Paolo Iabichino, un esperto di marketing che cita spesso Simon Sinek, riporta una frase molto emblematica, che proprio Sinek cita nel suo libro, di Papa Paolo VI. Il Sommo Pontefice, nel corso di un’udienza del 1974, affermò che l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni dei maestri, poiché i primi spiegano il « perché » delle cose, mentre i secondi sentenziano intorno al « che cosa » e al « come ».
Le persone, infatti, ieri come oggi, fanno quel che fanno senza sapere in virtù di quali motivazioni agiscano. Ma sono proprio le motivazioni lo snodo cruciale intorno a cui si celebra la differenza tra efficacia e inefficacia, tra responsabilità e cultura degli alibi e, in definitiva, tra successo e insuccesso. Ecco come l’esempio dello sport agevola una riflessione su temi di grande attualità per tutti i team.
La motivazione
Sulla scena del crimine delle nostre decisioni, comprendere il movente è alla base della risoluzione di ogni « giallo ». Così, nello sport come nella vita, ogni azione è compiuta in nome di una ragione, di una motivazione. Quando essa è profonda e radicata, viene chiamata « motivazione intrinseca », mentre, negli altri casi, la si definisce « estrinseca ».
Un atleta con una forte motivazione intrinseca, ad esempio, dà il massimo
- perché crede completamente nel progetto della sua squadra,
- identifica i bisogni del gruppo con i suoi,
- il che lo porta a divertirsi in quello che fa.
È il caso in cui
- il piacere diventa il motore della sua partecipazione agonistica e
- la sensazione di fatica si riduce.
La tendenza alla motivazione estrinseca caratterizza, per contro, gli atleti che nello sport cercano soprattutto riconoscimenti esogeni, attraverso rinforzi positivi o negativi (premi o punizioni). Se vogliamo, questo è il motivo per cui uno sportivo in cui predomina questo atteggiamento mentale spesso è incostante e alterna ottime prestazioni a gare da dimenticare.
L’orientamento
Direttamente collegati con le motivazioni sono le due possibili tipologie dell’orientamento personale.
- Dalla motivazione intrinseca deriva l’orientamento al compito,
- mentre dalla motivazione estrinseca deriva l’orientamento al sé.
In azienda come nello sport di squadra, un partecipante al gruppo orientato al compito desidera, infatti, prevalentemente confrontarsi con se stesso, col proprio avversario interiore, e ricava piacere dall’apprendere nuove abilità, traendo gioia dai propri miglioramenti.
Quello orientato al sé, al contrario, cerca di dimostrare la propria capacità principalmente attraverso il confronto con gli altri: la sua gratificazione deriva, pertanto, dal fatto che tale confronto si riveli per lui favorevole, a totale svantaggio della possibilità di migliorarsi (che gli sarà indifferente), perché motivato dal desiderio di magnificare il proprio ego. Nel caso dell’atleta, quest’ultimo atteggiamento si rivela, alla lunga perdente:
- ad esempio, calciatori con queste caratteristiche personali cambiano spesso squadra, poiché soffrono di frequenti « mal di pancia », per citare un malessere spesso accostato a Zlatan Ibrahimovic.
- Oppure scontano lunghi periodi di assenza in seguito a infortuni da cui faticano a riprendersi. Molti ricorderanno il miracoloso recupero di Franco Baresi, capitano della Nazionale Italiana che, operato al menisco durante la fase a gironi, fu regolarmente in campo in finale con il Brasile. Ma parliamo di un uomo che ha legato il suo nome alla più alta declinazione della motivazione intrinseca.
Il controllo interno
Numerose ricerche, condotte nell’ambito della psicologia dei gruppi, confermano la correlazione positiva fra
- orientamento al compito, che stimola l’attenzione alla performance, e
- motivazione intrinseca.
Soggetti con entrambe queste caratteristiche sono definiti dalla psicologia a « controllo interno ». Si tratta di persone che interpretano gli eventi come prodotto del proprio comportamento. Essi sono consapevoli del fatto che
- l’impegno,
- la motivazione,
- i pregi e
- i difetti
sono i fattori che concorrono a determinare quello che accade loro intorno. In altre parole, le persone a « controllo interno » sono responsabili e non cercano scuse e attenuanti al di fuori del proprio comportamento e della propria indole.
Il controllo esterno
Ancora non accade ma presto accadrà che gli osservatori impareranno a posare lo sguardo anche su queste caratteristiche immateriali e, per certi versi, invisibili ai più.
