Sono tre gli elementi che concorrono a determinare l’efficacia di un’azione, qualunque essa sia: l’aspetto tecnico (il “che cosa” si fa), quello emotivo (il “come” la si fa) e la motivazione (il “perché” si fa qualcosa). Sono tutti indispensabili alla stessa maniera. Nella verità, andrebbero aggiunti anche un “quando” (la scelta del momento giusto) e un “dove” (ovvero, il contesto più adatto). Restando sui primi tre, che già creano innumerevoli variabili, dirò che gli aspetti emotivi sono dei moltiplicatori della tecnica (che, quindi, deve esserci in ogni caso), mentre la motivazione è l’amplificatore. Prendendo l’esempio dello sport, del calcio soprattutto, se le emozioni e le motivazioni (il “come” ed il “perché”) trasmesse dal leader in conferenza stampa sono incongruenti, il rimbalzo sul gruppo produce effetti devastanti. Prendiamo in esame un’intervista di qualche tempo fa dell’allora allenatore del Milan, Gennaro Gattuso“.
Comunicazione incongrua
“Per vincere la coppa dobbiamo compiere un’impresa straordinaria. In tutti i modi, ci proviamo.” Sono le parole di Gennaro Gattuso, allenatore del Milan, trasmesse in una breve intervista nel TG5 delle otto del mattino del 9 Maggio 2018, a poche ore dalla finale di Coppa Italia con la Juventus. Premesso che io personalmente tifo Milan da tutta la vita (oltreché Lecce, la squadra della mia città) e che ho una venerazione per l’uomo in questa foto, ascoltandolo mi sono chiesto subito dove fosse finito il “Gattuso leader emotivo” che fomentava la curva a sostenere la squadra durante le magiche notti di Champions di un decennio fa.
Certo è che comunicare così è quantomeno contraddittorio. Cioè, o ci credi (e ti accingi ad un’impresa straordinaria) o ci provi (e devi mettere in conto che potresti non riuscirci). Perché, se ci provi, alla prima difficoltà crolli. Se, invece ci credi, le difficoltà ti spingono a tirar fuori ulteriori risorse da mettere in campo. E questa si chiama resilienza. La differenza è nella convinzione che c’è o non c’è. Dalle parole udite (e anche dall’atteggiamento emotivo impostato sulla modalità “preoccupazione“), si direbbe che non ce n’era. E questo l’ambiente lo percepisce, più o meno consapevolmente.
Perciò, la considerazione finale se il sogno di conquistare la Coppa Italia 2018 sia crollato per questo sotto le quattro pesanti sberle prese in quel di Roma non è dato di saperlo. Per una riprova, bisognerebbe comparare casi come questo con tutti gli altri simili in cui, pur comunicando inefficacemente, il risultato poi è comunque arrivato. Ma, indipendentemente da questo, la domanda è una sola: “Perché non comunicare bene, con coerenza?” Anche perché non esistono controindicazioni ma solo vantaggi.
Non solo Gattuso
L’ottimo Rino è, però, in buona compagnia. Dal calcio alla politica, gli esempi di comunicazione incongrua e inefficace si spreca. Ecco i primi che mi vengono in mente.
- Nella conferenza della vigilia della gara di Champions League tra Napoli e Manchester City, il tecnico dei partenopei Sarri dichiara: “Il Manchester non è imbattibile!” Il Napoli uscirà dalla competizione proprio a spese degli inglesi.
- Durante Euro 2016, Papa Francesco augura agli azzurri: “Non tornate sconfitti!” Tutti sappiamo com’è andata (e non è stata certo colpa del Pontefice).
- L’ex Premier Italiano Gentiloni, in un intervento a inizio anno, dichiara: “Non siamo più il fanalino di coda dell’Europa”, immaginando di dare una buona notizia che, però, nella mente di chi ascolta, suona in modo molto diverso.
- Alla vigilia delle Elezioni Politiche del 4 Marzo 2018, il leader del M5S Di Maio dichiara: “Non lasceremo il Paese nel caos.” Sono passati due mesi (oggi, mentre scrivo, è l’11 Maggio) e non abbiamo ancora un Governo per il disaccordo che regna in Italia tra le forze politiche.
Pensate che sia solo un caso?
