Tra terra e cielo è un progetto di Serena Baretti, Arti Terapeuta di Artedo, spesso ospite del mio sito. In questo articolo, riporto, con le sue stesse parole, il resoconto di un suo laboratorio di arteterapia con una quinta classe di scuola primaria. La dimostrazione di come, con materiali poveri, si possano pensare interi percorsi per lavorare sulle emozioni e sull’inclusione.
Tra terra…
Sedici bambini presenti, seduti in due gruppi da otto, in cerchio, per terra. Così inizia il mio laboratorio di arteterapia a scuola con l’uso di materiali poveri. In questa esperienza a scuola intendo lavorare con la terra. Al primo gruppo chiedo di rappresentare cosa rappresenti per loro la terra, mentre l’altro raffigura il cielo. La consegna per tutti è di trovare uno spazio intorno al foglio e mantenerlo, rispettarlo, senza invadere quello degli altri.
Chiedo, inoltre, di condividere il materiale a disposizione:
- rametti secchi,
- ovatta,
- della terra e
- un po’ di colore.
Sempre nel rispetto dei compagni. Disegnare su di un unico foglio è, già in sé, segno di unione, è un simbolo che sta per condivisione e socializzazione e permette di elaborare e far emergere, attraverso le dinamiche gruppali nel qui ed ora, le caratteristiche e il temperamento di ogni singolo bambino all’interno della dimensione sociale.
Ho introdotto terre naturali di differenti colori e spezie, alcune portate dai bambini, come da me richiesto il giorno prima. E’ importante che ognuno porti e condivida con gli altri il frutto della propria terra di origine, perché richiama la famiglia. Io ne ho portate delle altre: mescolate con acqua e colla vinilica dagli stessi ragazzi, le terre creano pigmenti naturali che possono essere toccati, annusati, esplorati, per rinforzare la sensorialità.
…e cielo
Il cielo non lo potevo chiedere a nessuno: così, anche per far esperienza della differenza tattile, abbiamo usato le tempere classiche per rappresentarlo. Al termine del lavoro, abbiamo parlato insieme, a gruppo unificato.
Dalla verbalizzazione dei ragazzi, è emerso che usare i materiali poveri è stato come immergere le mani nella terra stessa, sentirne il calore (o, talvolta, la freddezza), sporcarsi, sentire la consistenza dei semini delle spezie sotto i polpastrelli. E scoprire le diverse consistenze dei materiali, fare esperienza tattile e imparare a prendersi cura.
Mettere troppa acqua, infatti, fa diventare fango la terra; mentre, metterne poca la inaridisce. Allo stesso modo, aggiungere terra rossa accresce il calore già nell’impatto visivo, come anche se si utilizzano cherry o paprika.
L’esperienza del cielo è più delicata: richiama le nuvole, l’estate, la pioggia.
Lo scambio è inclusione
Al termine, propongo di scambiarsi di posto: i due gruppi adesso lavorano ognuno sul foglio dell’altro. Un gruppo porterà la terra al cielo, mentre l’altro il cielo alla terra. Ogni bambino lascia, così, un segno del suo passaggio.
Nel gioco creativo, c’è chi passa dalla terra e vola verso il cielo, chi dal cielo porta pioggia che rende fertile la terra. C’è anche chi nel cielo si ferma e mette radici o porta terra e verde, chi porta vita in entrambi i regni, come animali di terra o di cielo e piante. Nell’incontro, in altre parole, prevale lo scambio dei doni perché ogni cosa appartenga a tutti.
Si apre, così, una seconda verbalizzazione.
Noto agitazione in alcuni di loro. Così, prima di sederci a parlare, propongo un momento di attivazione corporea. Metto un sottofondo musicale e iniziamo a muoverci insieme per rappresentare terra e cielo con il movimento. Tre semplici consegne:
- andare giù al mio “terra!”;
- fare un salto al mio “cielo!”;
- fondere le due dimensioni al mio “vento!”.
Il gioco della tribù
Vedo i ragazzi sbattere i piedi, diventare terra e trasformarsi in tribù. Il suono della tribù, trasportato dal vento, si sposta verso il cielo. Il gruppo rappresenta l’azione con il corpo, con i movimenti delle braccia e con un passo cadenzato dei piedi. “Stanno diventando un gruppo”, penso tra me e me.
La scuola multietnica offre spunti meravigliosi per chi li sa cogliere e intende lavorare sull’integrazione e sull’inclusione. Così, anche dalle parole finali dei ragazzi, è stato bellissimo leggere l’emozione dei due bambini originari del Marocco che, nella loro porzione di lavoro grafico, avevano portato la sabbia, il calore e i colori del deserto. E con quale orgoglio (e nostalgia) abbiano presentato la loro storia, le origini diverse alla classe che li ascoltava in religioso silenzio. I colori che si incontrano, il giallo del deserto mescolato al verde della vegetazione nei paesaggi creati dai bambini italiani (insieme ai colori dei tramonti sul mare e dell’arcobaleno), creano, così, storie meravigliose che parlano al cuore. Ognuno, del resto, ama raccontarsi e attende impaziente di farlo, donando attenzione agli altri per riceverne a sua volta.
Basta poco per costruire armonia e condivisione tra bambini, in fondo. E le emozioni di cui sono portatori sani arricchiscono anche gli adulti.
Tornerai da noi?
Per salutarci, chiedo a ognuno di sporcarsi le mani in uno dei due dipinti e lasciare l’impronta su di un foglio unico bianco. “Questo foglio va appeso in classe”, dico. “Qui, adesso siamo insieme più che mai. Tutti.”
Uscendo, una bimba mi ferma sulla porta: ”Tornerai da noi?”. “Dipende dal vento: se l’uragano decide di accogliermi con vento leggero e caldo, potrei sostare nuovamente o passare.” Lei sorride e conclude: “L’uragano per te diventerà il vento che ti aspetta al tuo ritorno”.
Qualcosa ho smosso.
Qualcosa si è smosso anche dentro di me. Ma non avevo parole per dirlo in quel momento.
0 commenti