A mio avviso, sempre per restare nell’ambito dello sport, dove la figura dell’osservatore, del talent scout, è prevista e apprezzata, il futuro del training a qualunque livello è quello con cui si insegnerà ai manager a « vedere oltre ». Sarebbe auspicabile anche per le aziende ma ci arriveranno molto dopo per una serie di ragioni, prima su tutte la pia prevenzione del leader di riuscire a « formare » con il tempo gli uomini ad occupare i posti giusti.
Per questo, e forse questo è un paradosso, è altamente più probabile che questa rivoluzione sia fatta nel mondo, chiuso e conservatore, dello sport.
Oggi, un buon osservatore può farsi supportare da un esperto facilitatore per aiutare le società a scegliere sempre atleti a controllo interno. Persone che appaiono molto più responsabili, per non imbattersi, a causa di scelte solo di ordine tecnico, in persone a « controllo esterno », più inclini agli alibi per il solo fatto di far dipendere gli eventi prevalentemente da fattori che trascendono il proprio impegno personale:
- fortuna,
- fato,
- disponibilità,
- comprensione o
- errori degli altri ecc.
Responsabili e respons-alibi
Il locus of control interno, impatta, quindi, e incide fortemente sulla capacità di assumersi le responsabilità senza cercare alibi o facili soluzioni di deresponsabilizzazione. Sta tutta qui in fondo la differenza tra
- i responsabili, individui che manifestano grande abilità nel trovare soluzioni creative a situazioni problematiche, e
- i respons-alibi, ossia coloro che affrontano le situazioni problematiche fornendo come modalità prevalente di risposta degli alibi, altro nome per definire le abilità imprigionate ed ingabbiate.
Detto con parole semplici, quanto più si ritiene che fattori ambientali o situazionali esterni, fuori dal controllo diretto e dalla volontà personale, contribuiscano al risultato dell’azione, tanto meno l’individuo si percepisce e si considera responsabile.
Ma quale complotto?
Ma c’è anche un’altra verità. Capita, infatti, di subire un torto, di essere vittima di un chiaro errore. In simili situazioni, lamentarsi sembra l’unica modalità di una giusta denuncia. Il campanello d’allarme non si accende davanti al singolo caso. Se, però, diventa uno stilema, un modus agendi, si radica la cultura del complotto, a cui fa da contraltare una limitata capacità di
- mettersi in discussione,
- di crescere e
- migliorare.
L’unica modalità efficace per
- imparare dall’errore,
- migliorare costantemente,
- diventare più forti dei torti (reali o percepiti) e delle avversità ambientali,
è, dunque, rinunciare alle scuse e mettersi in discussione.
La resilienza
Ecco, è su questo fertile terreno che si coltiva e cresce la resilienza, cioè il personale atteggiamento mentale che permette di trasformare in opportunità ciò che può essere percepito come un limite.
Lo dimostrano sia la pratica quotidiana che la ricerca sociologica: le maggiori capacità di resilienza sono sempre connesse ad un locus of control interno. Ovviamente, va detto, appare impossibile mantenere il controllo totale delle situazioni e di ciò che ci accade ma è indubbio che è l’atteggiamento che assumiamo rispetto ad esse a determinare, in gran parte, quello che potremo ottenere e realizzare. Se, quindi, all’interno di un gruppo o di un’organizzazione, intendiamo combattere la deleteria cultura degli alibi, spesso troppo diffusa, esiste una sola ricetta:
- coltivare la motivazione intrinseca,
- l’orientamento al compito e
- favorire l’emersione del locus of controllo interno nei membri del team di lavoro.
Un simile atteggiamento da parte del leader-facilitatore, capace di elevati livelli d’intelligenza emotiva, perché è proprio l’intelligenza emotiva che stimola la comprensione di sé e delle motivazioni su cui si fondano scelte e decisioni, genera un ambiente
- proattivo (e non reattivo) e
- resiliente,
disposto alla crescita e al cambiamento. E ad accogliere le sconfitte, i fallimenti, gli errori, le difficoltà e le avversità come ulteriori risorse e opportunità di crescita e miglioramento.
Insomma, sono le persone così, quelle responsabili, che non si concedono alibi e che tutti vorremmo accanto, a fare la fortuna di se stesse e quella delle organizzazioni in cui sono inserite.
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