.
Il giudizio e l'intelligenza emotiva
Indubbiamente, la capacità di resistere al giudizio esterno dipende dalle relazioni d'attaccamento e dal modo in cui esse sono state vissute in età evolutiva. Ma anche da come la personalità dell'individuo si struttura nel corso delle esperienze di vita. Spesso, gestire le emozioni negative suscitate da un giudizio che, attraverso il web e le chat, si manifesta con le più disparate forme di crudele aggressione, è un fatto d'intelligenza emotiva.
Se, infatti, possedere tale capacità aiuta a prevenire la sofferenza che provoca il sentirsi puntati dal dito indice degli altri, gli studi recenti dimostrano che la competenza che chiamiamo intelligenza emotiva può essere allenata e appresa. Le attività creative, ad esempio, aiutano molto a mettersi in contatto con se stessi, come scrivere una fiaba autobiografica, isolando il personaggio interiore e arrivando alla verità che diventa consapevolezza e aiuta a riprendersi un benessere che oggi sempre più facilmente sfugge di mano. Anche a causa del facile giudizio.
Continua a leggereElogio del silenzio: dalla parola parlata alla parola taciuta
Il silenzio ha molti modi per esprimersi, poiché esso contiene in sé tracce di mistero e di oscurità. È affascinante, così, scoprire che le parole che aiutano a vivere nascono da quel silenzio e muoiono nello stesso silenzio, in una circolarità che non ha fine. Sono molti i modi attraverso cui il silenzio e la parola si intrecciano: c'è il silenzio dell'attesa degli amanti, c'è il silenzio che non richiede le parole, c'è il silenzio che, invece, le rende vive e palpitanti. C'è, poi, un silenzio che si sostituisce completamente alla parola nel parlare di dolore, di angoscia ma anche di gioia e di speranza. E poi c'è un silenzio oscuro, poco intellegibile, ambiguo, ambivalente nei suoi significati.
La parola ha bisogno di ascolto
Il punto, tuttavia, è che difficilmente rinunciamo alla parola. Sono le parole, infatti, che ci permettono l'incontro con il mondo. Ma le parole da sole non bastano. Se le persone, al cui indirizzo le parole vengono preferite, non hanno la sensazione di essere ascoltate, le parole preferite si svuotano completamente di significato, smettono di essere leggere e diventano
- opache,
- umbratili,
- confuse,
scrive Eugenio Borgna nel libro "Le parole che ci salvano", in bibliografia a questo articolo e a cui è ispirata la mia conferenza dal titolo Costruirsi persona - Le parole che ci salvano.
Del resto, la parola non ha senso senza il silenzio. Il silenzio è, infatti, spazio prezioso per l'ascolto. Ascolto che, d'altro canto, significa relazione. Perché è con l'ascolto che si scopre la condivisione.
Ma questo è tempo di brusio di sottofondo e di rumore che non fa pensare, che nega il silenzio e, di conseguenza, l'ascolto. Così anche la parola cade nella trappola del rumore. E nessuno ama il rumore. Perché il rumore è confusione e la confusione è la negazione della fusione, della condivisione.
Perché, infatti, ci sia fusione nell’esperienza di incontro che rappresenta il dialogo con l'altro, serve che vengano azzerate le due dimensioni essenziali di
- spazio e
- tempo
che mettono gli interlocutori su piani diversi. Ma questo accade solo allo stesso piano del silenzio. Non posso, infatti, non ammettere un tempo interiore dell’altro né considerarmi su di un piano differente, se intendo creare relazione e ascolto. E il tempo e lo spazio interiori sono in diretta relazione con l'intrinseca fragilità delle persone che è la loro stessa essenza. La nostra stessa essenza.
Elogio del silenzio
Ogni silenzio ha un proprio linguaggio che non è facile cogliere e decifrare. Ci vuole impegno e attenzione. E pochi hanno la pazienza dell'attesa nel silenzio. Eppure, spesso, siamo tentati di guardare al silenzio come a qualcosa di inutile e di negativo, qualcosa da coprire con la parola.
Ma molte volte quel silenzio, che appare così sfolgorante e positivo, non ha bisogno di essere tradotto in parole. Non tutto, infatti, nella vita è dicibile. Non tutto può essere espresso, può essere detto a parole. Ci sono, infatti, condizioni dello spirito, dell'anima, che hanno a che fare con il “non detto”, addirittura con il “non ancora pensato”, che nasce e si esprime in un silenzio interiore. Perché quello stesso silenzio ha prima bisogno di essere ascoltato per poi, successivamente, essere espresso in tutta la sua pienezza e dirompenza.
Ecco che in questi casi la “parola che tace” diventa molto più importante della “parola che parla”.
