La lettera del protagonista all’antagonista della fiaba è una delle fasi conclusive del percorso di crescita personale per il rinforzo dell’intelligenza emotiva con il Metodo Autobiografico Creativo. Esattamente, è la fase dedicata al dialogo interiore. E’ il momento dell’incontro con le parti più profonde di sé che emergono nel lavoro creativo che smuove le emozioni. La presa di consapevolezza delle parti buie, nascoste, negate con cui, in fondo, è possibile cercare una mediazione, diventa, infatti, il momento in cui si svela la relazione intima con se stessi che può essere osservata da un punto di vista distaccato. Diventa anche una riflessione su quello che gli altri vedono di noi e su cui si fondano le relazioni con gli altri. Parlare a se stessi è, dunque, mettere a nudo le paure, le perversioni e le debolezze. Ma anche mettersi davanti ad uno specchio e, in definitiva, parlare di se stessi e scoprire di essere sempre più di quanto non si creda. Ecco quello che Andrea confessa a se stesso e di se stesso.
Caro Antagonista…
Mia madre mi ha sempre detto una cosa: “se non riesci ad aprirti, a raccontarti, scrivi una lettere a te stesso”. Per anni ho scritto lettere dove raccontavo della mia timidezza, dei miei sogni, delle paure che avevo e che ancora oggi mi sono rimaste dentro. Poi un giorno ho conosciuto te e ho deciso che forse era arrivato il momento di scrivere una lettera diversa, una lettera che potesse parlare a qualcuno. E mi sono sorpreso del fatto che invece di scegliere un amico, un compagno di scuola, ho pensato di scriverla a te.
Io so che non ti reputi una bella persona e che ti piace veramente tanto pensarti in questo modo. So che hai reso infelici un sacco di persone, rubando i loro sogni, trasformando i loro desideri in piccoli incubi. So che l’infelicità per te è stata una specie di missione. Come faccio a saperlo? Beh, io ti ho visto, ti ho sentito, abbiamo parlato tanto. E quando sei entrato nei miei sogni, non sei riuscito a modificarli. Tu parlavi spesso di infelicità ed io ti ascoltavo e mi domandavo sempre il perché di quelle immagini. Le osservavo e, alla fine, ho scoperto che per vivere c’è bisogno anche di emozioni come quelle.
Un giorno mia madre mi disse: “Andrea, serve tutto nella vita, anche il dolore”.
Ma io questa frase non la capivo.
Poi un giorno mi raccontò la sua storia. Mi disse che un uomo la seguiva per la strada, con una pistola nascosta nella giacca, e lei aveva paura. Si era barricata in casa e non apriva a nessuno. E quando mio padre bussava alla porta, lei per aprire doveva spostare i mobili e tutto ciò che aveva in casa. Quando mi raccontò questa storia, mi disse: “La paura che avevo mi ha dato la possibilità di guardare negli occhi delle persone e scoprire cosa sentano e cosa desiderino veramente”.
Perché questa storia?
Ti starai chiedendo come mai ti sto raccontando questa storia e, forse, anche perché ho deciso di scrivere una lettera proprio a te. È molto semplice. Io credo che tu e mia madre abbiate qualcosa in comune. Riuscite entrambi a capire cosa gli altri desiderino. Solo che, mentre mia madre cercava di regalare qualcosa di bello agli altri, tu, invece, desideravi solo l’infelicità della gente.
Ma, quando hai scelto me, non hai capito che quella voglia di volare a cui pensavo spesso non era altro che un regalo, quello che mia madre mi ha lasciato prima di andarsene, prima di salutarmi. E non ci sei riuscito. Da questo ho capito che c’è del bello anche in te.
Forse penserai che sono solo un sognatore, uno di quelli che se ne sta in silenzio, lontano dagli altri per paura di parlare o di fare una brutta figura. Forse hai ragione ma so che tu sei molto di più di come ti descrivi. Hai cercato di ferirmi, di mostrami una vita senza sogni, un futuro penoso e pieno di insidie e, in parte, all’inizio, almeno, sei riuscito a spaventarmi. Ma quello che tu non sai è che un sognatore come me, che viene da una famiglia di sognatori, non può dimenticare mai quell’immagine di una donna che barrica la porta di casa per paura di morire.
Ti dico la verità
Cosa voglio dire veramente? Che non avevo bisogno dei tuoi sogni per vedere il dolore. Io lo conoscevo già ed è per questa ragione che non mi faceva paura. Mi chiedevo semplicemente il perché e scoprivo che non era diverso da ciò che mi è stato raccontato. Quindi, Bambino Cattivo, vorrei dirti che serve anche ciò che tu regali, serve anche la paura, la morte di un desiderio, servono storie a cui noi crediamo per anni e che ci mostrano ciò che vorremmo essere per comprendere cosa vogliamo e cosa non desideriamo più.
Così ti ho scritto per raccontarti la storia che, forse, non riuscirai mai ad ascoltare, poiché ti farà male per giorni, mesi, anni: che quei desideri infranti hanno creato persone autentiche, persone più felici, meno spaventate. In fondo, ne sono certo, lo sai bene anche tu sei solo come ti descrivi ma non hai mai voluto vedere tutto questo.
Ti lascio questa storia e so che, nel leggerla, anche tu, che ti consideri così cattivo, ti fermerai un attimo a pensare. Non vuoi ammetterlo ma non sei solo ciò che pensi. Il marcio che regali mi ricorda un po’ il letame da cui, però nascono i fiori.
Un saluto.
Andrea
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