Dove sono finiti il rispetto e l’educazione? I tempi sono veramente cambiati in peggio. Insegnanti, genitori e ragazzi: tutti contro tutti. Dalla contestazione al conflitto il passo è stato brevissimo. Un conflitto, peraltro, che ormai si è spostato dal livello istituzionale (scuola, famiglia, società) sul piano dell’aggressione fisica alla persona. Insulti, minacce e violenze sono l’espressione di un malessere profondo che presenta il conto dell’analfabetismo emozionale. Come siamo arrivati a questo punto? Da che dipende? E’ possibile recuperare l’educazione ai valori positivi per ripristinare la pace? Ecco un’analisi multidimensionale che prende in considerazione i punti di vista degli attori coinvolti e dei diversi aspetti di quella che è diventata una vera e propria emergenza sociale.
La rabbia dei ragazzi
I nostri ragazzi sono arrabbiati. E questo è un dato di fatto. Psicologi e pedagogisti concordano nell’individuarne le cause in una concomitanza di fattori. Vediamoli.
- I ragazzi di oggi sono più intelligenti di quelli di ieri. In molti casi, restando sul piano del QI, anche dei loro professori. Basti pensare che il QI si apprezza di tre punti ogni dieci anni: ne consegue che un ragazzo di 10 anni anni di età, possiede, mediamente, nove punti in più rispetto ad un adulto di quaranta, almeno sul piano numerico del quoziente d’intelligenza. Fin qui la statistica.
- Per essendo più intelligenti, tuttavia, essi sono sempre meno maturi: credono a Babbo Natale fino a nove-dieci anni, sanno gestire sempre meno quello che provano (le emozioni e i sentimenti), bruciano le relazioni con enorme facilità e si trascinano questa immaturità fino all’età adulta.
- A causa di ciò, non possiedono i filtri, anche semplicemente sul piano linguistico (ed esempio, dare un nome alle emozioni, riconoscerle per ritardare l’azione), che mediano gli impulsi prima che diventino attacco contro l’altro. In questo spazio di luce (che manca) si possono inserire valori e motivazioni. Ma serve un vocabolario emotivo almeno sufficiente. Basti pensare che, da un’indagine condotta dal Tullio De Mauro nel 1976, i ragazzi in età scolare conoscevano circa 1.500 vocaboli. Vent’anni dopo, ripetuto l’esperimento, gli studenti ne conoscevano circa 600. Risultato: un impoverimento culturale a danno della capacità di dare voce agli stati d’animo. E’ quello, infatti, il vocabolario che si è perduto.
Sono queste incoerenze a generare un disagio interiore che determina la conflittualità e la reazione aggressiva a tutto quello che proviene dall’esterno e che non appare funzionale al perseguimento della loro natura.
Mammoni e nerd
C’è un altro aspetto su cui voglio soffermarmi brevemente, “en passant”, che è strettamente collegato con quanto fin qui detto.
Mediamente, in Italia, lo dicono le ricerche, alleviamo mammoni (che rischiano di farsi irretire dal branco, per reazione, per non essere visti come diversi e, di conseguenza, emarginati dal gruppo dei pari) che, una volta adulti, si trasformano in nerd, passivi, senza interessi, disoccupati. Lo dicono le statistiche: siamo al primo posto tra gli Stati dell’Unione Europea con il 31% di incidenza sui giovani di età compresa tra i 20 e i 25 anni.
Il prezzo dell’analfabetismo emozionale ha, dunque, pesanti ricadute anche sull’economia del Paese. E che i diversi aspetti del problema siano collegati tra loro è una logica deduzione che non richiede dimostrazioni scientifiche.
Il genitore “amico”
Un tempo, i genitori erano chiamati ad educare il piccolo selvaggio. Il padre dava le regole e queste regole non potevano essere infrante, pena l’adozione di provvedimenti che venivano davvero messi in atto. Poi, ad un tratto, alcuni decenni fa, è come se tutti i genitori del mondo si fossero messi d’accordo sul fatto che la quantità di dolore che un padre normativo poteva infliggere non fosse funzionale all’educazione dei figli.
Così, l’educazione stessa ha attuato una brusca manovra di virata verso un sistema relazionale: il piccolo Einstein (così è visto adesso il figlio, come colui che cambierà le sorti del mondo) viene percepito come un adulto in miniatura, socialmente competente, con cui intrattenere un rapporto di tipo amicale, alla pari.
