Alzi la mano chi, durante gli anni della scuola, ha preso parte ad attività “diverse”, appositamente pensate per incoraggiare l’alfabetizzazione emozionale, ovvero per contrastare l’analfabetismo emozionale. Certo è che l’emergenza sociale che ci spinge ad occuparcene è figlia dei nostri tempi. In passato, venti o trenta anni fa, quando non se ne sentiva il bisogno, gli insegnanti e gli educatori potevano focalizzarsi sulla preparazione scolastica. In tal modo, la scuola poteva dedicarsi meno alla crescita armonica ed emotiva degli studenti. Ma la scuola moderna è molto diversa. Un tempo, si poteva contare sulle famiglie per l’educazione dei ragazzi e il contenimento affettivo. Oggi, però, è tutto diverso. E anche questo compito è come se dovesse essere esercitato, almeno in buona parte, dall’istituzione scolastica, contro cui si riversa la frustrazione dei genitori. Ecco che si moltiplicano gli episodi di violenza e le difficoltà relazionali tra i giovanissimi. Mentre, di pari passo, crescono ansia, depressione ed altre espressioni di un malessere che ha delle pesanti ricadute sulla salute degli adulti di domani.
Analfabetismo emozionale e aggressività
Il bisogno d’inclusione, di cui il MIUR parla nelle circolari in cui auspica che il docente sia in possesso di competenze relazionali di tipo trasversale, nasce dall’osservazione dei numerosi episodi di violenza tra coetanei, come nei casi di bullismo, da parte degli studenti ai professori e, talvolta, da parte dei genitori verso l’istituzione.
La gravità di questa situazione è lo specchio di un malessere emozionale che si manifesta, in maniera trasversale, in tutte le classi sociali, a livello globale, e che deriva da un disagio emotivo a cui i ragazzi non sanno dare un nome. Cioè, gli adolescenti, nella fattispecie, sanno di stare male ma non sanno dire perché. Mancando un filtro, quello dell’alfabeto emotivo, ogni impulso diventa azione. E ogni azione diventa aggressione.
In tali casi, programmi di addestramento, già dalle scuole d’infanzia o dalle prime classi delle primarie, per il controllo (o, meglio, la gestione) della rabbia (che è alla base dell’aggressività) consentirebbero di affinare l’auto-percezione delle emozioni e del corpo. Dopo l’addestramento, infatti, come scrive Goleman nel suo “Intelligenza emotiva”, nuove abitudini neurali ed emozioni positive possono sostituirsi agli istinti incontrollabili, con chiari effetti positivi sulla salute delle persona che passa anche per la qualità delle sue relazioni adulte.
L’isolamento relazionale
Nel gioco delle relazioni sociali le persone aggressive, quelle che non sanno controllare gli impulsi, vengono vissute come antipatiche e inevitabilmente soggette all’isolamento. Chi vive male le proprie emozioni e non sa gestirle, infatti, non riesce neppure ad entrare in risonanza emotiva positiva con gli altri. Cioè, non percepire le proprie emozioni disordinate inibisce l’empatia.
La relazione tra l’isolamento relazionale e l’incapacità della gestione emozionale è riscontrabile già durante il periodo scolastico: i bambini considerati antipatici e allontanati dai coetanei, commettono numerosi errori quando si chiede loro di associare ad un sentimento, come il disgusto o la rabbia, alcuni volti che manifestano emozioni. Questi bambini vivono il disagio di essere allontanati dal gruppo e, quindi, conseguentemente, di essere svantaggiati nel successivo apprendimento emozionale. Senza amici con cui “allenarsi”, in altre parole, diventa complicato per loro progredire nello sviluppo emozionale.
In tal modo, la loro condizione d’emarginazione non fa che costringerli alla desensibilizzazione rispetto ai loro stessi sentimenti. Le conseguenze sono, talvolta, molto gravi fin da subito. Tra i rischi maggiori:
- l’abbandono scolastico,
- la solitudine cronica,
- l’esposizione a malattie, specie a carico del sistema immunitario.
Ogni attività, comprese quelle in forma di gioco in classe, basata
- sul dialogo,
- sull’ascolto e
- sull’apertura agli altri,
costituisce, tuttavia, un buon programma di prevenzione dell’analfabetismo emozionale che sostiene lo sviluppo armonico della personalità e, più in generale, la salute.
Analfabetismo emozionale e salute
Ci sono, poi, le ricadute dirette sulla salute che sono riconducibili all’analfabetismo emozionale. Già Daniel Goleman, nel 1996, apre alle possibili conseguenze, in termini di comparsa di casi di
- depressione,
- disturbi alimentari e
- abusi di alcool e droghe.
Vediamo.
