La noia inibisce l’apprendimento. Che c’è di peggio, infatti, di un relatore, di un formatore o di insegnante noioso? La noia, come la rabbia, la vergogna, la colpa e la paura, sono tra le emozioni distruttive perché inibiscono le capacità creative del cervello. In questo modo l’apprendimento si rivela inefficace. Lo dicono le neuroscienze. Se nel processo di formazione, educazione, istruzione non vengono coinvolte le emozioni positive, parte dei circuiti che permettono di memorizzare le nozioni restano inattivi. Ad esempio, l’amigdala, ghiandola del cervello, situata nei circuiti limbici, che gestisce le emozioni (e, in particolar modo, la paura), che funge da filtro dei dati che immagazziniamo nell’ippocampo. Archiviare informazioni con una forte valenza emotiva, infatti, rende più facilmente recuperabile dalla memoria implicita quell’informazione che potrà essere reimpiegata all’occorrenza. Invero, accade anche con le forti emozioni negative ma, per ragioni evolutive che spingono il cervello a rifuggire le sensazioni spiacevoli, tutte le informazioni associate a emozioni negative vengono percepite come dolorose e messe da parte.
Apprendimento e flussi dell’intelligere
Secondo gli studi del neurofisiologo Eric Fischer della Harvard University, l’efficacia dell’apprendimento dipende dai cosiddetti flussi dell’intelligere. Cioè, nella relazione educativa, la direzione del flusso dell’apprendimento ne determina l’efficacia o, per contro, l’inefficacia. Vediamoli.
- Da fuori a dentro (modalità basata sul trasferimento cognitivo dei contenuti, tipica della scuola e dei formatori). Questo modo di apprendere si rivela inefficace perché porta ad un ingozzamento di nozioni che si rivelano inutilizzabili. Non è in questa modalità piatta che il cervello può esprimere il suo potenziale creativo.
- Da dentro a fuori (su cui si basa l’auto-apprendimento: io apprendo da quello che metto fuori mentre parlo, seguendo la direzione opposta del flusso delle informazioni secondo la modalità precedente “da fuori a dentro“.
- Da dentro a dentro (modalità corretta, basata sul coinvolgimento delle emozioni, tipica dei maestri di un tempo, che plasmano la mente, il contenitore). È, secondo Fischer, il meccanismo fondamentale. Questa forma di apprendimento, afferma il neurofisiologo statunitense, “rappresenta la capacità dei nostri neuroni di prendere quello che sai tu e collegarlo a quello che sono io – non a quello che io so!
La direzione privilegiata del processo è, dunque, quella che porta “da dentro a dentro”, ovvero la magia della trasformazione che si attua in chi è esposto ad un apprendimento, reso possibile dalla rielaborazione dell’incontro con la sua stessa intelligenza. In sostanza, “se il tuo sapere incontra le mie emozioni, quell’apprendimento si trasferirà al cervello che lo fisserà nella memoria emozionale e, successivamente, troverà il modo creativo di riutilizzarlo”.
L’intelligenza emotiva
Ecco come, da vecchi apprendimenti, nascono nuovi apprendimenti. Quelli che serviranno per la vita. Insegnare, dunque, richiede una grande intelligenza emotiva.
L’insegnante con intelligenza emotiva conosce, infatti, il potenziale dell’apprendimento multisensoriale creativo (da me ideato e descritto nel mio libro “A scuola di Intelligenza Emotiva“) che stimola la memoria intelligente (descritta da Eric Kandel) a rimescolare informazioni cariche di senso e a produrre nuove idee. Cosa che non accade in presenza di informazioni stereotipate che producono noia.
Lo stereotipo, infatti, si fonda sull’abitudine, forma più elementare di apprendimento, accompagnato a depotenziamento neurale. E non produce alcun interesse per il nostro cervello. Per contro, in presenza di stimolazione sensoriale, l’attività sinaptica si fa più intensa.
Il connettoma
Se, dunque, l’apprendimento è il risultato di un incontro di intelligenze, un sistema sociale basato su emozioni, passioni, interessi, valori, motivazioni, talenti, risorse, vissuti di inadeguatezza ed emozioni depotenzianti distruggono questo processo. Il modello di apprendimento “da fuori a dentro” , in altre parole, blocca il pensiero creativo “da dentro a dentro“.
La psichiatra Erica Poli, intervenuta alla TedEx Reggio Emilia di Gennaio 2019, spiega il processo con parole che sintetizzo.
Il nostro cervello è un ribollitore ormonale e biochimico attraversato da correnti neuroelettriche chiamate connettoma (reti connesse a reti).
- Quando dormiamo, l’energia è pari all’incirca a 3 hz,
- mentre, da svegli, a 9 hz.
Le emozioni positive, d’accoglienza, di fiducia, danno un picco che permette di memorizzare quell’esperienza (attività neurale potenziata). Viceversa, le emozioni d’angoscia (colpa, rabbia, paura, noia) sviluppano un’onda neuroelettrica sotto soglia che va a bruciare le terminazioni neurali.
Trasmettere fiducia
Per attivare le risorse riparative di terminazioni danneggiate esistono le emozioni positive, di accoglienza, di vicinanza. L’effetto sulle persone è simile all’abbraccio, esperienza nel corso della quale, già dopo trenta secondi si attiva il neurotrasmettitore collegato all’ossitocina, l’ormone della fiducia.
Quindi, per cambiare le cose (e l’apprendimento), basta modificare le relazioni. L’epigenetica, peraltro, spiega che una carezza, un sorriso, la storia delle nostre relazioni affettive possono cambiare tutta l’informazione biologica dentro di noi e, quindi, il nostro stesso DNA.
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