Intelligenza emotiva per i gruppi
Poiché sappiamo, infatti, che la nostra mente funziona per immagini, perché non aiutarla a inseguire quelle positive, invece di nutrirla con le negatività? Peraltro, giova alla salute comunicare bene e con consapevolezza. Ma ho potuto notare che, nonostante nel mondo del calcio milionario si sprechino fior di denari per migliorare gli aspetti tecnici, non si fa nulla per quelli emotivi (che sono parte essenziale della comunicazione e delle relazioni) che anzi vengono trascurati quando non snobbati e derisi.
Cioè. nel mondo della politica e dello sport (ma anche in azienda e in altri contesti di relazione che richiedono una visione sistemica per superare le difficoltà) manca del tutto o quasi intelligenza emotiva. La gestione delle emozioni, infatti, è la base. Senza una buona consapevolezza del loro potere, non può essere trasmessa alcuna motivazione.
La rabbia
A inizio campionato 2018-2019, ad esempio, l’ex tecnico rossonero, Vincenzo Montella, per motivare il gruppo, a più riprese fa appello alla rabbia: “Dobbiamo scendere in campo più arrabbiati dei nostri avversari”. Concetto, quello della rabbia agonistica, caro anche a Ringhio Gattuso e ricorrente nei discorsi di molti allenatori. Ma la rabbia è davvero l’emozione giusta che va comunicata all’ambiente?
Citando Il Bandito e il campione di Francesco De Gregori, scopriamo che la rabbia è un’emozione che, nell’asse dell’efficacia personale, sta dalla parte del fallimento. Per questo, Girardengo è il suo campione: “Una storia d’altri tempi, anche di prima del motore, quando si correva per rabbia o per amore. Ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce e chi sarà il campione già si capisce.”
Motivazione intrinseca ed estrinseca
Veniamo al discorso sulla motivazione con un breve excursus di storia del club milanista.
La scelta di Gattuso come sostituto di Montella non è solo un fatto tecnico. Ringhio veniva dalla guida delle giovanili del Milan e da una breve esperienza (con esonero) a Pisa. Ma Gattuso rappresenta una bandiera per il popolo rossonero: l’uomo giusto, il leader emotivo delle notti di Manchester e Atene, legato alla storia dei più recenti trionfi della Presidenza Berlusconi. Quindi, viene individuato principalmente per ridare fiducia e motivare all’ambiente. Nessuno, però, considera un aspetto fondamentale: per infondere motivazione ad un gruppo occorre fare appello alla storia. La storia del club, però, nel frattempo, con l’arrivo dei capitali cinesi e la globalizzazione della società, ha subito una brusca virata.
Come si fa, infatti, a motivare un ambiente intorno ad un blasone che, nel frattempo, ha perso le sue radici? Dico meglio: si può ma bisogna agire dal basso.
Se il Milan italiano, dunque, possedeva una motivazione intrinseca, di cui Gattuso era un’espressione, quello cinese ha, almeno fino ad oggi, solo motivazione estrinseca (che è come una toppa che si scolla, se non subentra la prima). I risultati ottenuti vanno, così, interpretati alla luce dell’effetto “capro espiatorio” (l’esonero di Montella) che, sommato alla motivazione estrinseca, ha prodotto risultati evanescenti che stanno evaporando dopo pochi mesi. Il che spiega alti e bassi nel rendimento e discontinuità di risultati.
L’inconscio collettivo
E badate bene che l’inconscio collettivo non è un’invenzione di Jung ma agisce davvero. La Juventus, con le sue sette finali di Champions perse su nove disputate, rappresenta un’analogia di cui, tuttavia, lo staff tecnico bianconero, per ora, non vuol sentir parlare. La consapevolezza di tutto questo si scontra, infatti, con la logica ricerca della soluzione tecnica ai risultati che non arrivano.
Occorre lavorare, dunque, su dimensioni immateriali e silenti per ripristinare la motivazione intrinseca, che è la sola che porta risultati duraturi nella condivisione di obiettivi carichi di senso e di significato. Ma questo può accadere solo fuori dal rettangolo di gioco. Adottando una visione allargata della realtà, un vedere oltre che è tipico dell’approccio sistemico del leader con elevati livelli d’intelligenza emotiva.
La buona notizia è che tutto questo può essere appreso. Per tutto in resto, io sono qui.
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