La depressione dei giovanissimi
I dati di cui siamo in possesso sono molto eloquenti: la depressione si manifesta in individui sempre più giovani. Per questo, educare i nostri figli, fin da bambini, alla consapevolezza emotiva dovrebbe diventare (e diventerà) un passaggio obbligato all’interno dei percorsi scolastici. Le indagini sulle cause della depressione evidenziano, infatti, enormi lacune
- nella sfera relazionale e
- nel modo di interpretare gli eventi.
Il che ci riporta a quanto fin qui detto.
Le principali cause che alimentano la depressione sono, in effetti,
- la visione pessimistica della vita,
- la perdita della speranza e
- il senso di inadeguatezza personale.
I bambini o gli adolescenti inclini alla depressione, così, accusano se stessi e i propri limiti personali per tutto ciò che capita loro. Al contrario, quelli emotivamente più “dotati” si concentrano su quello che possono fare per migliorare i risultati. Ecco: è in questa seconda direzione che bisognerebbe andare, invertendo la rotta dell’alfabetizzazione emotiva. La buona notizia è che, insegnando ai ragazzi delle tecniche per incontrare le proprie emozioni e ad affrontare più creativamente le difficoltà, si abbasserà notevolmente il rischio di cadute in basso a vantaggio della speranza, come espressione della fiducia in se stessi.
Analfabetismo emozionale e disturbi alimentari
La scarsa consapevolezza emozionale, dei sentimenti e dei segnali del corpo possono essere fattori predittivi anche dei disturbi alimentari. Le ricerche più recenti dimostrano che non sempre essi siano riconducibili, in maniera univoca, all’ossessione sociale che basa la perfezione femminile su un’innaturale magrezza. Quando, però, a questa ossessione si associa l’incapacità di distinguere tra emozioni e sensazioni del corpo, il rischio che compaiano comportamenti alimentari patologici diventa più concreto.
Così, ad esempio, gli studi su ragazze anoressiche o bulimiche evidenziano che reagire con sentimenti negativi alla difficoltà riduce la consapevolezza emotiva: se a ciò viene associata l’insoddisfazione per il proprio corpo, tali reazioni diventano causa di disturbo alimentare.
Nei soggetti obesi, allo stesso modo, l’indagine evidenzia lacune emotive in termini d’incapacità di distinguere sensazioni di rabbia, paura o fame. Il che induce a mangiare in eccesso ogni volta che all’orizzonte si presenta una difficoltà o un disagio.
Rischi per la salute che, una volta di più, rimandano alla necessità della prevenzione, basata sull’alfabetizzazione emozionale che permetta di riconoscere e distinguere gli stati d’animo e di apprendere metodi per rasserenarsi senza ricorrere alle cattive abitudini.
Analfabetismo emozionale e dipendenze patologiche
La dipendenza da alcool e droghe è un’altra conseguenza dell’analfabetismo emozionale. Le difficoltà di capire e gestire le emozioni, infatti, creano isolamento e possono, talvolta, sfociare nella ricerca di una via di fuga che porta sempre più ragazzi a creare paradisi artificiali nelle dipendenze patologiche.
Così, l’abuso di alcool è un prodotto dell’ansia mal controllata; per le droghe, come la cocaina e stimolanti simili, alla fonte c’è la depressione giovanile; ancora, nel consumo di oppiacei ed eroina, alcuni dei fattori scatenanti sono l’aggressività e gli stati collerici.
A quanto è dato di sapere, i soggetti incapaci di controllare questi specifici stati d’animo ricorrono alle sostanze come “auto-cura” o, come dichiarato da alcuni di loro, “per sentirsi come gli altri, almeno temporaneamente”.
La prevenzione possibile
Urge, dunque, rieducare la sfera emozionale per consegnare alla società adulti migliori. In classe, fin da ragazzi, lavorare sulle abilità emozionali non può più essere concepito come un “extra”. Così, il gioco creativo, come quello proposto, tra le altre tecniche, dalle Arti Terapie per sviluppare l’intelligenza emotiva, può aiutare
- l’identificazione e la denominazione dei sentimenti,
- la valutazione della loro intensità,
- il controllo degli impulsi e
- la consapevolezza della differenza fra emozioni, sentimenti, sensazioni fisiche e azioni.
Gli strumenti, insomma, ci sono. Basta integrarli e usarli coerentemente, senza viverli più come delle interferenze alle attività curricolari.
Proprio la creatività, infatti, che è la più alta forma d’intelligenza, può stimolare le connessioni tra mente emozionale e razionale. Allargando, infatti, lo spettro delle abilità cognitive “classiche” al dialogo interiore, mettere in discussione o rinforzare i comportamenti, a seconda delle necessità, orientandoli verso un atteggiamento positivo, diventa un obiettivo possibile. Per la crescita e per la salute.
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