La comunicazione negli ultimi anni è profondamente cambiata. L’avvento di internet e la dirompente presenza nella quotidianità di tutti di social network, mail marketing, chat ecc. sembra seguire regole autonome, imputabili all’immediatezza della diffusione delle informazioni e alla viralità di contenuti, tra cui occorre individuare quelli validi da altri pensati per catturare i clic degli internauti.
Pleonastico soffermarci su come aziende e brand personali abbiano costruito su tale nuova cultura della comunicazione la loro reputazione (e, in molti casi, la loro fortuna e popolarità). Discutibile resta, invero, il discorso legato all’originalità e alla qualità dei contenuti che dovrebbero essere privilegiate.
Vediamo, allora, come funziona e a quali regole, tacite e meno tacite, risponde la comunicazione come fenomeno di massa, affinché gli addetti ai lavori facciano tesoro di tali informazioni che sono oggetto di studio della sociologia della comunicazione.
La comunicazione di massa
Con internet e i social media, passiamo dalla comunicazione interpersonale alla comunicazione di massa. Tutti d’accordo che, con la globalizzazione e l’avvento delle nuove tecnologie, la comunicazione si sia impoverita nella sostanza e abbia accresciuto il suo potenziale di aggressività: tuttavia il fenomeno non può essere ignorato. Anzi, occorre che sia analizzato rispetto alle ricadute che ha avuto, che ha e che continuerà ad avere su tutti.
Siamo davanti alla cosiddetta rete globale della comunicazione, un’istituzione mondiale che rappresenta l’industria più importante e che ormai ha messo radici anche all’interno delle Pubbliche Amministrazioni. Una rete alla quale concorre il mondo intero per similarità di funzioni e di strumenti che utilizza.
Dall’uso dei mass-media deriva quella che i sociologi chiamano Comunicazione di Massa, i cui processi sono correlati a nuove caratteristiche (anche rispetto agli anni precedenti in cui la comunicazione di massa era nelle mani di pochi soggetti ben definiti) che possono essere raccolte in quattro punti:
- la velocità della diffusione,
- l’anonimato del ricevente,
- l’impossibilità di replica,
- la volontarietà.
Tutte caratteristiche con cui la Comunicazione di Massa abbraccia argomenti d’interesse collettivo, laddove per Massa si intende un pubblico di persone che non si conoscono tra di loro ma che prestano attenzione allo stesso argomento nello stesso tempo, senza uno specifico profilo organizzativo.
Alle caratteristiche di base se ne sommano altre che, esulando dalle modalità interattive, vertono principalmente sugli aspetti contenutistici.
Infatti, sono proprio le caratteristiche di
- alto grado di popolarità,
- contenuti superficiali ed effimeri,
- divertimento come obiettivo principale e
- gratuità (o basso costo)
che relegano il concetto di Cultura di Massa ad accezioni negative, poiché espressa in una forma opponibile alla “cultura alta” e che deriva dai Mass Media. Dunque, dai popolari canali di diffusione.
Con essa, le modalità comunicative che, per queste ragioni, vengono considerate uniformate verso il basso.
I contenuti
Proprio i contenuti dei mezzi sono oggetto di studio della Sociologia della comunicazione, rispetto
- agli effetti che essi hanno sugli individui o
- alla spiegazione degli effetti osservati,
in termini di comprensione di forme e linguaggi della Comunicazione di Massa. I risultati degli studi su questi contenuti dimostrano, infatti, che la visione del mondo che emerge è diversa da altre forme di visione della realtà sociale. Ad esempio, il ritratto sociale che emerge dalle interviste, in termini di percezione della realtà, appare distorto, a causa della manipolazione delle notizie a cui si presta una comunicazione globale e, per certi versi, selvaggia.
La pretesa obiettività viene, infatti, sconfessata dalle tendenze del momento:
- elitarismo e risalto a ciò che è a portata di mano (cattive notizie che scuotono l’opinione pubblica, quasi non esistessero buone notizie);
- etnocentrismo (la nostra cultura è superiore e da questa altezza si osservano gli accadimenti esterni);
- sensazionalismo (risalto a crimini efferati, mode di notizie di genere, come suicidi, femminicidi, attentati, devianza sociale, soprusi nel mondo della scuola ecc.).
Lo stereotipo è servito
L’organizzazione dei media premia, infatti, lo stereotipo, il dare al pubblico ciò che si pensa che voglia, la ripetitività in un meccanismo di “eccitazione senza sensazioni profonde”. Ciò spiega quanto noi siamo manipolati e oggetto di un disegno che mira ad irretire chi è esposto a quel genere d’informazione.
Del resto, storicamente e da un punto di vista sociologico, lo stereotipo e il conformismo:
- scongiurano il comparire di una devianza,
- conservano le idee dominanti (teoria dell’economia) e
- prevengono possibili cospirazioni.
