La scuola contribuisce in maniera significativa alla costruzione del benessere degli allievi, accompagnandoli nel loro percorso di crescita e di scoperta di sé e del mondo circostante. Per fare ciò occorre essere pronti a conoscere e riconoscere ogni individuo come portatore di un bagaglio personale e familiare unico e specifico. Ma come intervenire in ambito scolastico per offrire un reale ascolto al mondo emozionale di ciascun allievo? Ecco la prima parte del redazionale di Giusy Valente, specializzanda in Arti Terapie con Artedo, sul tema dell’intelligenza emotiva a scuola, che mette insieme alcuni dei contributi più significativi tra quelli disponibili sul web.
Relazioni a scuola
Se, come si è ormai assodato, le problematiche scolastiche e relazionali rivelano difficoltà e sofferenze emotive più profonde, è importante che l’insegnante non si limiti ad una valutazione superficiale dell’insuccesso ma si impegni nella ricerca di una conoscenza autentica dell’allievo, non alterata da pregiudizi o conclusioni affrettate e superficiali.
Se pensiamo al momento in cui l’allievo “incontra” per la prima volta le “discipline scolastiche”, possiamo osservare come il processo di interpretazione di queste risulti piuttosto articolato ed evolva con il passare del tempo.
Le prime esperienze “di incontro” provocano emozioni semplici che sono associate
- all’insegnante,
- al particolare argomento trattato,
- alle relazioni con i compagni,
cioè a quelli che vengono chiamati fattori mediatori.
Tali esperienze provengono da una interazione diretta con questi fattori mediatori che danno luogo ad una reazione positiva o negativa.
Il ruolo dell’insegnante
“Ma poco per volta il bambino comincia a dare un senso alle diverse esperienze, a mettere in relazione l’una con l’altra, ad anticipare, secondo gli schemi così costituiti, esperienze future. In particolare, interpreta i comportamenti dell’insegnante e dei compagni e si costruisce delle vere e proprie teorie interpretative, all’interno delle quali tali comportamenti trovano una spiegazione coerente:
- sono un incapace,
- l’insegnante non mi considera in grado di portare a termine un compito,
- i miei compagni sono più capaci di me.
Costruisce, altresì, cosi degli standard di riferimento in base ai quali riconosce il successo e il fallimento. Si forma, cioè, delle convinzioni su cosa vuol dire andare bene in una materia e sulle cause (teorie del successo).
Nasce così anche la percezione del fallimento, cioè l’interpretazione delle proprie esperienze come fallimentari” (Problemi e convinzioni, Rosetta Zan, Pitagora Editrice Bologna, 1998).
Problemi e convinzioni
Il costrutto di convinzione ha radici nella psicologia sociale anche se viene introdotto proprio negli studi di problem solving per spiegare il fallimento di soggetti che sembrano possedere le risorse necessarie per riuscire.
Per convinzione, in questo contesto, la Zan intende “la conoscenza soggettiva (quindi, non necessariamente vera) di un soggetto su di sé, sulle discipline oggetto dell’apprendimento, sull’ambiente”. Essa nasce dal continuo tentativo di interpretare la realtà e nello stesso tempo dà vita a schemi con cui l’individuo interpreta l’esperienza futura. Per tale motivo, essa agisce da guida nella selezione delle risorse da attivare. In particolare, la convinzione limitante e autoimposta può inibire, a priori, l’utilizzazione delle risorse adeguate.
Basti pensare ad un allievo che è convinto di non essere in grado di risolvere i problemi e che pertanto rinuncerà probabilmente a priori ad affrontarne uno. E’, dunque, possibile affermare che “le convinzioni o, meglio, i sistemi di convinzioni, costituiscono la cornice all’interno della quale un individuo seleziona e impegna le risorse cognitive, cioè prende le decisioni” (Schoenfeld, 1983).
Esse, dunque, influenzano le decisioni di utilizzare certe strategie e testimoniano il legame profondo fra aspetti cognitivi e affettivi.
