Afferma Umberto Galimberti (nella foto): « I sentimenti non sono ereditari ma si apprendono. E nei primi tre anni di vita si pongono le fondamenta per la costruzione delle mappe emotive. Ciò significa passare dal semplice impulso, che è fisiologico e naturale, all’emozione, che è un passo evoluto rispetto all’impulso e comporta la risonanza emotiva di quello che si compie e di quello che si vede. In fine, arriva il sentimento, che non è solo una questione emotiva ma anche cognitiva. » Le parole sono quelle di una celebre video-intervista che ha fatto il giro del web. E aggiunge: « Gli amanti, proprio perché si amano, si capiscono tra di loro, molto più di quanto i loro discorsi siano comprensibili agli altri. Le mamme comprendono i bambini che non parlano perché li amano. Il sentimento è cognitivo: non è una dote naturale ma si apprende. »
I sentimenti
Quindi, i sentimenti, come rappresentazione di emozioni e loro prolungamento nella sfera cognitiva, vengono appresi. Vengono, pertanto, anche insegnati.
Secondo Dan Kindlon e Michael Thompson, autori del libro « Intelligenza Emotiva per un bambino che diventerà uomo » (Biblioteca Univers. Rizzoli, 2002), curare l’alfabetizzazione emotiva di un bambino, intesa come atto di insegnare l’alfabeto delle emozioni, è un processo simile a quello con cui egli impara a leggere, poiché comporta
- la promozione della capacità di leggere e comprendere le proprie ed altrui emozioni e
- l’utilizzo di tali abilità per comprendere meglio se stessi e gli altri.
Relazioni e brillantezza emotiva
I comportamenti emotivamente più intelligenti richiedono (e, d’altro canto, dimostrano) una grande brillantezza dal punto di vista della consapevolezza delle emozioni.
- Ci sono persone, ad esempio, che riescono facilmente ad andare d’accordo con gli altri.
- Altre esprimono grande sicurezza nel propri mezzi.
- Altre ancora eccellono nell’ispirare comportamenti ed obiettivi di chi sta loro attorno.
Questi aspetti, che caratterizzano mediamente le persone di successo, non hanno nulla a che vedere con il QI. Le ricerche fin qui condotte, infatti, dimostrano che le persone di maggior successo non sono quelle che posseggono necessariamente livelli di Quoziente di Intelligenza più elevati o carriere scolastiche e universitarie particolarmente brillanti ma, piuttosto, quelle che hanno capacità sociali ed interpersonali fortemente sviluppate.
Oltre gli emisferi
Il che significa che, quando i pensieri e le emozioni lavorano insieme (quando, cioè, l’Intelligenza Emotiva viene messa al servizio della vita di tutti i giorni), le persone riescono ad autoregolarsi rispetto ai propri sentimenti (con un agire pro-attivo) e a ridurre la risposta re-attiva che, altrimenti, aumenterebbe.
L’Intelligenza Emotiva è, infatti, proprio quella tra le diverse intelligenze che consente di far dialogare la parte razionale con la parte emozionale del nostro cervello. Un tempo avremmo detto « l’emisfero destro con quello sinistro ».
Le emozioni e il pensiero
Aspetto chiave dell’Intelligenza Emotiva è la comprensione delle emozioni. La capacità di identificare e dare un nome alle emozioni, comunemente definita come « alfabetizzazione emozionale », è la competenza centrale in molti programmi di apprendimento socio-emozionale. Le ricerche recenti sull’alfabetizzazione emozionale, condotte con FMRi (risonanza magnetica funzionale che permette di vedere il cervello in azione) presso l’Università della California a Los Angels (UCLA), confermano, infatti, l’esistenza di un ponte tra
- cognizione (il pensiero analitico, l’uso del linguaggio),
- affezione (l’esperienza dell’emozione) e
- fisiologia (la risposta del corpo).
Lo studio ha riguardato un campione di 30 adulti, di età compresa tra i 18 e i 36 anni, i quali si sono sottoposti ad una serie di stimoli per permettere l’osservazione dei meccanismi che utilizza il nostro cervello per processare le informazioni emozionali. Il dato emerso spiega che impegnare il cervello in una attività “razionale”, come il dare un nome a qualcosa (in questo caso, alle emozioni che si stanno provando), riduce la forza e la dirompenza della reazione emozionale a carico dell’amigdala, la parte del cervello responsabile delle reazioni primordiali, come l’attacco e la fuga.
Da qui la conferma dell’importanza della consapevolezza delle emozioni che si provano per sviluppare e potenziare le abilità comportamentali e di vita che chiamiamo Intelligenza Emotiva.
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