“Nessun apprendimento avviene a prescindere dai sentimenti dei ragazzi. Sentimenti che scaturiscono dai rapporti con gli altri. Ai fini dell’apprendimento, l’alfabetizzazione emozionale è importante almeno come la matematica e la lettura.” Con queste parole, Karen Stone McCown, citata da Daniel Goleman, spiega il programma didattico che ha elaborato per l’apprendimento della Scienza del sé al Neuva Learning Center di San Francisco, la scuola che può essere considerata un vero e proprio corso modello di intelligenza emotiva. L’esperienza, negli ultimi anni replicata con successo nelle scuole spagnole, ha radici negli anni ’60 dello scorso secolo, allorquando si diffonde negli Stati Uniti d’America un movimento per l’educazione affettiva.
Ne ho parlato nei giorni scorsi con l’On. Maria Teresa Bellucci. A lei ho presentato l’idea di introdurre anche in Italia, già a partire dall’Anno Scolastico 2018/2019, un’ora curricolare a settimana di intelligenza emotiva in classe. L’articolo che segue contiene le motivazioni che possono portare ad un Disegno di Legge per far crescere la nostra scuola. Il prossimo passo sarà una conferenza stampa alla Camera dei Deputati.
L’alfabetizzazione emotiva in classe
Che lo si chiami “Scienza del sé”, “Abilità di vita”, “Sviluppo sociale”, “Alfabetizzazione emotiva” o “Apprendimento sociale ed emozionale” poco cambia. Si tratta in tutti i casi, infatti, di introdurre l’ora di intelligenza emotiva nelle classi a cura di ogni insegnante, a prescindere dalla materia insegnata, che il Miur ora definisce come docente inclusivo.
Quella dell’introduzione dell’alfabetizzazione emotiva a scuola è una novità che rivoluziona il senso dell’educazione affettiva, poiché, “invece di usare l’affettività per educare, educa la stessa affettività”, scrive testualmente Goleman nel suo “Intelligenza emotiva”.
Si tratta di pensare un’ora a settimana in cui la lezione si svolge in modalità differente:
- banchi e sedie in circle time;
- lavori in classe in piccoli gruppi;
- cooperative learning facilitato dall’insegnante che media l’apprendimento cooperativo basato sulle emozioni.
C’è tempo per enunciare le tecniche. Certo è che
- gli insegnanti possono acquisire la formazione necessaria in idonei corsi di aggiornamento (quindi, con un utilizzo più attento del Bonus Carta del Docente);
- l’impatto sociale di una riforma, di fatto a costo zero, avrebbe solo enormi vantaggi per tutti.
Una riforma a costo zero
Dal punto di vista dell’impegno, una novità come questa nella scuola italiana può essere introdotta senza aumentare
- le ore curricolari per docenti e studenti, poiché si tratta solo di introdurre una modalità diversa di concepire la lezione in classe per un’ora a settimana;
- l’impegno di spesa per le casse della Pubblica Amministrazione.
Con ricadute enormi in termini di:
- recupero del vocabolario emotivo perduto;
- miglioramento del clima relazionale tra gli studenti e tra gli studenti e gli insegnanti;
- miglioramento degli ambienti di apprendimento;
- prevenzione della dispersione scolastica;
- recupero del ruolo sociale della scuola come centro del territorio;
- riduzione, nel tempo, dei casi di bullismo (grazie al lavoro sull’empatia) e di altri fenomeni devianti;
- ripristino del clima di benessere a scuola;
- distensione dei rapporti tra istituzione scolastica e famiglie;
- prevenzione dei casi di isolamento e depressione tra gli adolescenti;
- recupero dei valori positivi come patrimonio dei ragazzi che dovrà accompagnarli nella vita adulta.
Insomma, nessuna controindicazione per quella che sarebbe, mutuando le buone prassi di esperienze virtuose del passato e di altre scuole, una riforma intelligente.
Apprendiamo con le emozioni
L’argomento mi sembra un doveroso completamento della panoramica dei vantaggi di una possibile riforma che preveda l’insegnamento delle emozioni e con le emozioni, se è vero (come è vero) che il docente è la chiave. Del resto, quello dell’apprendimento emozionale è un tema che ho affrontato più volte e su cui tornerò ancora. Serve, tuttavia, riprenderlo brevemente (molti dei link di questo articolo collegano a contenuti tematici) per completare la disamina su cui si fonda la mia proposta.
Anche l’Unesco, infatti, sostiene che, dopo internet, la scoperta dell’intelligenza emotiva rappresenti la più grande conquista della modernità. Quello che apprendiamo emotivamente è molto più efficace, anche negli anni dell’Università, di quello che apprendiamo solo razionalmente, senza inferenze emotive. Lo dimostrano molte ricerche: a parità di contenuti, un insegnante razionale, noioso, che insegna senza partecipazione emotiva, attiva nei suoi studenti aree cerebrali molto differenti da quelle che stimola l’insegnante simpatico, che sa come rendere la propria lezione più emozionante ed interessante.
