Un quesito di grande rilevanza sugli studi intorno alle funzioni delle emozioni è quello che riguarda le espressioni facciali relative agli stati emotivi. In particolare, la domanda è se tali espressioni siano universali e valide per tutti gli esseri umani, indipendentemente da sesso, razza, scolarizzazione e cultura di appartenenza, oppure se esse siano influenzate da fattori socioculturali e valgano in maniera diversa per differenti gruppi di individui. Un altro interrogativo riguarda lo sviluppo delle espressioni facciali legate alle emozioni: le espressioni sono innate o sono prevalentemente suscettibili di apprendimento e modificabili in relazione a modelli comportamentali acquisiti? Il terzo aspetto della ricerca mira a determinare il livello fino al quale l’espressione facciale possa essere controllabile (o simulabile) e a rintracciare eventuali differenze tra emozioni reali ed emozioni interpretate.
L’espressione facciale delle emozioni
Nella teoria evoluzionistica, Darwin sostiene l’universalità dell’espressione facciale delle emozioni e afferma che anche nei primati superiori sia rinvenibile, in risposta a stimoli emotigeni, un tipo di mimica facciale molto simile a quella umana. Di contro a quanto sostenuto da Darwin, altri studiosi, come Klineberg, sostengono come l’espressione facciale delle emozioni sia culturalmente determinata. In effetti, le differenze culturali non sarebbero da ricercarsi tanto nel comportamento espressivo in sé, che almeno per alcune emozioni è universale, quanto nelle regole che governano l’espressione nelle diverse situazioni sociali e negli stimoli esterni, vale a dire nelle circostanze attivanti il “programma espressivo” legato alla mimica facciale.
Nel 1934, Paul Ekman, al termine di lunghi viaggi tra le popolazioni più rappresentative del campione mondiale, elabora la teoria “neuro culturale” dell’espressione facciale delle emozioni, teoria nella quale egli esamina tutti gli aspetti in grado di influenzarla, da quelli naturali (fisiologici) a quelli culturali (acquisiti), questi ultimi rappresentati dalle regole espressive della società di appartenenza e dalle circostanze esterne che attivano una determinata risposta emotiva.
Nel suo lavoro, dunque, Ekman dimostra per primo come, ad esempio, i giapponesi, più degli americani, tendano a controllare maggiormente le loro espressioni facciali per condizionamenti culturali che considerano disdicevoli le emozioni (per il popolo degli antichi samurai!). E che, inoltre, tale inibizione è ancora maggiore in presenza di stimoli elicitanti emozioni negative, specie se tali stimoli si presentano quando il soggetto sperimentale è insieme a un suo compatriota.
Un censore chiamato cultura
La cultura, si sa, è da sempre un fattore di forte repressione per gli individui. Facile comprendere, dunque, come, a maggior ragione, ciò valga se debbano manifestarsi emozioni che appartengono alla sfera intima delle persone. Per questo, alcune società impongono più di altre che l’espressione delle emozioni, in particolar modo quelle negative, riguardi la sfera privata degli individui e non la loro immagine pubblica. Come pure è regola comune assumere un comportamento espressivo adeguato in determinate situazioni sociali (ad esempio, non ridere ai funerali, essere lieti ai matrimoni): le regole dell’esibizione delle emozioni sono, infatti, culturalmente determinate e sono il frutto di apprendimento di modelli comportamentali condivisi.
Emozioni simulate
Se le espressioni mimiche e facciali delle emozioni siano controllabili, simulabili o falsificabili è una questione, poi, che rimanda alla questione più complessa della comunicazione simbolica e, quindi, al linguaggio e all’attivazione dell’emisfero cerebrale dominante. La capacità di simulare un’emozione richiede, infatti, una componente cognitiva complessa, un tipo di pensiero astratto e simbolico che permette di pensare a un vissuto emotivo che non è quello realmente percepito. Cosa che, peraltro, è confermata dal fatto che una risposta simulata non può essere innata ma deve essere necessariamente appresa.
Sulla questione relativa all’aspetto relativo alla dimensione evolutiva propria dell’espressione facciale delle emozioni, infatti, la maggior parte dei ricercatori concorda sostanzialmente che le manifestazioni di alcune emozioni siano presenti in forma compiuta fin dalle primissime settimane di vita dell’infante e siano comuni a tutti i neonati. Dunque, le falsificazioni devono essere necessariamente il risultato di un apprendimento successivo.
Emozioni asimmetriche
A conferma di tale ipotesi, recenti studi sulle asimmetrie cerebrali hanno dimostrato che le espressioni facciali simulate, a differenza di quelle genuine, spesso sono anch’esse asimmetriche, vengono espresse cioè con maggior compiutezza da quella parte del volto che è controllata dall’emisfero cerebrale dominante (l’emisfero sinistro, nella maggior parte degli esseri umani).
Peraltro, gli studi di Ekman (e del suo collega Friesen, in collaborazione con il quale ha ideato il FACS, Facial Action Coding System, un test per analizzare empiricamente le espressioni facciali di una persona), sono stati e sono tuttora molto utilizzati in criminologia per individuare le unità di azione del volto (che si realizzano in due aree, una superiore, che comprende fronte, sopracciglia e occhi, e una inferiore, relativa alle guance, naso, bocca e mento) per smascherare gli autori di efferati delitti.
Con gli studi tra il 1982 e il 2004 di Scherer, fondatore del Component Process Model, un modello teorico delle emozioni che ne enfatizza la natura dinamica, non facciamo solo un balzo nel tempo ma anche un significativo passo in avanti per la decodifica delle emozioni.
Emozioni e linguaggio del corpo
Così, alle espressioni facciali, considerate in passato gli unici segnali non verbali per differenziare e riconoscere pienamente le diverse emozioni, si aggiungono le ricerche sugli altri movimenti del corpo e sui gesti che rappresentano un altro mezzo di segnalazione delle emozioni, come postura, prossemica e gestualità. Argomento, quello della comunicazione non verbale, che ho già affrontato ma dal fascino irresistibile.
Per questo, tornerò presto a parlarne ancora.
0 commenti