[jpshare]Fragile è il silenzio
Le parole nascono dal silenzio e muoiono nel silenzio. Nonostante ciò, parole e silenzio sono fatti di consistenza differente: il silenzio è più fragile della parola, perché il silenzio parla solo attraverso il linguaggio
- dei volti,
- degli sguardi,
- delle lacrime,
- dei sorrisi.
E il linguaggio di questo silenzio, per le persone miti che si esprimono nel silenzio, acquista significato solo quando si accompagna alla luce misteriosa dell'interiorità che si esprime in quello spazio d'ascolto. Per questo, solo un dialogo infinito con il silenzio e con la sua fragile evanescenza consente di cogliere le ferite dello spirito che non possono essere espresse, perché sfuggono agli occhi della ragione calcolante.
Come la parola che diventa terapia, la “parola taciuta”, più che la “parola parlata”, in quanto silenzio, esprime il suo massimo potenziale di rimedio all'altrui dolore, come cura delle ferite e della più profonda fragilità.
Continua a leggereIl punto in cui metti la virgola spiega la tua visione del mondo
Dove metti la virgola nella frase "Se l'uomo fosse sicuro del valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca"? La frase, a cui in questa forma non è possibile attribuire un senso, è di Julio Cortàzar, scrittore argentino naturalizzato francese. Ed è senza virgola apposta. Sta al lettore scegliere dove metterla. Ma, una volta deciso dove inserirla, si ottiene un senso che è l'esatto opposto di quello che si ottiene spostandola. Vediamo.
Dove metti la virgola?
Per sapere dove metti la virgola, basta leggere la frase ad alta voce. La virgola cade nel punto esatto in cui fai pausa. Così la frase prende uno dei due possibili sensi:
- Se la frase diventa "Se l'uomo fosse sicuro del valore che ha, la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca" (con la virgola dopo il verbo ha), il senso è chiaramente maschilista. E' l'uomo che è sopra la donna e la donna dovrebbe mettersi a quattro zampe per andare alla ricerca dell'uomo.
- Viceversa, se diventa "Se l'uomo fosse sicuro del valore che ha la donna, andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca" (con la virgola dopo il sostantivo donna), il senso è chiaramente femminista. E' la donna che è sopra all'uomo e l'uomo dovrebbe mettersi a quattro zampe per andare alla ricerca della donna.
Senza conoscere questo efficace giochetto linguistico, il punto cui viene collocata la virgola spiega la visione che una persona ha del mondo. Accade perché anche la parola è il prodotto di un processo inconscio, attraverso cui emergono
- cultura,
- emozioni
- ed esperienze
che strutturano i valori.
L'inconscio cognitivo
La parola, dunque, che sia scritta o parlata, richiama alla responsabilità del suo uso. Perché la parola è energia e, con la stessa facilità, può esaltare o far sprofondare nel baratro della solitudine le persone che la ascoltano. Per questo occorre aver consapevolezza della sua forza e del suo potere.
E' questo il processo, teorizzato nel 1987 dallo psicologo cognitivista Kihlstrom, con cui, attraverso la parola vengono richiamate informazioni, che hanno origine dall'autobiografia, depositate nell’inconscio cognitivo che la mente cosciente può riutilizzare. Senza, tuttavia, che a chi pronuncia quella parola sia chiaro perché e, soprattutto, come quelle informazioni siano state processate in quel dato modo.
[jpshare]La parola: processo o risultato?
Un esempio chiarirà il concetto. Se dico, scrivo o uso una parola invece di un’altra, la mia mente riporta a galla informazioni di cui vedo il risultato, senza indagare sul processo, sul com’è che questo accade. In altre parole, è come osservare una mela e riportare la sua rappresentazione al livello della coscienza, senza che sia necessario chiedersi che giri abbia fatto la mente per recuperare quell’immagine. Cioè, quell’immagine, quella forma deve essere necessariamente già nota alla mente cosciente perché possa essere richiamata alla memoria, indipendentemente dal fatto che a me sia chiaro il processo (che resta incosciente) attraverso cui quel ricordo riaffiora”.
Una visione meno selvaggia e impervia delle buie e segrete stanze dell’inconscio dinamico (o freudiano) in cui ricordi ed emozioni rimosse fanno il lavoro sporco per conto della mente.
Una cosa sembra, dunque, mettere d’accordo la psicologia, a tutte le latitudini, e le neuroscienze: l’idea che la nostra vita si svolga sotto i raggi del sole della coscienza è solo una pia illusione. E le parole sono un momento di quella vita silente che richiamano gli esperti del campo verbale all'esercizio di consapevolezza e ad un responsabile uso di un mezzo così potente.
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