Va detto che tutto è coinciso con un’epoca di recessione economica che ha portato entrambi i genitori, causa di forza maggiore, fuori da casa per sostenere l’azienda famiglia. Tant’è che:
- la solitudine, la noia e l’abbandono dei ragazzi, che finiscono per trovare nel branco la famiglia sociale con cui identificarsi e a cui sottomettersi,
- la necessità (per certi aspetti, anche fin troppo comoda) della famiglia, deresponsabilizzata, di delegare alla scuola il compito educativo in via esclusiva,
- l’eccessivo maternage in famiglia da parte della madre e, in ultimo, anche del padre, che è ormai svestito del suo ruolo normativo originario che permetteva ai figli di apprendere i valori e i principi fondanti del vivere insieme agli altri,
generano, di fatto, un sabotaggio educativo che rimbalza, con tutta la sua dirompenza, nella società.
La scuola e le regole
Appare evidente che, in un clima così descritto, quando la scuola stabilisce le sue regole, nasce il conflitto:
- i ragazzi, da una parte, a qualunque titolo sponsorizzati dalle famiglie, si sottraggono al sistema normativo e, non temendo in alcun modo le sanzioni da parte dell’autorità, la combattono;
- i genitori, d’altro canto, pur dichiarandosi a favore delle regole, non accettano che esse vengano imposte ai loro figli con diversa intensità da quella applicata tra le mura domestiche.
Ecco che, al primo segnale, si scatena l’inferno contro gli insegnanti che, in taluni casi, porta ad aggressioni verbali e fisiche, anche armate (come si evince da accadimenti che si ripetono con preoccupante frequenza), ai loro danni.
Armare gli insegnanti
Senza rendercene conto, stiamo pagando tutti un caro prezzo a causa dell’analfabetismo emozionale. Quindi, sì, accolgo la proposta made in USA di armare gli insegnanti ma solo di strumenti emotivi che, fin qui, sono stati del tutto trascurati. Di che cosa abbiamo bisogno, allora? La risposta più scontata sarebbe “di un nuovo sistema educativo”, a partire dalla ri-formattazione della funzione genitoriale. Ma nessuno crede alla favola che questo possa avvenire nel breve.
Non potendo, allora, intervenire direttamente sulla famiglia, occorre allora filtrare la soluzione attraverso la scuola, che almeno questo fine ce l’ha nella sua missione implicita.
Tre vie per una soluzione
Ecco, allora, tre vie percorribili, ciascuna dal punto di vista dei diversi attori coinvolti (scuola, studenti e famiglie).
- Insistere sulla formazione del corpo docente all’intelligenza emotiva, alla capacità di ascolto e all’adozione della giusta distanza da problemi legati all’insegnamento che provocano frustrazione e tensione (si chiama capacità negativa ed è un aspetto fondamentale della relazione educativa, anch’esso preso sotto gamba). La classe degli insegnanti è esposta al grave rischio di burn-out e in pochi ancora lo hanno compreso. Agire sul loro benessere psicofisico è, dunque, essenziale, affinché siano messi meglio nella condizione di aiutare le famiglie e i ragazzi.
- Insegnare l’importanza delle emozioni ai ragazzi. Parlare di emozioni, con emozioni, di quelle degli studenti, con quelle degli studenti. Cioè, farlo in modo extracognitivo, diversamente da come, invece, viene fatto più spesso. In quanti, tuttavia, utilizzano i precetti dell’apprendimento multisensoriale creativo? La letteratura associata ai supporti creativi esterni, come le Arti Terapie, ad esempio, sono strumenti preziosi ma poco presi in considerazione dai Dirigenti Scolastici che ritengono (mediamente!) di poter affidare progetti con tali scopi agli stessi insegnanti. Ma è impossibile trovare soluzioni al medesimo livello dei problemi.
- Coinvolgere i genitori in attività extracurricolari in classe, incentrate su ascolto e avvicinamento ai valori positivi che vanno negoziati, discussi e condivisi. Un tempo si parlava di educazione alla genitorialità. Che sia arrivato il momento di rispolverare quegli appunti?
Partire da qui sarebbe un buon inizio. Nessuno dice che sia facile. Ma l’alternativa è alzare bandiera bianca e attendere il prossimo TG.
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