Quando il giudizio degli altri ci preoccupa? Provo a spiegare in questo articolo quello che solitamente accade nella nostra società che non riesce a sospendere il giudizio, che, viceversa, è sempre vigile e, da molti di vista, regola i comportamenti. Una società schiacciata dal peso del giudizio esterno è necessariamente una società malata, perché sofferenti sono i modelli di relazione che può offrire. Chi dipende dal giudizio altrui, d’altro canto, ha e avrà sempre relazioni sofferenti. Ma, per non subire il giudizio esterno, occorre rinunciare a giudicare. Sempre che ne siamo capaci.
Il giudizio, l’anima e l’Io
Siamo fatti di un’anima e di un governo di sé, l’Io, di una parte istintiva e irrazionale e di una parte razionale, dunque. Se anima e Io sono armonici e saldamente fusi, se, dunque, viviamo una condizione di benessere (la medicina orientale considera malessere la mancanza di fusione tra le diverse dimensioni, ragione ed emozioni, mente e corpo), siamo strutturati, forti e corazzati abbastanza da ammettere che altri possano giudicare come meglio credono, senza che questo diventi un problema.
“L’altro mi vede così? Pazienza. Vuol dire che, per lui o per lei, in questo momento è così. Semmai, io potrò prendermi la responsabilità di mettermi in discussione, riflettendo sulle ragioni che abbiano indotto l’altra persona a giudicarmi così.” Fine del discorso.
Se, però, manca l’io, della personalità emergono le posizioni depressiva e narcisistica, in equilibrio tra le quali vive l’Io strutturato. Queste due parti, però, non sono attrezzate per elaborare il giudizio ma possono solo reagire meccanicamente ad esso (con la rabbia o con i sensi di colpa).
L’immagine di sé
L’Io, quando è presente, infatti, non è legato all’immagine di sé, esattamente come l’anima. Ciò, l’anima e l’Io non sono attaccati a ciò che vogliamo che gli altri pensino di noi ma solo alla realtà, alla verità. Per l’anima e per l’Io, l’immagine è priva di ogni interesse. Poiché, dunque, il giudizio tocca l’immagine di sé, è come se esso si facesse strada tra le maglie larghe di un Io debole che reagisce arrabbiandosi o colpevolizzandosi.
Costruire un’immagine di sé e vedersi disconfermati dal giudizio altrui è come se facesse cadere il motivo della stessa amabilità della persona. Per questo, un Io poco strutturato produce avversione verso il giudizio.
Il punto è che tutti, chi più, chi meno, recitiamo un copione sul palcoscenico della vita. E quando recitiamo diventiamo il personaggio che ci assegniamo. Anzi, secondo le circostanze, diventiamo uno dei personaggi dell’intera compagnia che portiamo in scena. Peraltro,
- più la società sposta l’attenzione sull’apparire,
- più il personaggio interno (l’immagine ideale di sé) si attiva.
- E più ancora pesa il giudizio esterno.
Il giudizio e l’intelligenza emotiva
Indubbiamente, la capacità di resistere al giudizio esterno dipende dalle relazioni d’attaccamento e dal modo in cui esse sono state vissute in età evolutiva. Ma anche da come la personalità dell’individuo si struttura nel corso delle esperienze di vita. Spesso, gestire le emozioni negative suscitate da un giudizio che, attraverso il web e le chat, si manifesta con le più disparate forme di crudele aggressione, è un fatto d’intelligenza emotiva.
Se, infatti, possedere tale capacità aiuta a prevenire la sofferenza che provoca il sentirsi puntati dal dito indice degli altri, gli studi recenti dimostrano che la competenza che chiamiamo intelligenza emotiva può essere allenata e appresa. Le attività creative, ad esempio, aiutano molto a mettersi in contatto con se stessi, come scrivere una fiaba autobiografica, isolando il personaggio interiore e arrivando alla verità che diventa consapevolezza e aiuta a riprendersi un benessere che oggi sempre più facilmente sfugge di mano. Anche a causa del facile giudizio.
0 commenti
Trackback/Pingback