I social network hanno un impatto dirompente sulla vita dei trentenni di oggi, secondo solo agli effetti devastanti di un’educazione moderna, troppo incline a premiare i figli senza motivi. È un dato di fatto. Le parole che seguono sono di Simon Sinek (e, in parte, anche mie), introdotte con il mio precedente articolo sui Millennials. Il punto è che tutti indistintamente, su Facebook o su Instagram, pubblicano immagini di una vita felice, meravigliosa. Tutti, cioè, fanno i duri proiettando immagini di vita non reali. Danno consigli agli altri ma non immaginano il caro prezzo che toccherà loro di pagare. Perché sono ancora sguarniti, pur illudendosi di aver capito tutto della vita. Ma non è colpa loro: siamo noi genitori ad averli abituati così. Essi sono stati semplicemente sfortunati ad essere cresciuti in un’epoca difficile e complessa come la nostra.
Social Network e nuove tecnologie
Recenti ricerche dimostrano che le nuove tecnologie accrescono l’isolamento e il senso d’inadeguatezza delle persone. Specie in quelle più giovani. Grazie alla scienza, infatti, sappiamo che il successo sui social network agevola il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore associato alle sensazioni di piacere. Così, con la stessa facilità con cui un like ad un post di facebook ne accresce i livelli, con la stessa facilità li abbatte e fa sprofondare nella depressione.
Cosa fanno, infatti, questi ragazzi quando si sentono soli?
- Vanno sui social,
- postano,
- mandano messaggi e
- attendono risposte,
scambiando in tal modo la vita reale con la vita virtuale, in cui il non-esistente rappresentato prende il posto della vera realtà. Per questo, se nel mondo virtuale le gratificazioni non arrivano, subentra depressione nella vita reale (con cui il virtuale facilmente si confonde).
Senza prendere coscienza della differenza tra reale e virtuale, basta notare un rallentamento nella crescita dei follower su instagram per deprimersi come chiedersi: “Che cosa ho che non va?”
Mi piace davvero?
Allo stesso modo, i nostri giovani si mortificano, dimostrando tutta la loro immaturità, quando notano che un loro amico sui social non spunta “mi piace” ai loro post. E magari, se lo conoscono realmente, si prendono anche la briga di scoprire le ragioni del dissenso o della sopraggiunta impopolarità, telefonando personalmente a queste persone per chiedere se ce l’abbiano con loro.
Tutto ciò è semplicemente
- stupido,
- irragionevole e, per certi versi,
- semplicemente pazzesco.
Per questo, oggi, togliere l’amicizia su Facebook a qualcuno, bloccarlo o escluderlo da una cerchia può causare depressione in persone fragili e poco strutturate. In fondo, è per questo che noi apriamo ogni cinque minuti il nostro profilo social:
- per concederci una scarica di dopamina,
- per l’autocompiacimento che proviamo quando ci accorgiamo di piacere agli altri.
E poiché la dopamina è la stessa sostanza che produciamo quando fumiamo, beviamo o scommettiamo, anche i social network creano dipendenza, poiché legati agli stessi meccanismi di gratificazione nel nostro organismo.
Dipendenza da Social Network
Tra l’altro, l’accesso alla tecnologia non è controllato come le altre forme di dipendenza: c’è un’età per fumare, un’età per bere, per scommettere ma non c’è un’età per possedere un cellulare e un profilo Instagram. Infatti, in piena adolescenza, periodo della vita caratterizzato da tumulti interiori e forte stress per i ragazzi, si scoprono il fumo e l’alcol (che creano dipendenza) e si scoprono i cellulari.
Solo che, pur essendo fondamentale in questa fase della vita l’approvazione dei genitori, l’approvazione necessaria è quella dei coetanei, per appartenere ad un gruppo fuori dal circolo familiare. È così che le forme di dipendenza aiutano gli adolescenti ad affrontare e superare lo stress e l’ansia della loro età.
Ma questo crea un forte condizionamento nel cervello, al punto che, da quel momento in poi, questi ragazzi, in qualunque condizione di stress nella loro vita adulta, non si rivolgeranno più alle persone ma alla bottiglia (che produce gratificazione sotto forma di dopamina).
Il rapporto con la fiducia
Questi nuovi meccanismi di gratificazione sono, in fondo, le ragioni per cui i nostri ragazzi non intrattengono più relazioni interpersonali gratificanti ma ricercano la gratificazione altrove (online, appunto). E quando questi ragazzi parlano di loro amici, ammettono candidamente di non fidarsi di loro. Ammettono di divertirsi con loro ma anche che, se domani essi non ci saranno più, altre amicizie prenderanno il loro posto.
Quindi, mancano le relazioni profonde (i ragazzi non sanno più crearne), che dovrebbero nascere negli anni della scuola, perché non vengono allenate le capacità necessarie e questo li aiuta a convincersi del fatto che gli amici possano facilmente essere sostituiti dai dispositivi mobili che offrono un sollievo temporaneo.
Ma la scienza dice che chi passa troppo tempo su facebook è affetto da una dipendenza ed è soggetto a depressione molto di più di chi vi passa poco tempo. Allo stesso modo e per le stesse ragioni, non sviluppano meccanismi di difesa rispetto alle delusioni nelle relazioni (affettive ma anche professionali), così sprofondano nella depressione quando “gira male”.
L’abuso è patologico
Il punto non è che l’alcol o i social network facciano male. D’altro canto, scommettere è divertente ma è l’abuso, lo squilibrio che fa male. E nell’era della solitudine, l’abuso è dietro ad ogni porta. “Se siete a cena con i vostri amici”, dice Sinek, “e state chattando con qualcuno che non c’è, avete una dipendenza: meglio che ve ne rendiate conto”. I dispositivi, se usati in modo incontrollato, tolgono attenzione e concentrazione e limitano le relazioni.
Prendiamo le riunioni di lavoro: tutti con gli occhi sugli schermi. Il messaggio che passa è: “non siete così importanti per me”. Poi, la riunione inizia e alcuni continuano a tenerlo in mano, sul tavolo o sottocchio. “Sbagliato! Grave! Inaccettabile!”, afferma Sinek. Bisognerebbe costruire relazioni, prima e dopo ogni riunione, chiedersi “come stai?”, “come sta la tua famiglia?”.
Per far sentire importanti gli altri, non così facilmente sostituibili da scatolette connesse con tutto ciò che vive fuori dall’attimo presente. Le persone non riescono a mettere via lo smartphone perché ne sono dipendenti. È la prima cosa che vedono appena aperti gli occhi, ancora prima del “buongiorno” alla moglie o al marito.
Il risultato
Questa dipendenza, come ogni altra dipendenza, alla lunga distrugge le relazioni e, nella migliore delle ipotesi, ruba il tempo e peggiora la qualità della vita. Per questo, con grande rammarico, queste considerazioni incontrano i trentenni di oggi, persone con bassa autostima, con scarsa fiducia in se stessi, che non hanno i mezzi per affrontare la vita e lo stress e con gravi forme di dipendenza.
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