Il risultato di un apprendimento così concepito, peraltro, perdura nel tempo, a differenza di quanto non accada per altre forme di apprendimento che svaniscono nei meandri della memoria dopo il loro utilizzo di scopo (come, ad esempio, dopo un’interrogazione in classe).
I primi risultati
Se sia possibile ottenere risultati tangibili in tempi rapidi è un’altra faccenda. Non è pensabile, a mio avviso, d’immaginare di cospargere la scuola, in affanno da oltre mezzo secolo, di polverina magica. Ma, insistendo, gli effetti si vedranno nel medio periodo, poiché parlare di emozioni e con le emozioni fa acquisire quelle che in neuroscienze si chiamano abitudini neurali che alla lunga danno necessariamente risultati positivi. L’impegno e la perseveranza potranno, però, accelerare il processo.
Le attività in classe sulla Scienza del sé (o comunque la si voglia chiamare), infatti, potranno sembrare piatte e inadeguate a risolvere le drammatiche emergenze che la scuola e la società si trovano ad affrontare. Ma, all’atto pratico, agiscono dal basso, in silenzio, generando crescita a tutto tondo.
E’ con l’esercizio e con la pratica che, infatti, l’apprendimento emozionale mette radici e fruttifica. Se la pratica verrà perseguita con costanza e determinazione da tutti, il cervello la accoglierà come pratica consolidata ed efficace a cui ricorrere in momenti di frustrazione e sofferenza. Sono proprio queste competenze che mancano ai nostri ragazzi e che, oggi, generano attacco verso l’altro poiché manca una “stanza di decompressione” delle emozioni negative che non possono, dunque, esercitare, come dovrebbe essere, il loro naturale ruolo di spazio di riflessione tra l’impulso e l’azione.
Le competenze necessarie
Frenare gli impulsi e rimandare la gratificazione (e l’azione) sono, tra l’altro, le aree che maggiormente ricadono sotto la lente d’ingrandimento dell’educazione e dell’apprendimento, basati sui precetti dell’intelligenza emotiva. Nell’area delle competenze intrapersonali necessarie, ad esse si vanno ad aggiungere anche
- l’autoconsapevolezza;
- l’identificazione, l’espressione e il controllo dei sentimenti;
- la gestione dell’ansia e il controllo delle tensioni interne.
Acquisite queste competenze con l’esercizio e la pratica
- imparare a distinguere tra sentimenti e azioni e
- identificare gli impulsi e scegliere strade alternative per i comportamenti da assumere,
diventa un apprendimento possibile (intelligenza interpersonale).
Il prezzo dell’analfabetismo emotivo
Come spiega Goleman, gli studi sui programmi di prevenzione dei disturbi collegati all’analfabetismo emozionale, condotti dal consorzio W. T. Grant Foundation, hanno evidenziato come una corretta educazione emotiva sia il contrasto migliore anche per
- i casi di depressione (tra i paesi a maggior sviluppo tecnologico, superiori di tre volte rispetto agli altri)
- l’anoressia e la bulimia (come rifiuto/rifugio nel cibo per via dell’incapacità di tollerare le emozioni negative come il dispiacere verso il proprio corpo) e
- l’alcolismo e l’abuso di droghe (in quanto fuga dalla realtà che genera emozioni e sensazioni d’inadeguatezza)
tra gli adolescenti. Una ricaduta notevole, dunque, che va costruita con il tempo e che riduce, a primo impatto, anche le distanze sociali tra i ragazzi. L’incidenza della povertà (e della crisi, per parlare con un termine a noi molto familiare) accresce, infatti, l’analfabetismo emotivo che è un moltiplicatore della conflittualità. Le necessità economiche delle famiglie, in cui lavorano entrambi i genitori, portano la coppia a svolgere anche due lavori a testa. La conseguenza è che i figli sono abbandonati a se stessi o affidati ad asili mal gestiti.
Povertà emozionale diffusa
Il fenomeno, di dimensioni globali, ormai riguarda anche le famiglie più solide, poiché frenesia, inadeguatezza e instabilità toccano anche le alte sfere della società, al punto che nessuno dei nostri figli può dirsi al riparo dai rischi di chiusura in se stessi e di sviluppare
- ansia e depressione;
- deficit dell’attenzione e della riflessione;
- aggressività e delinquenza.
E’ chiaro, dunque, che da una riforma che introduca a scuola l’obbligo dell’ora d’intelligenza emotiva possono derivare solo conseguenze positive per la collettività.
Il mio punto di vista, a conclusione di questa disamina, è che occorra armarsi per scendere in campo, se concretamente si intende arginare un’emergenza sociale. Ma credo anche che davvero si possa vincere la sfida agendo a scuola sulla leva dell’alfabetizzazione emotiva, dalla materna e fino alla fine dell’obbligo.
Il momento è adesso. Attendere non è più permesso.
0 commenti
Trackback/Pingback