Il processo d’istruzione
Alla luce di quanto detto finora, possiamo affermare, senza rischio di smentita, che accade qualcosa nel processo d’istruzione. Sembra che l’approdo allo studio delle discipline da parte dei soggetti in apprendimento faccia perdere loro qualcosa in termini di motivazione.
Ma cosa vuol dire essere motivati a fare qualcosa?
La motivazione è strettamente legata allo stato emozionale positivo che ci spinge verso un obiettivo, con volontà, capacità di scelta e sulla base di valori autentici. Non a caso Goleman, il padre dell’intelligenza emotiva, afferma che la motivazione rende più facile non solamente un apprendimento cognitivo ma rende più forti le stesse capacità razionali.
- Che cosa è necessario chiedere, allora, agli insegnanti?
- Come possono riuscire ad attivare negli allievi quelle che in letteratura vengono chiamate abilità meta-emozionali?
Un suggerimento potrebbe essere riuscire a far amare la disciplina che si insegna, non soltanto attraverso la trasmissione dei suoi nuclei fondanti ma, soprattutto, per la rete di collegamenti che la stessa può avere con altre forme di sapere che sono necessarie per la sua stessa ragion d’essere, attivando un vero reticolo formativo.
Mediatore culturale ed emotivo
Ho ribadito più volte, e non sono né il solo né il primo autore a farlo, che l’insegnante, oltre che esperto della disciplina, deve essere anche un mediatore culturale. Oggi in questa società liquida, è necessario fare un passo in avanti.
L’insegnante, così, deve diventare anche un mediatore emotivo riuscendo, in questa nuova veste, a far implementare al soggetto, attraverso la sua affettività, la dimensione cognitiva necessaria per apprendere i contenuti della disciplina. E a fargli acquisire quelle coordinate relative alla costruzione della sua personale identità, autonoma e responsabile, capace di costruire una gerarchia di valori che è il fondamento della convivenza civile.
Una didattica attenta alle emozioni è, allora, una didattica intesa
- sia come insieme di metodi, tecniche, strumenti per stimolare e facilitare l’accesso all’esperienza soggettiva e generare nuovi apprendimenti,
- sia come processo per gestire più consapevolmente ed efficacemente le reazioni comportamentali e le relazioni interpersonali.
Stimolare curiosità e creatività
Un percorso di questo tipo può incidere positivamente sul processo di acquisizione della conoscenza, un processo in cui i giovani soggetti in formazione saranno animati dal piacere di
- esplorare,
- conoscere,
- collaborare e
- apprendere,
attraverso una continua scoperta. Poiché stimolati nella loro curiosità e creatività, elementi indispensabili per un corretto approccio alla strutturazione di un sapere capace di radicarsi nella profondità, lasciando una traccia indelebile predisposta per ulteriori acquisizioni.
L’apprendimento personalizzato
L’allievo, trovandosi nella possibilità di apprendere e di realizzare il processo di apprendimento nel modo più congeniale alla sua intelligenza dominante, non si sente forzato ad adeguarsi ad un prototipo ritenuto corretto, nel quale però non si riconosce. Ma può realizzare il tragitto che più lo rispecchia in un’ottica dove è importante il raggiungimento dell’obiettivo e non il modo attraverso cui lo si raggiunge.
Adeguando l’apprendimento alle proprie caratteristiche, l’alunno avrà la possibilità di ampliare il raggio dei successi sperimentati e diminuire quello degli insuccessi. Ciò creerà una sensazione di adeguatezza e competenza che influirà positivamente non solo sull’autostima, cioè sulla percezione del proprio sé, ma anche sull’autoefficacia e sull’intelligenza emotiva.
Ciò perché l’alunno sarà portato a maturare convinzioni positive circa le proprie capacità di produrre le azioni necessarie per gestire adeguatamente le situazioni problematiche in cui si trova. L’alunno si sentirà, in altre parole, più preparato non solo ad acquisire nuove conoscenze ma anche a coltivare nuove abilità e ad accettare la responsabilità della propria istruzione.
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