Accettarsi prendendo coscienza di taluni aspetti di sé attraverso l’autobiografia è già un traguardo per ogni “terapia”, poiché porta alla luce esperienze personali taciute (e nascoste nell’inconscio), vissute come dolorose o difficili. Paradigma su cui si fondano le psicoterapie di matrice freudiana, a livello più profondo, e i percorsi di crescita personale. Le prime con l’obiettivo di individuare l’origine dei traumi rimossi, i secondi al solo scopo di riconoscere l’esistenza di elementi intimi che condizionano il modo di essere fuori. Su questi ultimi si basano i percorsi per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva a cui la metafora, dalla fiaba classica a quella autobiografica, offre il suo contributo. A tutte le età.
Autobiografia per prendersi cura di sé
Narrare di sé è una panacea, un remedium curativum che agisce sulle implicite necessità di trasformazione e cambiamento dell’individuo. Restando nel limbo che separa il gioco dalla pedagogia o, se vogliamo, l’animazione sociale dalla psicologia. Senza, dunque, aver mai il bisogno di diventare ad ogni costo una pratica medica.
Perché narrare di sé attraverso una fiaba? E’ la domanda che trova risposta nella ricerca di un ideale linguaggio simbolico che renda immediato e fluido il racconto. Racconto fantastico che parla di vicende che, solo in apparenza, sono vissute da altri. La metafora attraverso cui esso si esprime, allorché risolta e compresa, infatti:
- svela nodi esistenziali,
- conflitti,
- difficoltà personali e, nondimeno,
- suggerisce soluzioni per il futuro.
Ecco, dunque, il fulcro del Metodo Autobiografico Creativo con la Tecnica della Fiabazione: incontrare la storia individuale in forma creativa e apprendere da essa. Cioè, senza la mediazione della razionalità (come accade per altre declinazioni, anche più conosciute, dello stesso metodo), per la crescita personale e per adottare i comportamenti emotivamente più intelligenti nelle scelte di tutti i giorni. In parole povere: conoscersi per conoscere.
Funzioni della metafora
Per comprendere la ragione dell’azione sotterranea ed efficace della metafora, occorre risalire alla sua funzione pedagogica. Nella fiaba, il senso di “dire senza dire” è funzionale alla crescita armonica e alla strutturazione funzionale della personalità del bambino.
Le fiabe, con il loro linguaggio, aiutano ad elaborare
- la fine dell’infanzia,
- i temi dell’attaccamento alla figura genitoriale,
- del distacco e
- della separazione.
Nel gioco di alternanza tra tensione e distensione, presente in ogni racconto, è proprio la metafora che stimola i processi di riparazione necessari allo sviluppo emozionale del bambino. Avere paura, quindi, è necessario. E questo è un insegnamento tanto antico quanto trasceso dai genitori di oggi che, ad ogni costo, provano a schermare i piccoli dalle esperienze emotivamente forti, quelle caratterizzate da emozioni di paura e di rabbia.
Psicologi, pedagogisti ed educatori sanno, però, quanto esse siano importanti per i bambini.
- La paura è una sfida che va affrontata: serve l’antagonista ed il ruolo del narratore che dia voce all’orco, al lupo cattivo o a Barbablù, poiché è così che il bambino impara ad esorcizzare le sue paure ed a gestire i suoi sentimenti più difficili.
- La rabbia, allo stesso modo, va incontrata, riconosciuta e canalizzata costruttivamente. Ma deve essere ben gestita con l’aiuto dell’adulto. Inutile dire al bambino “non devi essere cattivo”, come afferma Bruno Bettelheim ne “Il mondo incantato”, poiché egli sa di avere spinte aggressive che, se non canalizzate opportunamente, lo fanno sentire perverso.
La fiaba come opera aperta
Il fatto che, con la crescita del bambino, anche da adulto la metafora mantenga la sua funzione rende la fiaba un’opera aperta, adatta a tutti. Mentre, però, la metafora della fiaba classica appare banale all’adulto che la legge o la ascolta, quella autobiografica sorprende ancora. E lo motiva a intraprendere un viaggio di ricerca e scoperta dentro di sé tra un’infinità di simboli e personaggi che, in definitiva, sono il ponte tra l’immaginario creativo e la vita reale.
Così, scrivere una storia, come accade nei laboratori del Metodo Autobiografico Creativo, agevola la riflessione sulle azioni compiute dai protagonisti, sulle emozioni che vivono fino ad entrare in empatia con esse. Prima di riconoscerle come proprie. Poco conta che siano un pulcino, un vulcano o la luna. Proprio quello che si fa, comunicato in simboli sul foglio di carta, svela all’autore
- un aspetto della sua natura,
- l’influenza della sua esperienza di vita pregressa,
- le gioie e i dolori repressi
che lo aiuteranno a comprendere meglio se stesso e le sue relazioni con il mondo.
Metafora e linguaggio simbolico della fiaba
La metafora, che ho già definito come il modo di “dire senza dire” con il linguaggio simbolico, agisce di soppiatto, senza che l’autore della fiaba ne abbia quasi coscienza. Semmai, lo conduce a quella coscienza, alla consapevolezza (o, almeno, questo è lo scopo) se egli avrà la pazienza di ascoltare il suo messaggio silenzioso. Ecco che diventa elaborazione di una storia, quella personale, che
- è per definizione autobiografica e che
- parte da molto lontano, esattamente alle origini della storia personale,
confondendo in modo molto ordinato (mi sia concesso l’ossimoro!) tutti gli elementi, in quanto sintesi ed espressione spontanea della vita inconscia di chi la crea.
Nel buio della nostra mente, infatti, risiedono le spiegazioni dei comportamenti che il più delle volte non comprendiamo. Elevarli dal cono d’ombra e promuoverli alla luce della verità finalizza, dunque, la storia verso un nuovo apprendimento su di sé che è la chiave per comprendere meglio gli altri e il mondo. E che, quindi, sviluppa e accresce i livelli personali di intelligenza emotiva.
È conoscere la nostra storia, in definitiva, che, in prospettiva, ci prepara ad essere diversi e, quindi, cambiati.
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