Detta con parole semplici: se ci lasciamo manipolare, siamo tutti più facilmente controllabili.
Lo studio sulla comunicazione di massa ha avuto un ruolo importante nello studio della comunicazione internazionale, in relazione ai suoi flussi (ad esempio, è maggiore il flusso degli audiovisivi dei Paesi del Nord verso il Sud che non il contrario) dalla parte più sviluppata del mondo a quella meno sviluppata.
Concetto su cui si fonda l’Imperialismo Culturale (o dei media), con cui si intende chi domina il mercato della comunicazione.
Il pubblico
Qual è il pubblico della comunicazione di massa? Pur non essendo organizzato, può essere ancora definito come collettività, poiché i temi e le aree geografiche interessate convergono verso aree di interesse comune (es: gli spettatori di un Tg locale che tratta temi di politica locale). Ma è anche un mercato di consumatori o un gruppo parasociale (chi prende le distanze). Questo per quanto riguarda quello che la Sociologia della Comunicazione chiama pubblico passivo.
C’è però anche un pubblico attivo, quello che riceve motivazione e gratificazione dall’uso dei mass-media. Si tratta di un pubblico più qualificato, che usa i canali di comunicazione di massa per
- acquisire notizie,
- ottenere informazioni pratiche,
- perseguire svago e divertimento,
- stabilire contatti sociali.
Un pubblico, quello attivo nella comunicazione di massa, strutturato secondo caratteristiche socio-demografiche, frutto di analisi che tendono a stabilire le linee di condotta e le preferenze prevalentemente a fini pubblicitari.
Gli effetti
- Uno degli effetti immediati della comunicazione di massa è l’integrazione. Ma anche il contrario. Televisioni e stampa, ad esempio, raggiungono il loro obiettivo in tal senso (o l’esatto opposto) divulgando immagini e notizie artatamente costruite intorno agli scopi: far vedere immagini di persone di diversa etnia che interagiscono rende già il concetto di integrazione, almeno quanto crea disgegrazione la divulgazione della notizia di uno stupro di gruppo ad opera di un “branco” composto da Nordafricani ai danni di una giovane occidentale. Pur ammettendo, infatti, che notizie del genere debbano sempre essere conosciute e condannate dall’opinione pubblica, traferire l’idea che quel dato tipo di reato sia un’esclusiva delle persone di colore mina ogni processo d’integrazione. Ecco come si viene manipolati: con la diffusione di messaggi programmati che hanno il potere di controllare le reazioni del pubblico che li riceve.
- Un altro effetto della comunicazione di massa è creare una conoscenza mediata, poiché la nuova cultura non è espressa direttamente ma mediata dai mass media. Cioè, chi ritiene di sapere ha notizia delle cose solo “per sentito dire”, quasi accontentandosi della fonte che sposa meglio vedute e ideali, senza approfondimenti.
- Altro effetto è il rischio di emulazione di fenomeni devianti: mostrare immagini di eventi eversivi o sommosse in alcuni casi ne provoca altri per imitazione (stragi nelle scuole ad opera di ex-studenti, aggressioni ad ex partner con acido, il triste fenomeno del Blue Whale sono solo alcune delle più recenti dimostrazioni di questo effetto).
Per questo, occorre sempre essere attenti al duplice effetto dell’informazione che viaggia attraverso i canali di diffusione di massa:
- far subire al pubblico le notizie virali e, di conseguenza,
- condizionarlo fortemente.
L’industria dell’informazione
L’informazione, intesa come settore economico della Globalizzazione è ormai il settore produttivo prevalente, quello che oggi recluta una gran quantità di professionisti e assorbe una fetta considerevole del mercato del lavoro. Il che alimenta il circolo vizioso che produce, di conseguenza:
- l’aumento dei canali di comunicazione (grazie a tecnologie sempre più evolute);
- un pericoloso appiattimento delle differenze tra mezzi di comunicazione di massa e altri mezzi di comunicazione interpersonale;
- il carattere interattivo-crescente dei nuovi strumenti di comunicazione di massa;
- la prevalenza di contenuti selezionati per categorie di destinatari e non casuali.
Va da sé che di questa industria dell’informazione si avvantaggino i Paesi più ricchi del globo che accrescono, in tal modo, il gap, la disparità rispetto a quelli più poveri che rappresentano, per contro, il Terzo Mondo della tecnologia. Il rischio maggiore è che, come per altri settori produttivi, anche quello della nuova comunicazione alimenti una sudditanza sempre maggiore dei secondi rispetto ai primi, pur in presenza di strumenti che, in linea teorica, avrebbero il potenziale di azzerare le distanze e mettere tutti sullo stesso livello di fruibilità e di sfruttamento di risorse immateriali per il rilancio dell’economia mondiale.
Insomma, sotto molti aspetti, stavamo davvero molto meglio prima.
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