Si comunica con il linguaggio delle parole, con quello del silenzio e con quello del corpo vivente. Così, le parole (che sono impegnative per chi le dice, per chi le ascolta, mai mute ma sempre espressive di qualcosa) cambiano di significato nella misura in cui cambiano i nostri stati d’animo. Le parole cambiano il significato nella misura in cui accompagnano il linguaggio della fragilità, quella del corpo vivente, del sorriso, delle lacrime, dei gesti, il linguaggio del silenzio. Perché anche il silenzio parla, se si riesce ad ascoltarlo.
La magia delle parole
Prendiamo le storie di fantasia, le fiabe. Le fiabe, grazie all’uso delle metafore, aiutano a riscrivere le pagine più sofferte e oscure della vita delle persone. E lo fanno con chiare parole che, dapprima scritte di getto, meritano di essere scandite e ascoltate. E’ grazie all’energia implicita delle parole che il dolore patito, che dà origine alla storia, diventa un’opportunità.
E’ solo grazie alle parole che l’ansia e le tensioni interne diventano energia vitale. Imparare dalle storie e dalle parole attraverso cui si esprimono, in chiave simbolica, rende tollerabile il passato, leggero il presente e ridesta desideri e sogni per il futuro.
Tutto, quindi, accade grazie alla magia delle parole. Perfino la terapia medica funziona meglio se accompagnata da una parola di conforto che abbraccia e infonde fiducia. Le parole si prendono cura di noi se noi ci prendiamo cura di loro. Per questo ritrovare le parole che accarezzano le nostre fragilità ripristina un’attitudine neurale perduta con la disattenzione e la noncuranza dei nostri tempi che impoverisce il vocabolario e prosciuga la sfera affettiva.
La parola nasce nel silenzio
Ma, per comprendere appieno la forza delle parole, come, ad esempio, quelle con cui si esprimono le fiabe, occorre saper fare silenzio. Il silenzio (che nella fiaba è la pausa del narratore) aiuta l’ascolto aperto e fiducioso. E’ con l’ascolto che si apprende la comunicazione e il suo valore di mediatore delle relazioni.
- “Senza ascolto non può esserci comunicazione.
- Senza comunicazione, non c’è evoluzione.
- Senza evoluzione, non c’è vita.”
Lo scrive Fulvio Fiori nel libro “Curarsi con la scrittura”. Quindi, la vita è la parola giusta o, al suo posto e meglio, la parola taciuta, il silenzio, l’ascolto che incoraggiano “la conoscenza come desiderio bruciante di esplorare, sapere e condividere”.
Da qui deriva la sacralità dei luoghi della conoscenza, come le aule della scuola o i laboratori: “Se sono pronto a riceverla, se sono aperto e fiducioso, una nuova informazione mi contatta attraverso i sensi e mi trasforma.” Ecco come si realizza la magia del cambiamento prodotto dalla conoscenza che servirà per la vita. “E scoprirai che il mondo più interessante da conoscere, in ogni momento, sei proprio tu” (potere dell’identificazione con i personaggi e le funzioni delle fiabe).
Comunicazione e salute
Le esperienze psicopatologiche, le diverse forme attraverso cui si esprimono le patologie sono, molto spesso, lo specchio di una patologia della relazione. Lo afferma Paul Watzlawick, lo psicologo fondatore della scuola di Palo Alto, in California, il quale sostiene che alla base di ogni patologia psicologica vi sia una difficoltà sul piano delle comunicazioni gratificanti e delle relazioni sane in famiglia.
Patologia osservabile, peraltro, attraverso le manifestazioni del corpo vivente, fatto di vissuti ed emozioni che vivono attraverso la corporeità. Se il corpo vivente è sofferente, la parola esprime la stessa sofferenza. Così, la comunicazione va in cortocircuito e le relazioni si ammalano.
Lo ribadisce e rinforza Ludwig Binswanger, uno degli psichiatri più autorevoli del secolo scorso, il quale, con la sua tesi, di fatto, rifonda la fenomenologia della psichiatria, ricondotta ad una dimensione di scienza umana basata sulla ricostruzione della comunicazione perduta.
Comunicazione razionale ed emozionale
Comunicare vuol dire, allora, modulare e saper distinguere tra comunicazione razionale ed emotiva, “stare nel tempo degli altri”. Ovvero scegliere il momento di parlare o tacere, oltre alla capacità di armonizzare la nostra esperienza del tempo con quella degli altri.
Molto spesso, tuttavia, educati alla comunicazione razionale impartita dalla scuola, riteniamo di poter creare dialogo basandoci solo sulla ragione calcolante. Ma non accade, se quella ragione non si converte in passione, in interesse reale e concreto per l’interiorità degli altri. Ma, per creare relazione con l’interiorità degli altri occorre, innanzitutto, conoscere la propria. In questo senso, comunicare è mettersi in comunione, in relazione prima con se stessi (e con i propri silenzi, emozioni, parole e corpo vivente) e poi con gli altri.
Uscire da se stessi
Comunicare è, dunque, trasmettere esperienze e conoscenze personali. Uscire da se stessi e immedesimarsi nella vita interiore delle altre persone, con i loro sentimenti e le loro emozioni. E’ su questo che si basa il concetto di empatia che molti sbandierano ma di cui in pochi conoscono il significato. Se vogliamo, infatti, creare una comunicazione autentica con qualcuno, se veramente intendiamo costruirci come persone e fondare relazioni sane, non possiamo prescindere dal donare ascolto e non farci guidare dalle
- nostre emozioni,
- dalle nostre fragilità e
- dalla conoscenza di entrambe.
E’ intorno a questo principio che, in fondo, ci costruiamo come persone: “senza conoscere se stessi, è impossibile conoscere gli altri” (Sant’Agostino).
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